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I “confini” della guerra

esperienza di guerra e guerra come trauma (Italia 1940-1995)
Coordinatrice:Elena Cortesi (Università di Bologna)
Giovedì 22 settembre
II Sessione: 16.00-20.00
Aula 3

Il temine “confini” ha il doppio senso di: guerra come esperienza liminare; “reali” confini spaziali (spazio esterno e interiore) e soprattutto temporali dell’esperienza di guerra: quando inizia la II guerra mondiale per i singoli individui e i diversi gruppi? Quando finisce? Quanto in profondità entra e agisce? Su cosa si ripercuote? Fino a quando? Quante generazioni coinvolge e in che modo?. L’idea di proporre questo gruppo seminariale nasce, infatti, dalla constatazione che il secondo conflitto mondiale è stato un trauma nodale per le generazioni che l’hanno vissuto – constatazione che può apparire ovvia, ma che in realtà è un’acquisizione piuttosto recente per la storiografia italiana con la quale si sono dovuti confrontare tutti i relatori che partecipano al panel nei loro lavori di ricerca su aspetti e protagonisti diversi della II guerra mondiale –, e dal desiderio di capire se, in che modo e quanto in profondità quel trauma ha modificato aspetti fondamentali della vita quotidiana, della cultura, dell’immaginario, del modo di sentire, di agire, di comunicare e di rapportarsi agli altri, verso la vita e verso la morte, ripercuotendosi, quindi, sulle generazioni successive, fino a noi. Partendo dall’analisi del “durante” dell’esperienza della II guerra mondiale – un “durante” visto da differenti prospettive: le diverse esperienze, e il rapporto tra loro, delle donne “a casa” e degli uomini al fronte; l’esperienza dei militari (ufficiali in particolare), di uomini cioè che, per scelta, dovere o destino, hanno “agito la guerra”; e quella di donne, resistenti e ausiliarie, che hanno scelto o non hanno potuto fare a meno di “agire violenza”; l’esperienza dei partigiani e quella delle comunità che dalla realtà della guerra, dalla guerra militare, dalla guerriglia e dalla guerra civile sono uscite straziate nel “corpo” e nella memoria –, vorremmo in questa sede seminariale proporre e confrontare alcuni primi sguardi al “dopo”: alle conseguenze di quell’esperienza sulla/e mentalità degli italiani nei cinquant’anni successivi.

Programma
  1. Elena Cortesi (Università di Bologna) – Donne e militari: la difficile comunicazione tra le “due” esperienze di guerra durante e dopo il secondo conflitto mondiale

    Dalle lettere rimaste negli archivi della censura postale (fonte che sto analizzando da alcuni anni) emerge l’incapacità, o impossibilità, o non volontà, delle donne “a casa” e degli uomini al fronte di comunicarsi vicendevolmente la propria reale esperienza di guerra, per vari motivi il principale dei quali sembra essere l’idea, a volte convinzione, di non poter essere capiti da chi sta vivendo “un’altra guerra”. Da una prima verifica su fonti soggettive posteriori, pare che questa mancanza di comunicazione e l’idea che più la motiva si siano protratte anche dopo la guerra, spesso fino a “oggi”, soprattutto in casi di esperienze liminari. Questo, oltre a condizionare inevitabilmente il passaggio dell’esperienza di guerra alle generazioni successive, carica di nuovi significati le recenti categorie storiografiche di “guerra come deprivazione”, “guerra come evento separatore”, “guerra come trauma”.

  2. Gian Luca Balestra (Centro interuniversitario di Studi e Ricerche storico militari) – Un ufficiale nuovo? L’esperienza della guerra nella formazione degli ufficiali italiani (1947-1957)

    L’accademia militare di Modena riprese l’attività didattica nell’autunno 1947, dopo una sospensione di poco più di quattro anni durante i quali il fascismo era definitivamente caduto, l’Italia aveva mutato le proprie alleanze internazionali, la monarchia era stata sostituita dalla Repubblica. Di fatto, l’istituto si trovò ad operare in un quadro istituzionale e strategico-militare europeo radicalmente trasformato, se non stravolto, con un compito apparentemente immutato: formare il “nuovo” ufficiale moderno. Quali canoni educativi furono adottati? Quali furono gli insegnanti? Quale esperienza di guerra venne trasmessa agli allievi? In quale modo? Dalle fonti interne all’istituto (le memorie storiche, le relazioni dell’ufficio studi, le sinossi, gli annuari dell’accademia, etc.), e da quelle ministeriali (le circolari, gli annuari dell’esercito, etc.), si evince una realtà eterogenea.

  3. M. Eleonora Landini (Università di Genova) – L’esperienza della violenza agita nelle memorie delle resistenti e delle ausiliarie

    La mia analisi segue su un percorso che, muovendo dal condiviso retroterra culturale che segna gli anni di formazione di resistenti e ausiliarie, si articolerà tenendo presente, quale fattore comune, l’esercizio di una pratica – quella della violenza politica – che tradizionalmente appartiene al maschile. Per mezzo di una memorialistica contrapposta e lungamente censurata, attraverso cui declinare orientamenti e comportamenti antitetici, mi propongo dunque di adottare una prospettiva che legittimi alcune affinità nelle scelte di tali donne, in primis l’eversione dei confini stabiliti e la trasgressione alla norma dell’estraneità femminile dalla cittadinanza e, conseguentemente, dall’agire pubblico e dall’uso della violenza.

  4. Massimo Storchi (Polo Archivistico – Comune di Reggio Emilia) –L’esperienza partigiana come esperienza/trauma, tra scelta, combattimento e ritorno alla “normalità”

    Il tema della scelta dell’azione partigiana è strettamente connessa alla scelta della violenza da agire in prima persona. Una scelta che lascia tracce profonde non solo nel corso della lotta armata ma che definisce e influenza anche la creazione di percorsi di vita nel dopoguerra. La riflessione si incentra sull’analisi delle esperienze di due partigiani combattenti, colti nel passaggio fra scelta della lotta armata, azione della violenza e impossibilità a riprendere la “normalità” della vita civile. Due combattenti, due figure con incarichi di comando, che si trovano nella impossibilità di (ri)trovare la loro dimensione di rapporto non solo con i compagni di lotta ma anche all’interno delle loro comunità di appartenenza.

  5. Enrica Cavina (Università di Bologna) –«Guerra contro i civili»: lo scambio esperienziale tra generazioni e culture diverse come veicolo per volgere il trauma verso una memoria critica?

    Nel corso delle mie ricerche sulle stragi contro i civili compiute da nazisti fascisti durante la II guerra mondiale, non ho incontrato casi di superamento del trauma vissuto. Le persone che ho conosciuto sono “andate avanti” accettando la convivenza non solo con il dolore della perdita ma soprattutto con la sensazione viva della violenza ricevuta. I sentimenti che più spesso affiorano sono quelli dell’incredulità e dell’odio. La loro memoria traumatizzata non ha permesso rielaborazioni capaci di allontanare l’inquietudine della violenza vissuta ma ha piuttosto fissato quel momento come fulcro della loro vita. Ciò che noi proporremo è una serie di esperienze legate alla memoria delle stragi durante le quali il discorso sulla necessità di promuoverne una memoria critica ha aperto un inaspettato confronto con coloro che per molti anni non hanno ritenuto possibile comunicare la propria esperienza.

Discussant: Graziella Bonansea (Società italiana delle Storiche)