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Una Chiesa in guerra. Sacrificio e mobilitazione nella diocesi di Firenze, 1911-1928

Matteo Caponi
Roma, Viella, 332 pp., € 30,00

Anno di pubblicazione: 2018

Un lavoro di notevole interesse quello firmato da Matteo Caponi, docente di storia
dell’Europa contemporanea presso l’Università di Pisa, che rielaborando la propria tesi di
perfezionamento propone una rinnovata riflessione intorno – per dir così – a un «nocciolo
duro» della storia del cattolicesimo otto-novecentesco, ovvero alla relazione tra religione,
nazionalismo e mobilitazione bellica. Si è davanti, indubbiamente, a uno tra i più
significativi fili rossi poi dipanatisi – tra molte contraddizioni – lungo le vie dell’Europa
totalitaria e del quale, suggerisce l’a., sarebbe possibile rintracciare i cascami postnovecenteschi.
Tuttavia, senza cedere alla tentazione di inseguire il «dopo» e di forzarlo dentro al
«prima», e restringendo invece il proprio campo d’indagine a un quindicennio – quello
che intercorre dalla guerra di Libia al decennale del primo conflitto mondiale – e alla sola
diocesi di Firenze, l’a. riesce a realizzare un fecondo connubio tra il suo case-study e la
world history, in un continuo rimbalzo di linea capace di leggere il particolare nel generale
e il generale nel particolare.
D’altronde, con le sue molte suggestioni e contaminazioni, è l’oggetto preso in esame
a consentirgli questa libertà di manovra. È la Firenze dove sono di casa tanto l’antigiolittismo
di marca nazionalista quanto il radicalismo integrista de «L’Unità Cattolica». Ma
è anche e soprattutto la Firenze del cardinal Mistrangelo, prelato dal profilo complesso,
tutt’altro che un santino del cattolicesimo liberale o un alfiere dell’intransigentismo puro
e duro; piuttosto un vescovo e un pastore capace di moderare gli entusiasmi bellicisti
coniugando fedeltà alla Santa Sede e obbedienza alle autorità costituite, il tutto restando
sempre nel solco d’una cultura pienamente partecipe a quella del suo tempo.
È proprio di questa cultura – dove il fervore religioso è fattore cruciale di consenso
alla guerra, nelle forme della partecipazione «all’economia del sacrificio» e di quelle mediatiche
alla «guerra delle illusioni», dalla liturgia e dall’omiletica all’elaborazione delle
strategie del lutto – che Caponi individua e di cui ricostruisce con dovizia di particolari i
tratti dominanti. E sono tratti particolarmente ambigui, sempre in bilico tra l’invadenza
d’un nazionalismo a oltranza e il tentativo – di certo non evidente a tutti – di distanziarsene,
in modo particolare là dove l’orecchio della Santa Sede si fa particolarmente sensibile
all’eccesso di contaminazioni tra linguaggio bellico e linguaggio religioso. E oltre che ambigui,
sono tratti stratificati nei secoli, che rendono il cattolicesimo del tempo un fattore
di consenso più che di dissenso alla guerra; almeno a leggere così le parole dell’Apostolo
in tema di obbedienza all’autorità costituita, o a sovrapporgli immagini consolidate e a
prima vista inscalfibili come quella della guerra «punizione divina» e «sacrificio espiatorio
», sì inaccettabili per Benedetto XV – ecco la prima costola del magistero di pace dei
pontefici del ’900 – ma non ancora per la Chiesa fiorentina, italiana e non italiana nel
suo complesso.

Alberto Guasco