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Eric Gobetti

(Università di Torino)
Infedelta’ balcaniche: lo stato indipendente croato e il collaborazionismo cetnico nella seconda guerra mondiale

Amici dei nemici

Lo spazio jugoslavo durante la seconda guerra mondiale appare alla maggior parte degli studiosi come un groviglio inestricabile, fatto di appartenenze politiche, etniche, nazionali in contrasto fra loro. Ancora più oscuro e spaventoso appariva questo mondo agli occupanti italiani, che ne hanno lasciato un chiaro segno in numerosi libri di memorie. Il tratto più distintivo della situazione sembra essere l’insicurezza, l’incertezza circa l’appartenenza dei soggetti jugoslavi ad uno od all’altro schieramento in guerra.

Italiani e croati: un’alleanza innaturale

Un mese dopo l’invasione e lo smembramento della Jugoslavia, nel maggio del 1941, la situazione appariva chiara. Gli italiani e i tedeschi erano alleati con il nuovo stato collaborazionista croato guidato dagli Ustaša di Ante Pavelic. La Serbia era un paese sconfitto e occupato e i serbi (anche quelli presenti in altre parti della Jugoslavia) erano dunque identificati come i più pericolosi nemici dell’Asse. La Croazia, che aveva proclamato un re di casa Savoia, apparteneva di diritto alla sfera d’influenza italiana nei Balcani, e il suo duce (Poglavnik) Ante Pavelic era reduce da una permanenza in Italia durata 12 anni.

Tuttavia il nazionalismo italiano e quello croato erano sempre stati in conflitto fra loro. Occupando territori adiacenti, croati e italiani erano spesso stati spinti a combattersi fra loro e a rivendicare gli stessi territori come appartenenti al sacro suolo nazionale. I principali leader nazionalisti croati avevano diffidato del nazionalismo italiano quanto di quello serbo e la stessa alleanza tra gli Ustaša e il regime fascista si era rivelata fallimentare dopo l’attentato di Marsiglia del 1934.La definizione del nuovo confine fra Italia e Croazia, che attribuì alla prima gran parte della Dalmazia (a stragrande maggioranza abitata da popolazioni slave) creò i presupposti per una atmosfera di diffidenza reciproca, destinata ad incancrenirsi nei due anni di occupazione militare italiana.

Collaborazionismo cetnico

In seguito alle stragi perpetrate dagli Ustaša contro la popolazione serba e alla conseguente rivolta militare contro lo stato croato, nell’estate del 1941, le truppe italiane si trovarono di fatto a proteggere e poi incoraggiare le bande armate nazionaliste serbe. Soprattutto a causa della cronica debolezza militare italiana, i comandanti dell’esercito in Croazia stipularono un’alleanza di fatto con le bande cetniche, arrivando addirittura, nell’estate del 1942, a creare una vera e propria unità ausiliaria composta da migliaia di irregolari serbi (MVAC).

A loro volta i leader nazionalisti serbi trovarono nell’esercito italiano un appoggio utile e insperato contro le pressioni ustaša. In sostanza cercarono di utilizzare questa alleanza per potenziare il proprio equipaggiamento bellico e trovarsi, alla resa dei conti, in posizione predominante anche rispetto ai partigiani di Tito. Ufficialmente però anche i centici appartenevano al campo partigiano (anzi furono i primi in Europa ad essere riconosciuti tali) e combattevano contro gli occupanti. I leader che strinsero alleanza con i generali italiani non facevano mistero della loro fedeltà al governo jugoslavo in esilio a Londra (schierato con gli Alleati) pur collaborando più attivamente degli stessi Ustaša alla guerra antipartigiana. Va detto tra l’altro che sia l’esercito cetnico di Mihailovic, sia quello partigiano-comunista di Tito erano formati in larghissima maggioranza (almeno fino al 1943) da serbi.

Identità musulmana e le bande cetniche musulmane

La popolazione musulmana jugoslava, in particolare quella residente in Bosnia-Erzegovina, non aveva un’identità nazionale fortemente condivisa. Di fatto era l’appartenenza religiosa che li distingueva dal resto della popolazione jugoslava, anche se era diffuso un vago sentimento identitario turco. Durante la guerra questa popolazione venne sottoposta a fortissime pressioni da parte degli aggressivi nazionalismi circostanti. La Croazia di Pavelic tentò di assimilare la popolazione musulmana, così da ottenere una superiorità anche numerica sui serbi di Bosnia, avvalorando la tesi che si trattasse di slavi convertiti forzatamente all’islam. Il nazionalismo serbo tendeva invece a negare un’appartenenza etnica slava alla popolazione musulmana bosnica e ad identificarla con gli invasori turchi dei quali anche la Serbia aveva subito il dominio per 500 anni. La soluzione prospettata dai principali ideologi cetnici era dunque quella dell’eliminazione e dell’allontanamento.

Schiacciati da queste due offensive i musulmani di Bosnia si trovarono costretto a compiere nette scelte di campo, in contrasto con la loro appartenenza identitaria fluida. Nella maggior parte dei casi, soprattutto all’inizio, la propaganda assimilatrice croata ebbe la meglio, spingendo molti giovani ad arruolarsi nelle bande ustaša. In seguito la delusione verso il governo croato, fortemente clericale e chiaramente disinteressato a proteggere i villaggi musulmani dalle vendette serbe, spinse molti, nonostante il forte tradizionalismo della società bosniaca, a parteggiare per l’esercito comunista ma soprattutto sovra-nazionale di Tito.

Certamente la vicenda più curiosa riguarda invece un piccolo distaccamento cetnico-musulmano, fondato in Erzegovina nella prima metà del 1942 e in seguito accorpato alle truppe ausiliarie cetniche dell’esercito italiano. Comandato da un politico musulmano locale, Ismail Popovac, l’odred musulmano era di fatto una sorta di milizia di villaggio, composta da un migliaio di uomini e soggetta al comando militare cetnico. Essa diede pessima prova di sé durante la battaglia della Neretva, nel febbraio del 1943, durante la quale venne totalmente dispersa. Poche settimane dopo Popovac veniva ucciso in un misterioso agguato partigiano, al quale scampavano altri leader cetnici serbi…

Conclusioni

Sia il collaborazionismo croato degli Ustaša sia quello serbo dei cetnici appaiono in contraddizione rispetto alle appartenenze identitarie e agli scopi dichiarati dei rispettivi movimenti nazionalisti. Il collaborazionismo ustaša risulta incoerente rispetto alle aspirazioni nazionali croate, di fatto rese impossibili dall’alleanza con l’Italia. Ciò spiega anche il basso livello di consenso, rispetto all’entusiasmo iniziale, mantenuto dal regime. Il collaborazionismo cetnico appare incoerente rispetto alla fedeltà al proprio governo e agli Alleati, e alla dichiarata volontà di combattere prima di tutti gli occupanti. Tanti fattori contribuirono ad avvicinare le bande cetniche di Bosnia e Croazia all’esercito italiano, tuttavia a nessuno dei protagonisti sfuggiva l’assurdità di quella alleanza. Tanto meno agli Alleati occidentali, che scelsero poi di sospendere il proprio appoggio a Mihailovic proprio a causa delle sue scelte collaborazioniste.

In entrambi i casi comunque non si trattò di nette scelte di campo ma di situazioni fluide, caratterizzate dalla continua diffidenza reciproca con le autorità italiane e da una certa permeabilità con l’esercito partigiano di Tito.