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Un’odissea partigiana. Dalla Resistenza al manicomio

Mimmo Franzinelli, Nicola Graziano
Milano, Feltrinelli, 222 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2015

Dopo l’interesse dei primi anni ’90, nell’ultimo decennio una parte della storiografia
ha ricominciato a occuparsi del destino delle centinaia di partigiani che, nel dopoguerra,
furono inquisiti e processati per atti commessi durante la lotta di liberazione o immediatamente
successivi alla fine del conflitto, giudicati come delitti comuni. Probabilmente
ciò è stato un riflesso, oltre che dell’affermazione della giustizia di transizione come campo
di ricerca, dell’acceso dibattito politico su i «vincitori» e i «vinti» della guerra civile italiana.
Parallelamente, si è assistito a un rinnovato interesse storiografico per le istituzioni
deputate all’internamento dei malati mentali: tra essi, non rari furono i militanti politici,
dagli anarchici italiani di inizio ’900 ai dissidenti greci rinchiusi nell’isola-manicomio di
Leros negli anni ’60-’70.
Il libro Un’odissea partigiana dello storico Mimmo Franzinelli e del magistrato Nicola
Graziano si colloca all’incrocio di questi due campi di ricerca. Oggetto del volume è,
infatti, il destino dei cosiddetti «pazzi per la libertà», cioè dei partigiani – processati nel
dopoguerra – per i quali gli avvocati ottennero l’attenuante della seminfermità mentale,
nella speranza di ridurre la detenzione carceraria: nonostante fossero perfettamente sani,
essi rimasero ricoverati per anni nei manicomi giudiziari, senza poter usufruire dell’amnistia
Togliatti. Il Pci, nonostante alcune ambiguità, intervenne in loro favore attraverso
alcuni dirigenti: tra essi il più importante fu Angelo Maria Jacazzi, segretario comunista
ad Aversa.
Dopo un’introduzione sui processi antipartigiani nell’Italia del dopoguerra, gli aa.
ricostruiscono la storia del manicomio criminale di Aversa e, attraverso essa, il rapporto
tra psichiatria e fascismo. Sono poi presentate otto storie di «pazzi per la libertà», sette
uomini e una donna.
Le fonti documentarie provengono quasi tutte dall’archivio dell’Ospedale psichiatrico
di Aversa e dall’archivio personale di Jacazzi, anche se la mancanza di note non
permette di identificarle con sicurezza volta per volta. La bibliografia citata – per quanto
fondamentale – appare un po’ datata, non tenendo conto delle ricerche più recenti che
problematizzano la giustizia di transizione, anche con uno sguardo transnazionale.
Il volume sembra inoltre soffrire della mancata distinzione tra i «reati» commessi
durante la guerra civile e quelli successivi, compiuti fino al 1948. Anche se, a livello interpretativo
e storiografico, le «rese dei conti» possono essere contestualizzate nella scia della
ventennale guerra civile italiana, a livello penale si tratta di atti diversi: i magistrati dei
primi anni ’50, al contrario della recente storiografia, non potevano leggere gli eventi in
prospettiva. La ricerca – scorrevole e ben scritta – ha tuttavia l’indubbio merito di riportare
alla luce vicende quasi sconosciute e di contribuire a definire la continuità dello Stato
e la sostanziale invariabilità della magistratura, riprendendo così le intuizioni di Claudio
Pavone e di altri.

 Ilenia Rossini