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Una famiglia borghese meridionale. I Porro di Andria

Riccardo Riccardi
Soveria Mannelli, Rubbettino, 430 pp., € 19,00

Anno di pubblicazione: 2013

Con questo volume l’a., giornalista e saggista con interessi per la storia economica e sociale del Mezzogiorno e con all’attivo monografie e saggi sulle storie di famiglia, ricostruisce le vicende dei Porro di Andria, drammaticamente noti per l’efferato eccidio delle due anziane sorelle Luisa e Carolina, avvenuto nelle convulse, tragiche giornate che nei primi di marzo del 1946 vedono la città di Andria protagonista di violenti scontri tra il movimento bracciantile e la borghesia agraria. Con la cronaca del massacro si apre e si chiude il libro. Tra il Prologo e l’Epilogo, lungo un arco cronologico di circa tre secoli (dal ’700 al ’900), l’a. ripercorre le tappe di ascesa economica e sociale della famiglia andriese, mettendo in luce – con uno scavo documentario condotto in più luoghi della memoria (biblioteche e archivi di Stato, comunali, parrocchiali, privati) – le strategie che hanno determinato il graduale salto dalla condizione di «vaticali» (come sono censiti nel ’700) a quella di «massari», «una collocazione sociale di cerniera tra gli strati della grande proprietà fondiaria e quelli della restante popolazione rurale» (p. 53). Dalla prima metà dell’800, grazie a spirito di intraprendenza e spiccata propensione al rischio, i Porro, con declinazioni differenti per i tre rami in cui si divide la famiglia nel tempo, riescono a capitalizzare le risorse originarie e ad accedere agli strati più elevati della società, arrivando a distinguersi come proprietari terrieri e a ricoprire nel ’900 incarichi anche nell’ambito della politica cittadina. Si tratta di costanti che si riscontrano nei percorsi di scalata di molte famiglie del Mezzogiorno: alleanze matrimoniali, reti relazionali nella comunità, amministrazione di grandi masserie, compravendite di fondi gestiti a conduzione diretta; ma anche investimento nell’istruzione secondaria e nelle carriere (in questo caso, ecclesiastiche e liberali).
Nel corso della narrazione, che spazia dal registro scientifico a quello più squisitamente romanzato, l’a. tenta di contestualizzare il racconto familiare nel quadro storico generale, richiamando con taglio manualistico i passaggi più rilevanti della storia nazionale (e meridionale in particolare) dal XVIII secolo all’immediato secondo dopoguerra. Manca, però, l’inquadramento storiografico. La bibliografia di riferimento è datata e per lo più limitata a studi di erudizione locale. Le fonti, notevoli per numero e interesse (con predilezione per gli atti notarili), non godono di respiro interpretativo (come pure dimostra, sul piano dell’impostazione strutturale, la mancanza di introduzione e conclusioni) rispetto agli stimoli che vengono dalla letteratura, in particolare dalle ricerche sulle storie di famiglia e sui notabilati, che avrebbero permesso di valorizzare il lavoro a livello comparativo, sottraendolo al rischio di risultare tutto interno alle pur significative documentazioni utilizzate. Anche la lettura diviene in alcuni punti faticosa per le eccessive citazioni di nomi e di circostanze (quali matrimoni, nascite, morti).

Daria De Donno