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Università e movimenti studenteschi nell’Egitto contemporaneo

Patrizia Manduchi
Roma, Carocci, 184 pp., € 20,00

Anno di pubblicazione: 2015

Patrizia Manduchi, professore associato di Storia del mondo arabo contemporaneo
all’Università di Cagliari, presenta una storia dell’università egiziana letta come luogo di
elaborazione politica e fucina di movimenti di opposizione al potere politico in Egitto. Lo
studio copre un arco cronologico che parte dal 1908, anno della fondazione della prima
università egiziana «laica», vale a dire indipendente dall’autorità religiosa di al-Azhar, e si
conclude nel 1981, con la morte di Sadat in un momento di fortissime tensioni politiche
e confessionali che vide gli studenti al centro delle proteste.
Il tema è di grande attualità e impatto emotivo, soprattutto nell’anno in cui la comunità
universitaria e scientifica egiziana e internazionale ha osservato attonita le vicende
legate al brutale assassinio dello studioso italiano Giulio Regeni al Cairo.
Il volume aiuta a comprendere come le università egiziane, laiche soprattutto, ma
anche quelle religiose, abbiano esercitato un ruolo di primissimo piano nella formazione
di giovani sensibili e critici nei confronti del potere in età contemporanea, prima nei
confronti della monarchia khediviale e, a partire dal 1952, verso la leadership militare che
ha guidato il paese.
Per fare questo, l’a. si serve di alcuni studi fondamentali per la storia dell’università
egiziana, quelli di H. Erlich (1989), M.D. Reid (1990), G. Gervasio (2007) e A. Abdalla
(2008), che sono citati ampiamente nel corso della sua ricostruzione e costituiscono il
nucleo essenziale delle fonti utilizzate. Dallo studio emerge non solo come l’università sia
stata un luogo privilegiato della formazione di una moderna e consapevole identità egiziana,
ma anche come tale processo sia stato sempre condizionato dalla politica e dall’islam
nelle sue varie manifestazioni ed espressioni.
Manduchi individua quattro fasi nelle vicende della partecipazione politica degli
studenti egiziani di cui la più interessante è sicuramente quella che ripercorre le vicende
della presidenza nasseriana. In anni in cui le università erano fortemente politicizzate,
l’avvento al potere di Nasser fu decisivo per le sorti dell’istruzione in Egitto e per lo sviluppo
delle università (pp. 107 e ss.). Il 26 luglio 1962 l’università fu dichiarata libera e gratuita.
I risultati delle riforme nasseriane sono contrastanti: aumento dell’accesso agli studi
superiori e, allo stesso tempo, creazione di una classe di giovani colti e laureati con scarse
prospettive di lavoro e futuro. L’inesperienza della leadership militare e la deriva autoritaria
del potere finirono col provocare lo scollamento tra studenti e regime. Di fatto, questo
periodo rappresenta la fase più lunga di quietismo politico e di assenza di manifestazioni
di dissenso studentesco di tutta la storia dell’università egiziana (p. 122).
Nell’ultimo capitolo, la storia dei movimenti studenteschi si intreccia e aiuta a comprendere
la diffusione delle associazioni islamiche che hanno sfidato il potere di Sadat,
fino al suo assassinio nel 1981. In sintesi, un agile volume che attraverso la storia dell’università
aiuta a comprendere le vicende dell’Egitto contemporaneo.

 Paola Pizzo