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Tra due divise. La Grande Guerra degli italiani d’Austria

Andrea Di Michele
Bari-Roma, Laterza, XIV-237, pp., € 24,00

Anno di pubblicazione: 2018

Il tema del destino dei soldati asburgici catalogati come italiani nel corso della prima guerra mondiale ha avuto un rilievo non indifferente nelle vicende di quel conflitto. Il la- voro di Andrea Di Michele ha innanzitutto il pregio di sottrarre tale questione al ristretto ambito della storia regionale e di collocarla, come lo stesso a. dichiara, «a metà strada» tra quest’ultima e la «storia globale» (p. 223).
Dopo un’attenta contestualizzazione nel più vasto quadro delle vicende storiche del- le relazioni tra italianità e Impero asburgico, il volume si diffonde sull’impatto che lo scoppio della guerra ebbe sulla ormai piccola realtà delle comunità italiane. L’a., infatti, spiega come essa fosse ormai diventata, nel complesso mosaico imperiale, un tassello di proporzioni ridotte e di gran lunga meno influente a paragone con altre nazionalità.
Questa osservazione smentisce in gran parte l’unilateralismo di una certa storiografia che, concentrandosi sul contenzioso territoriale tra Italia e Austria-Ungheria, ha perso di vista il più ampio orizzonte politico in cui esso era inserito. Dalla ricostruzione degli itinerari, in alcuni casi molto travagliati, dei soldati austro-italiani, emergono alcune evidenze di particolare interesse. Innanzitutto, il profilo del rapporto che questi, ancora civili, ave- vano avuto con l’Italia e l’italianità. Lo stato di guerra impose al governo di Vienna una «semplificazione» nella definizione della loro appartenenza nazionale. Infatti, molti di loro «erano plurilingue e mostravano un’ibridazione culturale che mal si adattava alle schematiche classificazioni delle autorità» (p. X). Ciò voleva dire che solo alcuni, al mo- mento di andare sotto le armi, avevano partecipato al movimento irredentista e a quelle lotte che, nei decenni precedenti, avevano animato le comunità austro-italiane così come ci sono state tramandate da alcuni fondamentali studi come quelli di Angelo Ara.
Tuttavia, nel 1916, la presenza di numerosi soldati asburgici prigionieri in Russia, ancora alleata, impose al governo di Roma di prendere un’iniziativa. A tal fine fu deciso di organizzare una missione militare che potesse prendere contatto con questa realtà lontana e non esattamente conosciuta. Il ministro degli Esteri Sonnino però impose una partico- lare prudenza. L’eventuale incorporazione nell’esercito italiano sarebbe dovuta avvenire dopo un’attenta «selezione» (p. 153) e una precisa educazione «all’italianità» (p. 144).
Questa impostazione non fu sempre condivisa dai comandi militari. Essi ritenevano che l’incorporazione generalizzata avrebbe potuto essere il primo passo dell’affermazione della sovranità italiana sulle terre di provenienza. E, non è da escludere, avrebbe significato un interessante incremento di combattenti da mettere in campo in un momento di grave difficoltà sui fronti. Il sopravvenuto caos in Russia fu lo scenario di itinerari avventurosi che portarono alcuni di questi soldati a prendere parte, sebbene marginalmente, alla lotta politica e militare che si era scatenata nel territorio russo. «Diventare italiani» (p. 171), dunque, divenne molto più difficile.

Luca Riccardi