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Vatican I. The Council and the Making of the Ultramontane Church

John W. O’Malley
Cambridge (MA), The Belknap Press of Harvard University, 307 pp., $ 14,95

Anno di pubblicazione: 2018

La storia del Concilio Vaticano I è stata raccontata più volte. Questa agile ed equilibrata
sintesi dello storico gesuita John O’Malley arriva ultima in una non premeditata
trilogia dei grandi concili ecumenici dell’età moderna, dopo due libri dedicati al Vaticano
II (2008) e al Concilio di Trento (2013). Non si tratta di apportare nuove conoscenze alla
ricostruzione degli eventi, ma – come l’a. sottolinea fin dall’Introduzione – di fornire una
lettura accessibile al più grande pubblico, che possa essere di una qualche utilità anche
agli addetti ai lavori.
Il libro si compone di cinque capitoli contenuti da Introduzione e Conclusioni. Concepito
per un pubblico anglofono, il volume contiene una Bibliografia che raccoglie fonti
primarie e secondarie, un’Appendice con la traduzione inglese della costituzione dogmatica
Pastor Aeternus e una Cronologia a prima vista eccentrica, che va dal sinodo di Pistoia
del 1786 all’annuncio da parte di Giovanni XXIII dell’apertura del Concilio Vaticano II
nel 1960. Se la data finale è tecnicamente corretta – dato che il concilio formalmente non
fu mai chiuso, ma appunto rinviato indefinitamente da Pio IX a un mese dall’occupazione
di Roma da parte dell’esercito italiano, e concluso dall’indizione del successivo – la
traiettoria cronologica illustra la lettura che l’a. ha inteso dare della storia del Vaticano I.
Alla trattazione della storia evenemenziale del concilio sono dedicati gli ultimi tre
capitoli. I primi due sono invece riservati al contesto di lungo periodo in cui si formò la
mentalità prevalente nell’assise ecumenica: l’affermazione della peculiare idea di primato
papale culminata il 18 luglio 1870 con l’approvazione del dogma dell’infallibilità. Questa
preistoria è opportunamente riportata alla reazione della Chiesa al secolo dei Lumi,
e in particolare alla Rivoluzione francese, con le sue implicazioni tanto in ambito civile
quanto in ambito ecclesiastico. Il Concilio viene quindi inquadrato come momento di
definizione della formazione di una Chiesa ultramontana: un processo non riducibile alla
generica crescita dell’autorità papale all’interno della compagine ecclesiastica, ma fenomeno
più generale sorretto da una diffusa spinta da parte di laicato e gerarchie verso la
centralizzazione e la devozione al pontefice romano. È una impostazione indubbiamente
convincente, anche se risulta assente nella pur ricca Bibliografia ogni riferimento agli studi
di ambito soprattutto francese e italiano che hanno con più efficacia tematizzato questo
processo.
L’evento risulta così come punto culminante di una traiettoria predeterminata, diretta
rigidamente dal papa e dalla curia e gestita nella fase assembleare da una maggioranza
determinata a imporre il dogma dell’infallibilità. In quest’ottica, il Vaticano II viene letto
come una reazione e una vittoria postuma della minoranza sconfitta nel Vaticano I, sottovalutando
però quanto distanti fossero le dichiarazioni sulla libertà religiosa e l’atteggiamento
verso il mondo moderno alla metà del ’900 rispetto a quelle dei cattolici anche
più aperti al secolo nell’800.

Ignazio Veca