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Elisa Giunipero

Dottore di Ricerca, Università Cattolica di Milano
Essere cinesi e cattolici dopo la rivoluzione comunista

I cattolici cinesi si trovarono negli anni Cinquanta, dopo l’espulsione dei missionari stranieri dalla Cina popolare, di fronte al difficile compito di essere al tempo stesso – per così dire –  pienamente cinesi e pienamente cattolici. Da una parte, la Chiesa ricordava il dovere dei cattolici di amare e servire la propria patria ma negava ogni possibilità di collaborare alla politica religiosa promossa dal governo comunista cinese, dall’altra, il governo maoista garantiva la libertà di credo religioso ma ammetteva la pratica religiosa solo nell’ambito di associazioni patriottiche, controllate dal Partito comunista cinese e vincolava i cattolici alla costruzione della nuova patria socialista.

Una parte dei cattolici cinesi scelse di aderire al progetto di una “Chiesa indipendente e autonoma”, voluta dal governo popolare mentre un’altra parte continuò ad opporsi a tale disegno. I primi furono accusati di essere “collaborazionisti” del partito di Mao da parte di alcuni ambienti missionari, proprio negli anni successivi alla cosiddetta “scomunica dei comunisti”. Si trattò tuttavia di una forma di “collaborazionismo” del tutto particolare in quanto volta paradossalmente proprio a salvare i legami con Roma e evitare la nascita di una Chiesa cinese scismatica. I secondi furono accusati, da parte dei comunisti cinesi, di essere “collaborazionisti” degli imperialisti stranieri che, dopo aver umiliato la Cina nel tentativo di colonizzarla, ora, approfittando della copertura religiosa, in realtà lavoravano per il ritorno di Chang Kai-shek e volevano il  fallimento della rivoluzione comunista in Cina.

Al di là delle accuse di parte, è possibile, attraverso un’analisi storica basata su fonti sia in lingue occidentali che in cinese, analizzare queste due forme di “collaborazionismo” delineandone i tratti salienti e tale operazione ha una sua grande attualità dal momento che la situazione del cattolicesimo cinese creatasi negli anni Cinquanta, che vede una distinzione tra una comunità cosiddetta “patriottica”, ufficialmente riconosciuta dal governo e una comunità cosiddetta “clandestina”, perdura fino ad oggi e rappresenta sia per Roma che per Pechino un problema per molti versi ancora da risolvere.