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Donne e uomini nei lavori atipici

Annalisa Tonarelli

Annalisa Tonarelli

Lo sviluppo, o la nuova centralità, assunta anche nel nostro paese nel corso degli ultimi anni dai lavori così detti atipici è riconducibile ad una serie di trasformazioni che hanno coinvolto, secondo una logica all’insegna della crescente flessibilizzazione, non soltanto il mercato del lavoro ma anche i modelli produttivi e regolativi. Pur nella loro diversità queste forme di “travail sens emploi” impongono, per la loro stessa natura, una capacità nuova da parte dei soggetti interessati di comporre esperienze lavorative all’interno di un percorso professionale sensato e capace di accrescere le competenze individuali. Tale capacità si declina differentemente in base al genere, l’età, la professionalità, il capitale culturale e quello sociale dei soggetti coinvolti. Ciò significa, in concreto, che tanto più l’esperienza lavorativa è temporanea e/o frammentaria tanto più essa acquisisce un pieno significato se inserita all’interno di un percorso professionale e più in generale di vita degli uomini e delle donne che ne sono protagonisti. Le condizioni di lavoro dei lavoratori atipici – uomini e donne – non possono quindi essere comprese se non in una prospettiva dinamica capace di inquadrare l’esperienza lavorativa nel più globale processo di costruzione dell’identità lavorativa e personale di ogni singolo soggetto. Il lavoratore che si colloca in una posizione atipica può infatti essere tale perché escluso dall’accesso alla scalata delle gerarchie del lavoro, come nel caso dei giovani, oppure essere stato espulso da una traiettoria di carriera, normalmente a causa di un licenziamento involontario o (soprattutto per le donne) in virtù di incompatibilità tra le esigenze private e domestiche e quelle del mercato del lavoro. Ne discende un’importante indicazione di carattere metodologico, ma anche analitico. Per valutare la precarietà di una occupazione atipica, non solo non è sufficiente considerare le caratteristiche intrinseche dell’occupazione svolta ma neppure individuarne le caratteristiche estrinseche e, più in generale il grado di benessere momentaneo che si associa allo svolgimento di tale attività. Uno è il senso di precarietà derivante dal fatto di svolgere un lavoro temporaneo se si è giovani e si stanno muovendo i primi passi all’interno del mondo del lavoro, diverso invece se lo stesso lavoro viene svolto da un soggetto in età avanzata dotato di un proprio bagaglio di esperienze e di responsabilità familiari. Ugualmente, la stessa collaborazione esterna può essere un di più che si cumula alla normale attività svolta da un professionista ovvero può rappresentare per un giovane alle prime armi l’unica fonte di guadagno nonché la sola possibilità di ingresso nel modo del lavoro.
E’ a partire da questa prospettiva ed adottando una lettura gender oriented che, nel corso dell’intervento, verranno analizzati i risultati di alcune indagini empiriche condotta in Toscana nel corso degli ultimi anni sul tema del lavoro atipico.