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Umberto Levra (a cura di) – Storia di Torino, VI, La città nel Risorgimento (1798-1864) – 2000

Umberto Levra (a cura di)
Einaudi, Torino

Anno di pubblicazione: 2000

Dopo i tomi novecenteschi e mentre si attende quello dedicato al periodo postunitario, il sesto volume della Storia di Torino affronta il primo Ottocento, collegando il periodo francese all’unificazione nazionale. Affidata ad uno specialista al quale si devono importanti lavori in merito (come L’altro volto di Torino risorgimentale, del 1988 o, dieci anni dopo, la cura con R. Roccia di Milleottocentoquarantotto. Torino, l’Italia, l’Europa), l’opera raccoglie ventinove saggi, affidati a ventidue autori. Di dimensioni assai diverse, dalla decina alla sessantina di pagine, i contributi si distribuiscono in due parti: circa un terzo sono dedicati al periodo che va dall’occupazione francese al rientro dei Savoia (1798-1814), il restante al cinquantennio che conduce la dinastia subalpina alla corona italiana e quindi all’addio alla città, con il trasferimento della capitale a Firenze. Prevale la storia della cultura (oltre duecento pagine), per lo più intesa, se si eccettuano diversi spunti sparsi e il saggio di De Fort sulla scuola, come cultura “alta”, dalle accademie alle facoltà universitarie, dalla letteratura alle arti. Se agli spazi della cultura si aggiungono quelli religiosi (circa 120 pagine, compresi due brevi scritti su valdesi ed ebrei), si supera la metà dei contributi. Meno frammentate, ma anche più ridotte, si aggirano fra le novanta e le cento pagine la storia urbana (in senso strettamente urbanistico), la storia dell’amministrazione municipale, la storia politica (nei saggi di Talamo in significativa connessione con la stampa). Leggermente più ampio è il dominio della storia sociale, mentre minore è quello riservato alla storia economica, che sfiora la soglia delle novanta pagine solo se al bel saggio di Levi si aggiungono – con una certa forzatura – quelli sulle comunicazioni di Sereno e sulle esposizioni di Bassignana. Anche se minore è la rilevanza assegnata alle classi subalterne e alla storia della società (e delle donne), tanto nel complesso quanto rispetto alla cultura delle élites, il volume offre una preziosa mole di informazioni. In molti saggi prevale il momento descrittivo e del giudizio di sintesi sull’interpretazione e sulla problematizzazione, anche storiografica. Di qui, forse, il ruolo e il peso dell’Introduzione del curatore, che tenta di comporre un quadro d’insieme a partire dai risultati dei singoli contributi e dalle proprie personali indagini: operazione senz’altro riuscita, anche perché affidata ad un impianto categoriale assai duttile, quello della “modernizzazione”. Consapevole dei limiti di questo paradigma e del suo vocabolario, Levra distingue fra modernizzazione attiva e passiva, con echi di Cuoco e Gramsci, riprendendo così una dicotomia già contenuta in un saggio di Luciano Cafagna (“Meridiana”, 1988). Accanto alle pagine di Levra, meritano particolare attenzione gli studi di Gozzini e Audisio sulla società torinese e quelli di Montaldo e Violardo sull’università e la cultura accademica, nei quali si avverte sensibilmente il peso di ricerche aggiornate.

Michele Nani