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Un paese in bilico. L’Italia degli ultimi trent’anni

Alberto De Bernardi
Roma-Bari, Laterza, XX-171 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2014

Parla di molte cose, questo libro, con un pizzico di catastrofismo apocalittico (il
«collasso della globalizzazione neoliberista» che ne apre la prima pagina) ma con il giusto
respiro storiografico per inquadrare l’Italia a partire dal 1980. Questa scelta di periodizzazione
appare la novità maggiore: mette tra parentesi la fine della guerra fredda per datare
al decennio precedente la crisi irreversibile dei partiti italiani.
È una crisi che viene da fuori: i prodromi di una globalizzazione che produce partiti
fluidi e Stati deboli (p. 55). È una crisi che viene da dentro: annunziata da un profetico
e inascoltato marxista americano – James O’Connor, La crisi fiscale dello stato (1974) –
l’espansione del debito pubblico originata da un welfare state incrementale chiama in causa
l’abilità dei governi nel tenerla sotto controllo. Gli altri paesi con alternanza al governo
più o meno vi riescono, l’Italia no: colpa di Craxi ma anche della pratica clientelare della
Dc e della cultura politica del Pci che comunque non riescono a immaginare niente di
diverso da quell’espansione. È tale incapacità, non l’assassinio di Moro, a segnare la fine
della prima Repubblica (p. 81). Il nesso tra corruzione, partitocrazia ed economia mista
– emblematizzato dalla gestione del dopoterremoto in Irpinia (p. 91) – corrisponde al
rifiuto di cimentarsi con la globalizzazione: è in fondo questa la ragione per cui i colossi
privati che poi ci dovranno provare (Montedison, Telecom, Fiat, Olivetti…) affogheranno
tutti.
L’a. enfatizza la critica del paradigma antifascista e il rilancio dell’anticomunismo
come matrici culturali della Tv commerciale (p. 99) lasciando forse troppo sullo sfondo
la «rivoluzione silenziosa» dei bisogni postmaterialisti analizzata da Inglehart. Ma chiarisce
bene la profonda continuità che lega questo recente passato con la scesa in campo di
Berlusconi. Dettata, spesso lo si scorda, dalla necessità di mantenere in vita quel privilegio
clientelare nel campo del mercato televisivo attraverso il boicottaggio di ogni moderna legislazione
antitrust: piccola, ma poi non tanto, esemplificazione del capitalismo protetto
da prima Repubblica.
Giustamente il libro ci ricorda che la seconda ha visto il centrosinistra al governo
per tutti gli anni ’90 (p. 115): occasione storica per costruire assieme a Clinton e Blair un
progetto liberal di gestione della globalizzazione. Molto difficile, perché stretto tra la difficoltà
di imbrigliare fiscalmente una finanza sovranazionale e la necessità di tenere a bada
l’indebitamento. Più che il mitologico tappo a una crescita automatica di cui favoleggia
l’ideologia, i vincoli europei rappresentano il semplice memento di questa dura situazione.
E quindi, forse, l’eredità migliore di questi trent’anni (p. 124): perché ci ricorda che
il tempo del debito facile è passato per sempre e che per difendere i più deboli bisogna
inventarsi strade nuove. Fatte di innovazione, qualità, conoscenze su scala globale: ciò che
il vecchio Marx chiamava «forze produttive».

Giovanni Gozzini