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Artico-Tonini

Davide Artico, Terre riconquistate. De-germanizzazione e polonizzazione della Bassa Slesia dopo la II Guerra Mondiale, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 236 pp., € 17,00

L’espulsione dei tedeschi e la polonizzazione dei territori ceduti dalla Germania alla Polonia alla fine della seconda guerra mondiale sono oggetto di un ampio dibattito storiografico. Il pregio di questo libro è di concentrarsi sulla Bassa Slesia, la regione che, prima della seconda guerra mondiale, era abitata da una maggioranza di germanofoni (95 per cento) e da una piccola minoranza polonofona. L’autore descrive le espulsioni dei tedeschi, le istituzioni che le gestirono, le violenze e il nazionalismo a cui si richiamarono i comunisti per giustificare il ritorno «all’alveo materno delle antiche terre dei Piast». Un capitolo del libro è dedicato al caso di Wabrzych, la cittadina alle pendici dei Sudeti nella quale le autorità locali riuscirono a impedire l’espulsione della maggior parte dei tedeschi, per lo più operai qualificati, dichiarandoli «popolazione polacca autoctona delle Terre Riconquistate». Sullo sfondo della guerra civile tra lo Stato e i gruppi della resistenza anticomunista, Artico ricostruisce i conflitti e i meccanismi d’integrazione che si svilupparono tra i tedeschi e i nuovi arrivati dalle regioni orientali polacche annesse all’URSS. Nella lunga introduzione, l’autore inserisce l’esperienza della Bassa Slesia nel più ampio contesto delle pulizie etniche, evidenzia le specificità di questa regione e individua le cause storiche, politiche che portarono alla cacciata dei tedeschi. In questa parte del libro, il lettore cercherà invano un accenno alla seconda guerra mondiale e all’occupazione nazista. Il comportamento dei nazisti in Polonia fu determinante nella decisione presa dalle potenze occidentali, e sostenuta dalle forze della resistenza, di espellere i tedeschi alla fine della guerra. Il terrore e le divisioni su base razziale produssero un imbarbarimento generale della società e un sentimento di vendetta verso i tedeschi, di cui sono testimonianza le memorie del tempo, sia tedesche sia polacche. I tedeschi che vivevano in prossimità dei fiumi Odra e Neisse furono espulsi in massa perché la Polonia voleva assicurarsi il futuro confine occidentale e creare spazio per i rifugiati dall’Est prima dello svolgimento della conferenza di Potsdam. Stalin costrinse la Polonia ad accettare la cessione delle regioni orientali e ad espandersi molto più a Occidente di quanto auspicassero le forze politiche della resistenza. I cosiddetti «rimpatriati» dall’Ucraina e dalla Bielorussia non ritornarono in patria spontaneamente, ma furono espulsi e reinsediati a forza in regioni precedentemente appartenute a un altro stato. Il motivo per cui Artico ha tralasciato questi ed altri fatti importanti è che la sua ricerca vuole dimostrare una tesi prestabilita, secondo la quale il «sedicente» regime marxista polacco era in realtà la reincarnazione della destra nazionalista di prima della guerra, responsabile della «diffusione di stereotipi antitedeschi » dai quali derivano «i conflitti e dunque anche gli spostamenti forzati dell’etnia “altra” da quella dominante» (p. 19).
Carla Tonini

Risposta alla recensione di Carla Tonini

Ho letto con stupore e rammarico la recensione di Carla Tonini al mio libro “Terre Riconquistate”, apparsa sugli Annali SISSCo n. VIII/2007, in cui mi si imputa di aver tralasciato anche soltanto di accennare alla II Guerra Mondiale e all’occupazione nazista. Non riesco a capacitarmi di come possa essere sfuggito a un’attenta lettura il fatto che, nel mio libro, io parlo espressamente ad esempio dei prigionieri politici polacchi costretti dai nazisti ai lavori forzati (p. 60) e della deportazione di popolazione polacca da parte dei nazisti (p. 51). Cito anche in almeno due punti distinti (p. 111 e p. 116) il KZL tedesco di Gross-Rosen, su cui peraltro svolsi a suo tempo ricerche per conto dell’ANED. Tonini parimenti mi accusa di aver tralasciato il fatto che fu Stalin a costringere la Polonia ad accettare lo spostamento dei confini e che i polacchi dell’Est furono espulsi e reinsediati a forza. Non so come non abbia potuto notare che scrivo ad esempio (pp. 5-6 e p. 78) che a fare le spese della polonizzazione forzata ed affrettata della Bassa Slesia non furono soltanto gli espellendi tedeschi, ma anche gli insediandi polacchi, sottolineando inoltre (pp. 15-16) che l’Unione Sovietica funse da “catalizzatore e da acceleratore della de-germanizzazione”. Vero che sostengo che l’accoglienza dei profughi polacchi dall’Est non fu la causa principale dell’espulsione dei tedeschi. Ma da qui ad affermare, come fa Tonini, che ho completamente tralasciato la circostanza dell’espulsione dei polacchi dai territori annessi all’URSS, ce ne passa. Trovo infine del tutto priva di fondamento la critica per cui la mia ricerca avrebbe inteso dimostrare una tesi prestabilita. Sono giunto infatti alle mie conclusioni (ripeto: ci sono giunto, non era il mio postulato di partenza) in seguito all’analisi di centinaia di carte in svariati fondi dell’Archivio di Stato di Breslavia e dell’Istituto per la Memoria Nazionale (IPN) polacco, che ho debitamente riportato in nota e che l’autrice della recensione sarà sicuramente in grado di verificare personalmente; a patto che desideri davvero comprendere su quali fonti io mi sia basato per sostenere le mie tesi, per nulla preconcette.
Davide Artico