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Cattolici e Risorgimento tra nazione cristiana e nazione politica

Giuseppe Battelli

Giuseppe Battelli

Che il Risorgimento italiano, inteso come specifico fenomeno storico e non come più o meno indefinito movimento di idee, si sia compiuto seguendo un cammino che vide il mondo cattolico della Penisola – in linea con quello che si venne delineando al suo interno come l’orientamento largamente maggioritario – restare per lo più estraneo se non addirittura ostile, appare da sempre evidente e non mutabile nemmeno nel clima manifestatosi negli ultimi anni e caratterizzato da più o meno spregiudicati e improbabili “revisionismi” storiografici.
Se tuttavia seguiamo lo sviluppo delle interpretazioni che si sono susseguite nel corso degli ultimi decenni, dobbiamo notare che a partire dal secondo dopoguerra si è sviluppata con forza nella cultura cattolica italiana l’esigenza di rileggere sul lungo periodo la vicenda della presenza dei cattolici all’interno della storia nazionale dell’Ottocento/Novecento e dunque anche del Risorgimento. Esigenza di ritrovare le proprie radici di “cittadini” a pieno titolo del nuovo Stato? Volontà di accreditare di un maggiore spessore storico un fenomeno – la recente conquistata egemonia del partito cattolico nella vita politica della Repubblica – che riguardava a dire il vero nella sua specificità lo scontro ideologico del secondo dopoguerra e il delinearsi di un blocco moderato?
Comunque sia, anche il Risorgimento entrò nell’obiettivo storiografico di quella generazione di giovani studiosi. Vi entrò tuttavia non direttamente, come evento storico specifico, ma piuttosto come ‘luogo’ nel quale anche talune idealità espresse da intellettuali cattolici del tempo ebbero un proprio spazio più o meno importante: giungendo com’è noto ad esprimere, nella loro accezione prevalentemente politica, il cosiddetto “neoguelfismo”. La crisi radicale che sopportarono tali idealità alla prova dei fatti, con la fine del “mito” di Pio IX, la sconfessione di Gioberti, la successiva condanna di varie parti del pensiero rosminiano che ne costituiva un lontano ma chiaro substrato, non vennero accolte come segno di discontinuità all’interno di quella riflessione storiografica. Esistevano infatti più correnti di pensiero all’interno del cattolicesimo dell’epoca e dunque, in un’ottica di differenziazione ma non di reciproca estraneità rispetto ad alcuni cardini del pensiero cristiano, il cammino cattolico rispetto al formarsi dello Stato unitario italiano proseguiva fino a giungere, com’è noto, al punto di incontro di inizio Novecento: clerico-moderatismo, partecipazione alla Grande guerra, ecc. ecc.
Ma nell’ultimo quarto del secolo XX, quale sviluppo ha seguito tale impostazione storiografica? Veicolo principale di analisi è rimasto per lo più il cosiddetto “Movimento cattolico”, attraverso il quale, nelle diverse fasi storiche considerate, è stata dimostrato e misurato il ruolo dei cattolici se non da subito all’interno dell’apparato dello Stato, certo nella guida della società civile (a partire dalla nota distinzione tra “Paese reale” e “Paese legale”). Tale ambito di indagine ha poi abbandonato la sua iniziale e specifica connotazione di studio dell’associazionismo laicale di matrice intransigente per divenire un contenitore sempre più vasto (e in parte indefinito) di ogni espressione della presenza cattolica nel Paese: anche quando tale presenza era stata dichiaratamente avversa a quell’associazionismo.
Qualcosa di analogo sta accadendo in rapporto ad alcuni nodi problematici relativi alla riflessione storiografica sul rapporto tra i cattolici italiani e il Risorgimento. Vale a dire: così come il “movimento cattolico” è venuto assumendo – nella rilettura storiografica – un carattere sempre più onnicomprensivo e centrale rispetto alla presenza del mondo ecclesiale ed ecclesiastico in Italia, altrettanto sta avvenendo rispetto al problema della costruzione dello Stato/nazione italiano e al ruolo in esso avuto dalla componente cattolica. Quasi che – è stato scritto – gli stessi esponenti del mondo laico risorgimentale non avessero in fondo fatto altro che ripensare in chiave immanente principi e valori comunque provenienti da quella radice religiosa.
Come sempre in questi casi non mancano sfumature e differenziazioni tra gli esponenti più grevi di questo impianto interpretativo (che si limitano a proporre modelli di rilettura assolutamente ideologizzati) e gli esponenti più acuti e rispettosi di una più rigorosa metodologia storiografica, che ad esempio hanno tentato di ripercorrere il cammino del pensiero cattolico rispetto all’idea di “nazione”. Ma non c’è dubbio che essi hanno in comune molti limiti: la ricostruzione ha per lo più un profilo teorico/sociologico (cioè non segue l’andamento effettivo degli eventi storici che accompagnarono lo sviluppo delle idee); tiene conto in forma e misura inadeguate del peso decisivo che ebbero i pronunciamenti del magistero, in particolare quelli papali; infine non tematizza mai, se non incidentalmente, il concetto e la prassi di “egemonia” del potere da parte cattolica, quasi che tutto dovesse ricondursi per definizione a un’ottica di mero “servizio”, e non si intrecciasse invece – come per altre epoche è norma e oggetto di indagine – con un rapporto problematico tra fede e politica.