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Ulrike Viccaro – Storia di Borgata Gordiani. Dal fascismo agli anni del «boom» – 2007

Ulrike Viccaro
Milano, FrancoAngeli, 186 pp., Euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2007

Dei cinque volumi usciti tra il 2006 e il 2007 nella collana su Roma diretta da Lidia Piccioni per FrancoAngeli e intitolata «Un laboratorio di storia urbana», il libro di Ulrike Viccaro su Borgata Gordiani è quello che punta con più decisione sugli strumenti della storia orale. Per impostazione e metodi, il volume può essere accostato ad alcune delle ricerche su Roma promosse negli ultimi anni da Alessandro Portelli: in particolare a Città di parole, il lavoro collettivo su Centocelle pubblicato nel 2006, cui la stessa Viccaro aveva a suo tempo preso parte.Borgata Gordiani, la borgata creata all’inizio degli anni ’30 per ospitarvi una popolazione in gran parte espulsa dalle aree centrali della città, comincia a essere smantellata nel 1959 e non esiste più dal 1980. Questo dato di partenza conferisce alla ricerca un primo tratto di originalità: ricostruzione della memoria di una comunità, ma di una comunità da tempo dispersa sul territorio, che è necessario seguire nei propri spostamenti per poterne raccogliere le testimonianze.Viccaro osserva la borgata, da sempre simbolo di marginalità e di povertà, con uno sguardo che tende a portare in primo piano le culture e le pratiche della vita quotidiana e a sottolinearne la radicale alterità. Per questa strada, il volume riprende alcune tesi consolidate sulle borgate romane come luoghi di esclusione sociale e di acculturazione di un sottoproletariato estraneo alle retoriche del regime e ripropone l’ipotesi secondo cui, dal punto di vista dei processi di divisione sociale dello spazio urbano, esisterebbe a Roma una sostanziale «continuità tra il regime fascista e il regime democristiano» (l’espressione è di Pasolini, che nella borgata girò Accattone e le cui riflessioni sembrano rappresentare un punto di riferimento importante per la ricerca).L’originalità dello studio sta nel tentativo di rinnovare queste linee interpretative attraverso un approccio che esplora i confini tra storia orale, etnografia, storia urbana, cultural studies. Le questioni che l’a. si propone di toccare sono molte: le condizioni abitative, le strategie di adattamento e di sopravvivenza, la cultura materiale, i rituali del quotidiano, il ruolo delle donne o dei bambini, l’azione di Chiesa e PCI, le resistenze e le forme di lotta collettiva, le rappresentazioni del quartiere elaborate tanto al suo interno quanto all’esterno. Un programma che per poter essere davvero portato a termine avrebbe avuto bisogno di molto più spazio rispetto alle circa centocinquanta pagine di cui il volume si compone. Il confronto tra le fonti si svolge tutto su un piano narrativo: testimonianze, articoli di giornale, film, fotografie, canzoni, romanzi, carte di polizia, atti parlamentari sono considerati alla stregua di altrettanti racconti, di cui si cerca di interpretare le ragioni e cogliere i punti di contrasto. La scrittura è il vero laboratorio di questa storia a più voci ed è la qualità della scrittura a permettere all’a. di «far parlare» i propri materiali e mantenere vivo a ogni pagina il senso della complessità di una ricerca urbana.

Filippo De Pieri