Anno di pubblicazione: 2018
La tesi al cuore del libro non brilla per originalità. L’Italia, fin dall’unificazione,
sarebbe rimasta divisa tra regioni ricche, colte (the North) e altre arretrate, illetterate (the
South). La dicotomia è assunta come dato costitutivo di un edificio nazionale intaccato
alle fondamenta, inesorabilmente debole. C’è però da essere ottimisti, ci dice l’a., perché
il paese, attraverso riforme socioculturali favorite dall’Ue, sembra finalmente sul punto di
raggiungere il sospirato obiettivo di «fare gli italiani». A patto che i contendenti, the North
e the South, prendano coscienza delle loro responsabilità, scelgano la via della pacificazione
e, davanti al mondo globalizzato, rinuncino a retoriche identitarie ormai obsolete. A
queste retoriche, descritte più che problematizzate, è dedicato il volume.
L’Introduzione segue un percorso canonico. La diffidenza dei militari piemontesi
verso i meridionali prelude al federalismo leghista. La delusione dei contadini del Mezzogiorno
anticipa il grido di riscatto lanciato dal neoborbonismo. Due regionalismi in
campo, con le proprie colpe, le proprie ragioni. Nel mezzo, tutto quel che è lecito attendersi:
l’atavismo lombrosiano, il meridionalismo storico, il colonialismo fascista, la
critica gramsciana, le frontiere di Eboli e i vari gattopardi. Un flusso slegato dai contesti,
funzionale a chiarire i temi affrontati, anch’essi classici. Cioè, capitolo per capitolo: il mito
di Garibaldi, il brigantaggio, il divario economico, l’emigrazione, il crimine organizzato,
la ri-costruzione postunitaria. La Conclusione, invece, è centrata sui passi che il paese sta
facendo «in the right direction» (p. 201).
Ne soffre, e molto, la prospettiva storica. Il testo, schiacciato sul dibattito d’attualità
e supportato da una bibliografia non sempre all’altezza, cerca risposte a domande scaturite
da approssimazioni discutibili sul piano metodologico. Un esempio. Garibaldi era un
ladro, come sostengono i borbonici di ieri e di oggi, o un eroe, come vuole il discorso risorgimentale?
Per quanto nobili siano i propositi dell’a. – fornire agli anglosassoni un’immagine
corretta degli italiani e disinnescare i contrapposti localismi – è inevitabile che su
questa china si inciampi nello stereotipo intellettuale. Spesso ribadendolo (il sempiterno
bandito sociale) o senza troppo smarcarsi da motivi noti (i retaggi feudali, le opportunità
mancate). Sicché ci si chiede cosa restituiscano le pagine su emigrati e mafie, oltre l’impressione
che per capire i nessi tra nation building, familismo italo-americano e crimine
organizzato valga la pena rivedere Il Padrino di Francis Coppola.
Detta altrimenti, se il presupposto è quello di misurare la distanza tra un eccezionalismo
postulato a priori e l’isola felice offerta da una generica modernità, non resta che
raccontare il cammino intrapreso da questi volitivi personaggi, gli italiani, nello sforzo
di correggere l’inadeguatezza rispetto al civile progresso. Ma ci siamo quasi. Verso l’unificazione,
dunque, stavolta per davvero: «the ever-elusive goal of “making the Italians” is
finally within reach» (p. 25).