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Vincenzo Calì, Gustavo Corni, Giuseppe Ferrandi (a cura di) – Gli intellettuali e la Grande Guerra – 2001

Vincenzo Calì, Gustavo Corni, Giuseppe Ferrandi (a cura di)
Bologna, il Mulino, pp. 425, euro 24,79

Anno di pubblicazione: 2001

Non fu solo l’Internazionale dei lavoratori ad andare in frantumi dopo l’agosto 1914. La prima guerra mondiale, infatti, lacerò anche l’?internazionale? della cultura, vale a dire la rete di rapporti, improntati alla collaborazione e alla reciproca stima, che legava tra loro tanti esponenti della vita intellettuale europea. Se quella del 1914-18 fu una guerra totale, ciò avvenne anche perché, in ciascuno degli Stati belligeranti, la maggioranza degli intellettuali ? dagli esponenti delle avanguardie artistiche ai professori universitari ? si trovò direttamente impegnata a sostenere non solo le buone ragioni del proprio paese ma la superiorità etica del proprio schieramento. Su questa ?guerra dello spirito? la storiografia internazionale ha prodotto un buon numero di studi, anche se spesso dedicati a singoli ambiti disciplinari e/o a singole realtà nazionali. Il merito principale di questo volume ? che è il risultato di un convegno organizzato nel 1988 a Trento e compare negli Annali dell’Istituto storico italo-germanico di questa città ? consiste perciò nel tentare una prima comparazione tra le differenti realtà nazionali e tra i diversi ambiti dell’attività intellettuale (scienze sociali, storiografia, scienza economica, psicoanalisi, media, discipline tecnico-scientifiche). Come è quasi inevitabile in un’opera del genere, non tutti i quindici contributi che la compongono risultano egualmente convincenti. Appare assai singolare, ad esempio, l’interpretazione classista proposta da Fausto Curi, il quale ? per spiegare la forte esaltazione della guerra da parte dei futuristi italiani ? chiama in causa niente meno che la loro estrazione sociale ?piccolo-borghese?. Ma nel complesso i saggi sono di notevole interesse. Da segnalare, in particolare, il quadro comparativo fornito da Georg Iggers sugli storici di Germania, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti (che fa però risaltare l’esclusione dell’Italia, incomprensibile in un volume promosso da istituzioni e studiosi italiani) e lo studio di Roberto Maiocchi sugli scienziati italiani, dove si individua nella guerra la prima genesi di quella concezione nazionalista della scienza e delle sue funzioni che poi avrà larga diffusione durante il regime fascista. Tra i contributi dedicati a singole realtà nazionali, particolarmente importante è quello di Bernhard vom Brocke dedicato alla Germania, cioè al paese ? e al ceto intellettuale ? che diede il fuoco alle polveri con la famosa pubblica dichiarazione dell’ottobre 1914, sottoscritta dal 90 per cento dei professori universitari tedeschi. In essa si sosteneva che il destino stesso della cultura europea dipendeva dalla vittoria della Germania e si respingevano le accuse ad un ?militarismo tedesco? che, si proclamava in quella dichiarazione, faceva in realtà tutt’uno con lo spirito di sacrificio e il senso di disciplina del popolo tedesco.

Giovanni Belardelli