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I DOTTORATI DI RICERCA IN STORIA CONTEMPORANEA

di Enrico Francia

Il nuovo dottorato di ricerca

La riforma del sistema universitario ha prodotto significativi cambiamenti anche per il dottorato di ricerca, sia nella sua collocazione all’interno dell’iter formativo, sia nella sua organizzazione e la sua articolazione.
Il rapporto finale della commissione ministeriale di studio per l’attuazione dell’autonomia universitaria, presieduta da Guido Martinotti, collocava il dottorato di ricerca al terzo livello della struttura didattica universitaria – dopo la laurea e la laurea specialistica -, insieme alla Scuola di specializzazione, ma ben distinto da essa, in quanto il dottorato è “curricolo specificamente indirizzato alla ricerca e pertanto chiaramente differenziato dalla Scuola di specializzazione indirizzata a professioni (…)”. Aggiungeva inoltre che il dottorato “non deve essere orientato solo verso l’ambiente accademico, né rappresentare un gradino nella relativa carriera; anche attraverso intese con il sistema produttivo, vanno potenziate le valenze del Dottorato orientate verso la ricerca applicata”[1] . Questa collocazione del dottorato veniva confermata dalla seconda nota di indirizzo ministeriale sull’autonomia, che definiva il dottorato come. “finalizzato alla formazione alla ricerca di alta qualificazione nei diversi ambiti scientifici e tecnologici. Vi si accede – nell’ordinamento attuale, salvo future modifiche – dopo il diploma di laurea. Si conclude con il conseguimento del titolo di dottore di ricerca, spendibile in tutti i settori ed enti, pubblici e privati, ove si svolga attività di ricerca, nonché per l’accesso agli impieghi e alle professioni che richiedano specifiche competenze ed attitudini alla ricerca di base o applicata”[2] .
Nel frattempo, recependo le indicazioni della legge che aveva dato il via alla riforma (legge 15 maggio 1997, n.127) e della relazione Martinotti, l’articolo 4 della legge 3 luglio 1998, n. 210 (Norme per il reclutamento dei ricercatori e dei professori universitari di ruolo) provvedeva a modificare profondamente la natura e l’organizzazione dei dottorati di ricerca. Innanzitutto l’istituzione dei corsi di dottorato veniva trasferita alle singole università, un’istanza che si era manifestata già nel corso degli anni ’80[3] . Le università “con proprio regolamento, disciplinano l’istituzione dei corsi di dottorato, le modalità di accesso e di conseguimento del titolo, gli obiettivi formativi ed il relativo programma di studi, la durata, il contributo per l’accesso e la frequenza, le modalità di conferimento e l’importo delle borse di studio”. La valutazione dei requisiti di idoneità dei corsi di dottorato è effettuata dal Nucleo di valutazione interna, sia al momento della loro istituzione sia periodicamente, con relazioni che sono poi trasmesse all’Osservatorio per la valutazione del sistema universitario. Il successivo regolamento ministeriale determinava i requisiti generali di idoneità per l’attivazione dei dottorati e fissava alcuni punti fermi nella disciplina e nell’organizzazione dei corsi (durata minima, obiettivi formativi, accesso, borse e contributi)[4] .
Al di là di alcune osservazioni critiche sugli effettivi margini d’autonomia per le università [5] , la normativa statale ha sicuramente prodotto alcuni significativi cambiamenti che possono così essere elencati: l’indicazione di un’attività formativa da tenere nel dottorato con programmi di studio e soggiorni all’estero; la possibilità di mettere a concorso più posti delle borse di studio disponibili (le borse devono comunque coprire almeno la metà dei posti) e di attivare dottorati “mediante convenzioni con soggetti pubblici e privati”; il pagamento di un contributo per l’accesso e la frequenza dei corsi di dottorato; l’opportunità per i dottorandi di una limitata attività didattica; la formazione su base locale delle commissioni giudicatrici per l’accesso ai corsi, mentre per il conseguimento del titolo la Commissione deve presentare almeno due membri esterni, indicati però dal Collegio docenti. Tanto le norme generali quanto i regolamenti attuativi delle università hanno conferito sicuramente ai dottorati di ricerca un percorso formativo meglio definito che in passato [6], ma consentendo comunque ai singoli corsi – in base alle proprie specificità disciplinari e scientifiche – di scegliere un modello organizzativo che si muove tra “il modello di scuola di dottorato (con all’interno curricula offerti agli studenti tramite veri e propri corsi d’insegnamento, oltre naturalmente alla ricerca personale e diretta) […] e il modello di corsi di dottorato più specifici e non strettamente riconducibili a settori disciplinari né a curricula predeterminati” [7]. Inoltre la possibilità di mettere a concorso posti senza borsa ha aumentato il numero dei dottorandi, anche se è ancora presto per capire se e come i dottorandi senza borsa, soprattutto per l’area umanistica, riescano ad avere finanziamenti per le loro ricerche. D’altra parte l’autonomia ha determinato un aumento del numero dei dottorati e un conseguente forte decremento dei consorzi; tale cambiamento ha accolto le ragioni di chi vedeva nelle istituzioni consortili dei dottorati, largamente diffuse nel vecchio dottorato [8], un ostacolo di natura logistica e organizzativa. Questa dimensione locale del dottorato rappresenta uno degli elementi caratterizzanti del nuovo ordinamento, che peraltro presenta non poche incognite relative al livello scientifico e professionale dei dottorati istituiti, al tipo e alla qualità dei percorsi formativi che sarà possibile mettere in piedi soprattutto nelle realtà più piccole, alle possibilità di scambio e di relazioni nazionali-internazionali che tali dottorati saranno in grado di attivare.

L’"eccellenza" e i dottorati di ricerca

Quasi in risposta a questi dubbi sulla natura del nuovo dottorato, si è andato delineando nel corso degli ultimi anni un altro tipo e/o un altro livello di dottorati, che è strettamente legato a quella dimensione dell’ordinamento universitario che viene definita dell'”eccellenza” e dell'”alta formazione”. Questo livello della formazione universitaria e della ricerca è stato costantemente promosso dai governi che si sono succeduti (tanto di centro-sinistra quanto di centro-destra), ha ricevuto un’inusitata attenzione dei mass media [9], ed è oggetto di continue riflessioni, proposte, iniziative da parte di buona parte del mondo universitario, a tal punto da far diventare “l’eccellenza” una sorta di parola-passepartout per segnare l’accesso nell’Olimpo della qualità. Ma proviamo a vedere di cosa si tratta, esaminando le tre principali forme istituzionali che essa ha assunto: le Scuole di alta formazione [10]; le Scuole Superiori; i Centri di eccellenza.
Nel Decreto ministeriale per la Programmazione del sistema universitario per il triennio 2001-2003 (8 maggio 2001, prot. n. 115/2001), uno degli obiettivi previsti è il sostegno e l’incentivazione di alcune “iniziative” – come le definisce il Ministero -, individuate in via sperimentale (ne sono elencate quattordici [11]), “finalizzate a costituire poli di riferimento di alta qualificazione, per grandi aree disciplinari o tematiche di ricerca, in ordine alla promozione e al consolidamento di corsi di dottorato di ricerca e di correlate attività di ricerca avanzata, con l’obiettivo di favorire il pieno inserimento di dottori di ricerca nel sistema della ricerca nazionale nelle sue diverse componenti”. Tali iniziative devono garantire un qualificato livello scientifico dei promotori, l’inserimento “in reti nazionali e internazionali di collaborazione interuniversitaria”, un’attività che privilegi “il ricorso a una pluralità di competenze con approccio sia multidisciplinare che interdisciplinare”. Esse inoltre devono garantire la presenza di personale docente o ricercatore da impiegare nell’attività di ricerca, la disponibilità di strutture che permettano sia lo svolgimento dei seminari sia la residenzialità dei dottorandi, e risorse finanziare pari al 50 per cento del contributo ministeriale, che è fissato nel triennio in 60 miliardi di lire. Va infine notato che le borse per i dottorati di ricerca inseriti all’interno di tali “iniziative” devono essere assegnate per il 50 per cento a laureati provenienti da altra sede universitaria Alla fine del triennio di sperimentazione ciascuna delle 14 strutture selezionate, se avranno risposto agli obiettivi e alle caratteristiche richieste, potranno dar vita ad una “Scuola di dottorato di ricerca di alta qualificazione”. L’individuazione di sedi privilegiate della ricerca da parte del ministero ha suscitato le perplessità del Comitato di valutazione nazionale che nella relazione sul Decreto di programmazione avanza dubbi “circa l’opportunità di individuare da parte dell’Amministrazione Sedi alla formazione della ricerca privilegiate, quando in molte discipline scientifiche l’atteggiamento prevalente a livello internazionale, relativamente ai corsi per i dottorati di ricerca, è quello di finanziarli con fondi di ricerca, lasciando alla libera dinamica dello sviluppo scientifico di selezionare le sedi ove concentrare le risorse” [12]. Esaminando alcune delle “iniziative” finanziate, si può notare come alcune di esse per il momento si limitino ad unire dottorati già esistenti in una struttura che, come ad esempio fa la Scuola superiore di Studi umanistici di Bologna, “provvede loro servizi scientifici e didattici di interesse comune, organizzando seminari interdottorali” [13]; altre – è il caso dell’Istituto di Studi Umanistici: Antichità – Medioevo – Rinascimento di Firenze – muovono da questo tipo di organizzazione con l’intento però di creare uno specifico dottorato [14]; e infine vi sono strutture che hanno già dato vita ad un corso di dottorato secondo quanto previsto dal Decreto ministeriale. È questo il caso della Scuola europea di studi avanzati che ha sede presso l’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa e che nasce da una convenzione con l’Istituto Universitario Orientale e l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. La Scuola “attiva dottorati di ricerca e attività di ricerca post-dottorato nei settori disciplinari delle scienze umane” [15] , e ha pubblicato nell’aprile scorso il primo bando di concorso per il dottorato, nel quale è previsto che il 50 per cento delle borse siano riservate a candidati provenienti da università diverse da quelle che pubblicano il bando (Suor Orsola e Orientale). Anche la Scuola superiore per l’alta formazione universitaria, che ha sede presso l’università di Napoli Federico II, ha appena attivato un corso di dottorato in Cultura storico-giuridica ed architettonica in età moderna e contemporanea nell’area mediterranea, articolato in due indirizzi: “La cultura storica e giuridica del Mediterraneo in età moderna e contemporanea” e “Programmazione dell’ambiente Mediterraneo”. Questa Scuola nasce da un consorzio formato dall’Università di Napoli e da quattro soggetti privati (gruppo San Paolo Imi, società Elasis – Fiat, Tim, e Unione industriali di Napoli), e ciò costituisce secondo quanto dichiarato dal rettore Fulvio Tessitore al momento della firma del protocollo d’intesa (11 aprile 2001) “il primo caso in Italia di istituzionalizzazione del segmento x (quello successivo alla laurea triennale ed a quella specialistica), che deve garantire il contatto tra la formazione universitaria e la produzione e la ricerca non universitaria” [16]. La Scuola, retta da un Consiglio di amministrazione formato dal Rettore, il direttore amministrativo dell’ateneo e dai rappresentanti delle 4 società consorziate, è strutturata in quattro classi (scienze morali e politiche, scienze economiche e giuridiche, scienze medico farmaceutico e agroalimentari, e scienze applicate), che curano e organizzano master, scuole di specializzazione e dottorati. Frutto di un’unione tra mondo imprenditoriale e università, al fine di garantire “una formazione su misura per le aziende che la richiedono” [17], la Scuola può godere di un fondo consortile di 250 milioni di lire (50 milioni per ciascun contraente), ai quali per l’esercizio finanziario 2001 vanno aggiunti i 714.286.000 stanziati dal Miur secondo quanto previsto dal Decreto sopra ricordato dell’8 maggio.
Proprio nei giorni in cui questo Annale si chiude, queste quattro istituzioni umanistiche hanno infine dato vita all’Istituto italiano di scienze umane, che secondo quanto riportato dal “Corriere della Sera” vuole essere “la prima ‘alta scuola’ nazionale di formazione, perfezionamento (dopo il dottorato o il master) e di sostegno alla ricerca in campo umanistico: letteratura, linguistica, filosofia, diritto, storia, sociologia, antropologia” [18].
Nel quadro dell’alta formazione tanto universitaria quanto postuniversitaria si collocano anche le Scuole superiori. Alle Scuole di antica (la Scuola Normale Superiore di Pisa) e più recente tradizione (la Scuola superiore di studi universitari e di perfezionamento “S. Anna” di Pisa, la Scuola internazionale superiore di studi avanzati di Trieste – Sissa -), negli ultimi anni si sono affiancate la Scuola Superiore di Catania, l’Istituto Superiore Universitario di Formazione Interdisciplinare di Lecce (Isufi), l’Istituto Universitario di Studi Superiori (Iuss) di Pavia. Sulla scorta del modello pisano della Sns, le nuove scuole superiori offrono “percorsi formativi pre-laurea e post-laurea di alta qualificazione, mirati, da un lato, alla piena valorizzazione di giovani dotati di particolari capacità intellettive e cognitive, dall’altro, alla preparazione di una classe dirigente che, nei vari settori operativi, rispondesse alle concrete esigenze di professionalità espresse dalla società moderna, il tutto in un’ottica di integrazione europea” [19]. Tra il febbraio del 1997 e il maggio del 1998 le Scuole superiori di Catania, Pavia, Lecce hanno sottoscritto con il Ministero accordi di programma che prevedono una fase di sperimentazione nel corso della quale le Scuole si impegnano a attivare “formazione integrativa per gli iscritti ai corsi di laurea” e “perfezionamento post-laurea, compreso il dottorato” rispettando alcuni requisiti di base (concorsi nazionali per l’ammissione, residenzialità degli studenti, contratti a termine per i docenti, controlli periodici di qualità), mentre il Ministero da parte sua si impegna a finanziare tali iniziative. Tutte queste Scuole, tanto quelle di antica formazione quanto le nuove, hanno infine sottoscritto tra loro un accordo di collaborazione “finalizzato all’avvio ed alla conduzione di progetti pilota comuni nel campo della formazione universitaria, della formazione post-universitaria, dell’alta formazione e della ricerca, che si caratterizzino per la rilevanza generale che rivestono e la loro pertinenza alla specificità istituzionale e funzionale delle Scuole Superiori” [20]. Per quello che riguarda la formazione postlaurea, mentre la Scuola Normale Superiore e il S. Anna continuano i loro corsi di perfezionamento assimilabili ai dottorati di ricerca, le nuove scuole per il momento non hanno attivato corsi autonomi di dottorato, ma piuttosto sembrano indirizzate da un lato a fornire ai dottorandi della locale università strutture, insegnamenti e specializzazioni ulteriori (è il caso della Scuola Avanzata di Formazione Integrata che fa capo allo Iuss di Pavia [21]), dall’altro a organizzare master e corsi di formazione avanzata nei settori della ricerca e delle professioni [22].
Un ulteriore tassello dell’alta formazione e della ricerca è rappresentato infine dai Centri d’eccellenza. Indicati tra gli obiettivi del sistema universitario nei decreti di programmazione per il 1998-2000 e per il 2001-2003, questi Centri vengono finanziati dal Ministero sulla base di progetti di ricerca presentati al vaglio di una Commissione di esperti che si avvale del parere di referees anonimi. Per poter accedere al cofinanziamento ministeriale tali Centri devono presentare alcune caratteristiche che sono così elencate: “inter/multidisciplinarietà delle tematiche di specializzazione al fine di acquisire nel medio/lungo periodo le opportunità delle interdipendenze e delle convergenze tecnologiche nella innovazione economica e sociale”; “integrazione delle attività di ricerca con attività di alta formazione mirata a potenziare la base scientifica e tecnologica nazionale ed a generare imprenditorialità in attività economiche innovative”; “acquisizione di processi di partneriato scienza-industria a sostegno della ricerca strategica delle medio-grandi imprese e dell’attrattività di investimenti diretti esteri di multinazionali operanti in settori ad alta intensità di conoscenza”; “assunzione di strategie organizzative coerenti con lo sviluppo di reti di cooperazione nazionale ed internazionale incentivanti il richiamo di ricercatori italiani attivi all’estero e di personalità scientifiche di livello internazionale, nonché la mobilità dei ricercatori tra Università, enti pubblici di ricerca, centri di ricerca privati” [23]. Il Decreto Ministeriale individua anche le 5 aree tematiche generali entro le quali devono muoversi progetti e centri d’eccellenza: 1. Biotecnologie e Biomedicina; 2. Società dell’informazione; 3. Aspetti giuridici, economici e sociali di interazione comunitaria ed internazionale; 4. Tecnologie innovative applicate alle scienze umane; 5. Dinamiche e controllo dei processi di dissesto idrogeologico del territorio (art. 7). Nella prima procedura di selezione sono stati individuati e finanziati 45 progetti di centri d’eccellenza (d.m. 31 gennaio 2001; d.m. 2 aprile 2001), tra i quali per l’area tematica 4, quella riguardante le scienze umane, va segnalato il Crie, Centro di ricerca sulle istituzioni europee, presso l’Istituto universitario Suor Orsola Benincasa. Finanziato per 1596 milioni di lire, il Crie intende “predisporre gli elementi teorici e analitici per una riformulazione delle categorie storiche, giuridiche e politiche della europea, secondo un modello idoneo a profilare percorsi di alta formazione e specializzazione per ricercatori e operatori in ambito europeo […]. L’obiettivo consiste nel dispiegamento di metodologie, indagini comparate, integrazioni e intersezioni tematiche tra diversi saperi ed anche tra diverse sedi europee, allo scopo di comprendere i fenomeni in atto e di fornire supporti culturali alle agende politiche. (…) L’attività di ricerca del Centro intende caratterizzarsi per il superamento degli steccati disciplinari e per una messa a fuoco degli intrecci dei diversi piani e dei diversi saperi, senza per questo rinunciare al profilo specialistico dei singoli apporti, necessario ad arricchire effettivamente il campo di analisi dei problemi [24].
Il Crie si articola in quattro settori di ricerca: giusfilosofico, storico (diretto da Piero Craveri) logico, giuridico-economico; al Centro inoltre afferisce il Cirlpge (Centro Interuniversitario di Ricerca sul Lessico Politico e Giuridico Europeo) [25]. Per quello che riguarda il settore storico del Crie, esso prende la denominazione di “Laboratorio di documentazione storica e storiografica” (LaDdos) ed è diviso in due sezioni, medievale (“Centro di studi su manoscritti e cultura del Mezzogiorno medievale”) e moderna/contemporanea (“Centro di studi sui sistemi politici europei” [26]). Tra i numerosi obiettivi di ricerca e didattici del LaDdos [27] vi è anche l’istituzione di dottorati di ricerca
Come ho cercato di mostrare, analizzando le principali forme assunte dall'”eccellenza” si tratta di una realtà in rapida e, a volte, non molto coerente espansione, che raccoglie in pieno gli spazi e le opportunità create dall’autonomia. Al di là delle verifiche sul livello scientifico-didattico e sull’attività effettivamente svolta, questo piano della formazione universitaria pone almeno due ordini di problemi. Il primo è di carattere generale e riguarda quello che Salvatore Settis, direttore della Sns, la più antica e prestigiosa forma di eccellenza nel sistema universitario italiano pre-riforma, definisce “l’eccellenza autoreferenziale”: “come si fa ad essere d’eccellenza nel momento stesso in cui si nasce? L’eccellenza non dovrebbe piuttosto essere valutata , e valutata ex-post (cioè dopo sicuri, solidi risultati), e valutata sulla base di chiari standard internazionali da altri, diversi da chi a tale qualifica aspira? Che credibilità può avere, e agli occhi di chi, chi autoproclama la propria eccellenza? O forse l'”eccellenza” universitaria è una formula passepartout, che nasconde l’idea di creare delle “isole felici” rispetto a un’università tutta puntata sulla didattica? Va allora detto nel modo più chiaro, prima ancora di dire quale può essere la funzione di scuole come la Normale, che lo snodo fra ricerca e didattica è vitale in tutta l’università; in ogni università che voglia essere degna di questo nome”[28]. Pur sottoscrivendo l’accordo con le altre Scuole superiori, Settis ha ribadito in più occasioni la necessità di dare contenuti all’eccellenza indicando la Normale come modello: “Non dobbiamo essere contrari alla nascita di altre scuole, ma nel progettarle è necessario avere in mente un modello preesistente, e questo in Italia non può che essere, per ragioni storiche, la Scuola Normale. Mi preoccupa l’ipotesi che si parta con un progetto di “scuola d’eccellenza” senza determinare a priori che cosa essa sia, senza sapere come se ne costruisce la qualità, senza dotarla di sedi, laboratori, strutture decenti. Si corre il rischio di usare questa etichetta perché “è di moda”, e quindi richiama finanziamenti, attenzioni, studenti. Se vengono meno certi presupposti, un giovane ingegno può essere attratto da una semplice definizione priva di contenuti e mancare un’occasione importante per la sua vita. La mia unica raccomandazione è che alla base di queste nuove realtà si pongano delle norme certe e garantite, e la Normale intende lavorare al fianco delle altre scuole perché così avvenga” [29].
Settis evidenzia poi l’altro pericolo insito in questo continuo dibattere e rincorrere l’eccellenza, ossia la separazione del mondo universitario tra “teaching universities” e “research universities”, tra un mondo della ricerca fatto di scuole di alta formazione, eccellenza, “isole felici” per docenti e ricercatori (a prescindere però spesso dagli effettivi contenuti), e poi il resto dell’università, immerso quasi esclusivamente nella didattica per i quasi due milioni di studenti. Tale prospettiva di sviluppo del sistema universitario sembra coinvolgere anche i dottorati, che, pur essendo di per sé il momento “alto” della formazione, potrebbero finire per avere anche essi due livelli, come lasciava esplicitamente intendere il ministro Zecchino in un’intervista al “Corriere della Sera”: “dobbiamo riconoscere che nel nostro Paese i dottorati di ricerca nella media non hanno realizzato un’elevazione della qualità ma sono scaduti ad aiuti finanziari postlaurea per gli studenti. Ma ora ci proponiamo di potenziare i dottorati di qualità [….]. Puntiamo a sostenere quelli che si caratterizzano con un impegno dei docenti e un utilizzo delle strutture quasi esclusivo o esclusivo. Il dottorato deve disporre di risorse umane, finanziarie e strutturali tutte rivolte a questa funzione” [30]. Se questa è la strada, però, andrebbe chiarito cosa segna e come si valuta la differenza tra il dottorato per così dire “normale” che si è voluto anche riformare, e questi dottorati “di qualità”, al di là delle differenti risorse economiche di cui disporranno. Come cercherò di mostrare nelle pagine che seguono, sono stati creati o modificati dottorati in storia contemporanea che non hanno nulla da invidiare – anzi – a quanto possono offrire i centri d’eccellenza o i vari istituti d’alta formazione, per ciò che concerne i docenti presenti, l’organizzazione dei corsi, i contenuti didattici, le iniziative promosse.
Solo tra qualche anno sarà possibile comprendere e valutare le caratteristiche e il peso assunto dai vari dottorati. D’altra parte, a tre anni dall’entrata in vigore della nuova disciplina sui dottorati, credo che sia utile fornire un primo quadro della situazione dei dottorati in storia contemporanea, esaminando come si sono trasformati i dottorati esistenti prima del 1999, quali nuovi dottorati sono stati istituiti, quale organizzazione si sono dati. Vorrei provare a rispondere a queste domande, partendo però da alcune osservazioni preliminari su autonomia universitaria e informazione.

L’informazione sui dottorati e le fonti di questa ricerca

Fino al 1998 il giovane laureato che volesse sapere quali dottorati esistessero, i posti messi a concorso e le scadenze per la presentazione delle domande, aspettava con ansia un numero della Gazzetta Ufficiale che usciva tra luglio e agosto, nel quale era contenuto il bando generale dei dottorati. Era una scadenza fissa che permetteva al laureato di Udine di sapere che a Catania c’era un dottorato che poteva interessarlo e viceversa. Ora in ragione dell’autonomia o forse, spero, di un assestamento nelle procedure di attivazione dei dottorati, questi bandi risultano spalmati lungo almeno 5-6 mesi (così risulta dalla tabella presente nel sito del Miur per i cicli XVII e XVI). I tempi ristretti per la presentazione delle domande – trenta giorni – congiurano poi a sfavore del nostro coscienzioso e volenteroso laureato, che aspira a provare più concorsi. Internet potrebbe ovviare a tutto ciò, come dimostra l’esperienza positiva delle procedure di valutazione comparativa. Per il primo ciclo del nuovo dottorato il Ministero, via Cineca, ha istituito nel suo sito una banca dati che però non ha dato grande prova di sé; se provate infatti per esempio a digitare nel search “Camerino” non troverete alcun bando, mentre l’elenco dei bandi presente nel file “a fianco” dice che a Camerino ci sono stati dei bandi di dottorato. Quali? andare alla Gazzetta Ufficiale. La banca dati non è andata oltre questo poco felice esperimento e per i due anni successivi il Ministero si è limitato a elencare per ciascuna università il numero della GU su cui era uscito il bando e l’indirizzo internet generale dell’università, ossia www.unian.it, www.uniba.it, etc., informazione di relativa utilità in quanto le pagine web dedicate al dottorato sono spesso non semplicemente raggiungibili all’interno dei siti universitari.
Questo difficile e limitato accesso all’informazione rappresenta certo un prezzo “tecnico” da pagare all’autonomia, ma potrebbe anche contribuire ad accentuare la dimensione locale dei dottorati anche sul piano del reclutamento. Tra qualche anno una buona ricerca statistica sui concorrenti e i vincitori dei posti di dottorato potrà confermare o fugare questi dubbi.
Il web si è rivelato comunque la fonte principale per la ricerca che ho condotto sui dottorati di ricerca in storia contemporanea. Solo attraverso l’esame dei siti internet di tutte le università italiane, ho potuto costruire la tabella 1, nella quale sono presentate le informazioni fondamentali su ciascun dottorato, ossia nome, sede amministrativa, dipartimento di afferenza, coordinatore, università consorziate, settori disciplinari e/o curricula, numero di posti e numero di borse. I dati si riferiscono, tranne un paio di caso segnati con asterisco, al bando del XVII ciclo (anno 2001-2002). Il quadro che ho ricostruito presenta comunque, come si può direttamente constatare consultando la tabella, alcune zone d’ombra e probabilmente imprecisioni delle quali mi scuso in anticipo con i diretti interessati, derivanti in larga parte dall’estrema disomogeneità delle informazioni presenti nei siti delle università: Si va infatti da università che a mala pena conservano in rete l’ultimo bando, ad altre che forniscono elenchi precisi dei dottorati attivati con link ai dipartimenti di afferenza. Una disomogeneità che diventa ancora più macroscopica se si esaminano le pagine web dedicate ai propri dottorati dai dipartimenti o dalle facoltà. Così mentre il dottorato in Teoria e storia della modernizzazione e del cambiamento sociale in età contemporanea (Siena) o quello in Teoria e storia della formazione della classe dirigente (Roma, III) presentano sulla rete dettagliate informazioni sul corso, i docenti, i dottorandi, le linee di ricerca, persino i libri consigliati per sostenere la prova d’ammissione, vi sono dottorati che nella rete sono praticamente inesistenti. E ciò non vale solo per università piccole o per dottorati di recente formazione: così ad esempio i dottorati de “La Sapienza” non solo non hanno specifiche pagine web, ma non è possibile rintracciare (almeno a me dopo ripetuti tentativi non è riuscito) informazioni di base come il nome del coordinatore o il collegio docenti. Informazioni che si riescono a trovare per il dottorato in Storia delle società contemporanee di Torino, ma non si va molto oltre, e ciò è decisamente sorprendente per uno dei dottorati in storia contemporanea con la tradizione più lunga e consolidata. Il problema riguarda forse a dir la verità più che i dottorati in sé, i siti web dei dipartimenti di afferenza; laddove sono estremamente poveri o praticamente inesistenti come a Roma, stessa sorte seguono le informazioni sui dottorati.

Quali dottorati

Nella tabella 1 sono stati inseriti tutti i dottorati nei quali la storia contemporanea fosse presente nei curricula o nei settori disciplinari indicati nei bandi, e anche i dottorati appartenenti a settori disciplinari affini o molto vicini – storia economica, storia delle relazioni internazionali, storia delle istituzioni, etc. -. Questo criterio inclusivo deriva da due considerazioni: la prima, e forse la più importante, è che per avere un quadro complessivo degli studi di storia contemporanea in Italia non è possibile limitarsi ai soli dottorati di storia contemporanea “generale” (ad es. Roma, Torino) o che abbiano indicato esplicitamente il settore disciplinare MO4X (ora M-STO/04); la seconda è che chi consegue un dottorato in storia delle relazioni internazionali o delle istituzioni politiche non è detto che debba proseguire la sua carriera, e forse anche i suoi interessi di ricerca, esclusivamente all’interno di questi settori disciplinari. Esiste infatti una mobilità dei “non strutturati” sicuramente maggiore rispetto a quella possibile una volta nei ruoli, una mobilità data sia dalla necessità di appoggiarsi nella fase aurorale della carriera a istituzioni, forme di finanziamento, occasioni di lavoro spesso diverse da quelle del dottorato specialista, sia dal limitato spazio di reclutamento che alcuni di questi settori garantiscono e che portano dottori di ricerca in storia delle relazioni, o in storia delle istituzioni a rivolgersi a concorsi in M-STO/04. Esiste d’altra parte anche il caso contrario, ossia dottori di ricerca in storia contemporanea “generale” che riescono a trovare un posto nei ruoli spostandosi su settori affini più ricchi di posti. Insomma nella individuazione dei dottorati non ho seguito rigidità disciplinari che hanno poco senso in questo contesto, e ho inserito tutti i dottorati nei quali fosse presente in qualche modo la possibilità di ricerche in storia contemporanea.
Gli stessi criteri hanno guidato l’elaborazione della tabella 2, dedicata al vecchio dottorato, e costruita sulla base dei bandi generali dal 1995 al 1998 conservati nel sito Miur; le informazioni raccolte sono le stesse presenti nella tabella 1 con l’eccezione del nome del coordinatore.

I dati generali

Sulla base delle fonti e dei criteri sopra indicati, ho potuto censire 60 dottorati, distribuiti in 32 sedi universitarie per il nuovo dottorato, e 50 dottorati in 28 sedi per il vecchio. Nel nuovo ordinamento ho individuato solo 15 dottorati frutto di un consorzio con più università; anche se si tratta di una cifra non certa perché questa informazione non è sempre presente nelle pagine web esaminate, si può comunque notare un netto cambiamento rispetto al passato (nei bandi dal 1995 al 1998 del vecchio dottorato le sedi consorziate erano 36 su 50). In due casi (un discorso a parte riguarda i dottorati di alta formazione, vedi sopra) ho potuto rintracciare un accordo di collaborazione con enti esterni all’università: a Trento il dottorato in Studi storici agisce in collaborazione col Centro di studi storici Italo-germanici in Trento e l’Istituto Trentino di Cultura di Trento e a Torino il dottorato in Studi Politici Europei ed Euro-americani ha come istituzioni afferenti la Fondazione Einaudi e la Fondazione Firpo. Il numero dei posti (tutti con borsa) messi a concorso nei dottorati individuati nel periodo 1995-1998 era di 132, nei dottorati dei nuovi cicli di cui abbiamo trovato questo dato (54 su 61) i posti sono passati a 285, di cui 154 con borsa. Infine alcuni dottorati hanno borse di studio finanziate dall’esterno come quello in Discipline storiche di Bologna, quello in Storia dell’Italia contemporanea. Politica, territorio, società (Roma III), e i due dottorati di Verona, che usufruiscono ciascuno di una borsa di studio della Cariverona.

Tipologia dei dottorati

Ho cercato di delineare alcune tipologie di dottorati in storia contemporanea, sia per il vecchio che per il nuovo ordinamento, in relazione al diverso profilo scientifico-disciplinare: dottorati dedicati esclusivamente alla storia contemporanea; dottorati in storia che abbracciano un arco cronologico più ampio della storia contemporanea; dottorati in discipline specialistiche affini. Nella prima categoria (indicata nella tabella con scg) sono compresi dottorati con denominazione estremamente generale come Storia delle istituzioni e della società nell’Europa contemporanea (Milano) o più specifica come i dottorati dedicati allo studio del movimento sindacale, dei partiti, delle istituzioni politiche, delle élites. Tra i dottorati a larga campata cronologica (indicati con sg), la maggior parte comprendono la storia contemporanea e quella moderna, ma nel nuovo ordinamento vi sono anche tre dottorati che partono dalla storia antica. Infine per i dottorati in discipline affini ho inserito quelli in storia economica e sociale (se), quelli in storia internazionale (sri), quelli in storia religiosa (srel), quelli in storia delle dottrine e del pensiero politico (sdp). Credo che questa classificazione, per quanto pecchi di semplificazioni e forzature, possa essere uno strumento utile per sviluppare il discorso sui dottorati in storia contemporanea.

1. Dottorati in storia contemporanea generale

Rispetto ai bandi del vecchio dottorato, le novità più rilevanti per questa tipologia riguardano: la trasformazione del dottorato “specialistico” di Genova che passa da Storia delle Americhe al tema più ampio de Le società europee e le americhe in età contemporanea, e l’istituzione del dottorato in Teoria e storia della modernizzazione e del cambiamento sociale in età contemporanea di Siena. Al di là della denominazione, il nuovo dottorato genovese presenta nel ciclo XVII delle linee di ricerca ben definite che sono: “scritture popolari, oralità e alfabetizzazione fra Otto e Novecento; trasformazioni sociali e costruzione dell’identità nazionale nell’Italia fra le due guerre; culture popolari e modelli di consumo nelle società euroatlantiche; immagini e presenze americane nell’Europa del secondo dopoguerra; emigrazioni europee verso le Americhe”. Antonio Gibelli, coordinatore del dottorato, scrive nella relazione di presentazione che “il Dottorato si propone la formazione di ricercatori esperti nella storia della modernizzazione, con particolare riferimento alla realtà italiana inserita nell’orizzonte delle trasformazioni internazionali e dei rapporti di culture tra il mondo europeo e il mondo americano (secoli XIX e XX)”. L’arco cronologico preso in considerazione va dal tardo Ottocento alla metà del Novecento, con una spiccata attenzione però ai processi di sviluppo e di cambiamento tra grande guerra e anni cinquanta in Italia. Seminari e esercitazioni archivistico-bibliografiche per i dottorandi saranno incentrati poi “sull’analisi di fonti per lo studio della soggettività, della mentalità e della memoria, come le testimonianze scritte della gente comune, e sulle espressioni della cultura popolare, da tempo al centro degli interessi del gruppo di docenti proponenti il dottorato”. La composizione del collegio docenti e il richiamo a temi della storia americana in altri punti della relazione di Gibelli lasciano capire che l’intento è quello di conciliare la tradizione americanistica del dottorato con nuovi interessi di ricerca. Ciò si evidenzia anche dalle ricerche dei dottorandi: delle quattro presenti in rete 3 sono dedicate ai temi della cultura popolare nel Novecento (scuola elementare, stampa popolare, epistolari della grande guerra), ed una invece all’evoluzione del pensiero strategico americano negli anni Cinquanta.
Anche il dottorato di Siena mette al centro del suo programma di ricerca la modernizzazione, ma in questo caso la declinazione rimane più generale rispetto a Genova e viene invece sottolineato l’approccio interdisciplinare: “il dottorato ambisce a superare la tradizionale partizione tra dimensione politica, dimensione economica e dimensione sociale dei processi storici e, pertanto, si distingue per la considerazione privilegiata rivolta: 1. ai fenomeni di mutamento che investono i rapporti tra istituzioni-società, economia-società, tecnica-società; 2. alle modalità e alle forme sociali di produzione e comunicazione culturale; 3. al profilo sociale delle trasformazioni territoriali ed ambientali” [31]. Le ricerche dei dottorandi, i cui curricula sono presenti in rete, si muovono quindi dalla storia dei movimenti politici a quella delle trasformazioni socio-economiche.
Sostanzialmente immutate sono vocazioni e caratteristiche degli altri dottorati che ho compreso in questa categoria. La storia politica e delle istituzioni rimane il tratto caratterizzante dei dottorati Ceti dirigenti e potere pubblico nella storia dell’Italia contemporanea (Roma I), Teoria e storia della formazione della classe dirigente (Roma III), Storia dei partiti e dei movimenti politici (Urbino), Storia politica dell’età contemporanea, sec. XIX e XX (Bologna) e Costituzioni ed amministrazioni di età contemporanea. Storia e comparazione (Pavia), mentre Storia delle società contemporanee (Torino), Storia delle istituzioni e della società nell’Europa contemporanea (Milano), Storia dell’Italia contemporanea: Politica, territorio, società (Roma III) conservano un profilo ampio di ricerche, che va dalla storia sociale alla storia politica, delle istituzioni.
Tra i dottorati già esistenti nel precedente ordinamento che hanno formulato un preciso programma di ricerca e di lavoro spicca sicuramente quello di Roma III, Teoria e storia della formazione della classe dirigente. Partendo dal presupposto metodologico che lo studio delle élites politiche possa essere condotto solo attraverso una prospettiva inter e multidisciplinare, il programma formativo è stato strutturato in tre moduli: modulo politologico, modulo storico-politico, modulo dedicato agli aspetti istituzionali e costituzionali della rappresentanza politica. Nel collegio docenti sono presenti storici politici, delle relazioni internazionali, delle dottrine politiche ma anche giuristi, scienziati della politica e sociologi. È chiaro che il dottorato, per quanto la componente storica sia maggioritaria tanto nel programma di ricerca quanto nei docenti, si rivolge anche a giovani studiosi delle scienze e delle dottrine politiche.

2. Dottorati generali

In questa tipologia si rilevano novità maggiori rispetto a quella esaminata sopra. Innanzitutto vi è la creazione di ben 11 nuovi dottorati a Bari, Bologna, Firenze lettere, Firenze scienze politiche, Napoli Iuo, Napoli Federico II, Padova, Parma, Trento, Udine, Verona, Vercelli. L’arco cronologico coperto da questi nuovi dottorati è variamente articolato; quelli di Padova e Parma vanno dalla storia antica a quella contemporanea, quelli di Trento, Verona, Vercelli partono dal Medioevo, e i restanti uniscono la storia moderna a quella contemporanea. L’attività didattica proposta in questi dottorati in genere punta sulla definizione di categorie di lungo periodo, sulla comparazione, sull’interdisciplinarietà, su temi trasversali.
I dottorati già compresi nel precedente ordinamento presentano rispetto al passato in alcuni casi mutamenti nelle denominazioni (ad esempio il dottorato di Perugia in Storia urbana e rurale diventa Scienze storiche dal Medioevo all’Età contemporanea), e in altri significativi cambiamenti nell’articolazione disciplinare. Così a Pisa e a Napoli i precedenti dottorati in storia moderna e contemporanea si sono uniti a quelli di storia antica e storia medievale, dando vita a dottorati in Storia. Mutano in questi casi non solo le aree scientifiche oggetto del dottorato, ma anche la composizione del collegio docenti, i percorsi curricolari, il numero e la ripartizione dei posti messi a concorso. A Napoli hanno stabilito così di articolare il dottorato “in due percorsi curriculari, l’antico e il moderno: il primo (antico) presta particolare riguardo ai momenti di interazione tra mondo greco, mondo romano, mondo giudaico, ebraico e cristiano; il secondo (moderno) ai processi di formazione della società europea dall’età medievale all’età contemporanea, analizzati nelle sue articolazioni territoriali e negli aspetti istituzionali, strutturali, politici e culturali” [32].
Ho compreso in questa categoria anche i due dottorati dedicati agli studi di genere, uno già esistente e con un curricolo esclusivamente storico (Storia delle donne e dell’identità di genere, Napoli, Iuo), l’altro istituito solo nei nuovi cicli e comprendente nel suo profilo scientifico anche letteratura, filosofia, psicoanalisi (Studi di genere, Napoli Federico II).
Va infine segnalato il nuovo dottorato di Udine in Culture e strutture delle aree di frontiera che affianca quello di Trieste, nella ricerca geostorica sulle aree di confine e di frontiere

3. Dottorati specialistici (o in materie affini)

Come ho già anticipato, i settori in cui possono esseri divisi questi dottorati sono sostanzialmente 3: storia economica, storia internazionale, ossia storia delle relazioni internazionali e storia dei paesi extraeuropei, storia delle dottrine e del pensiero politico.
Per quanto riguarda la storia economica si deve segnalare innanzitutto l’istituzione di due nuovi dottorati: quello di Roma, Luiss in Storia e teoria dello sviluppo economico e quello di Milano statale in Storia dell’impresa, dei sistemi d’impresa e finanza aziendale. Quest’ultimo, consorziato con altre tre università, è il primo in Italia a occuparsi esclusivamente di storia dell’impresa, e nel suo programma scientifico dichiara di volersi valere delle acquisizioni metodologiche della business history, declinandole però “in una prospettiva più aperta e sensibile tanto alla dinamica macroeconomica che alle specificità del caso italiano […]. Il Dottorato, nel campo così definito e nell’arco cronologico compreso tra età moderna ed età contemporanea, considera il tema dell’efficienza economica dell’impresa intrinsecamente connesso con l’ambiente sociale suo proprio ed anche colla rappresentazione personale che di essa si fanno i protagonisti, imprenditori e lavoratori subordinati, utilizzando a tal fine gli opportuni strumenti scientifici forniti dalle scienze sociali”. L’intento è anche quello di far guadagnare maggiore spazio e ruolo per la storia d’impresa negli insegnamenti universitari italiani.
Rispetto ai bandi del vecchio dottorato si nota l’assenza del dottorato di Storia economica dell’Istituto universitario navale (ora Università Parthenope) di cui non ho trovato traccia nel sito della Facoltà di economia, e di quello di Pisa, che è stato invece inglobato all’interno del dottorato in Economia politica.
Infine un ultimo dato sui posti a disposizione; il numero delle borse di studio per questo gruppo di dottorati è di 17 su 25 posti messi a concorso, una percentuale ben superiore a quella intorno al 50 per cento degli altri dottorati finora esaminati.
Per i dottorati internazionalisti, a parte alcuni cambiamenti di denominazione, nella ricerca tra i bandi di concorso non ho trovato più traccia dei dottorati di Cagliari, Siena, Padova, Roma I (Culture, storia e relazioni internazionali nell’area del Pacifico ), mentre è di nuova istituzione il dottorato di Milano che “propone un’esperienza formativa superiore volta a cogliere le dimensioni internazionali dei processi storici, con esplicito riferimento metodologico alla International History, disciplina solidamente costituita sul piano epistemologico, dotata di specifici strumenti di ricerca e di accreditate istituzioni e periodici”. Il percorso formativo di tipo storico sarà affiancato e integrato “da una preparazione di tipo multimediale generale, che prevede i seguenti stadi: conoscenze generali di informatica; addestramento all’uso dei principali sistemi e programmi oggi disponibili; pratica nell’impiego della comunicazione in rete; problematiche di elaborazione e indicizzazione di testi, suoni e filmati; archivi multimediali”: Si precisa comunque che “gli obiettivi del Dottorato non prevedono una specializzazione nelle discipline informatiche ma l’applicazione di tecniche informatiche a fonti storiche”. Tale formazione vuole essere funzionale alla preparazione non solo di un ricercatore di storia internazionale, ma anche “quella di editore (anche multimediale) per le discipline storiche, di operatore nel settore dell’editoria, dei beni culturali, di gestore di fondi archivistici”.
Al confine tra il settore degli studi internazionali e quello del pensiero politico (indicati nelle tabelle con si) si colloca il dottorato di Torino in Studi Politici Europei ed Euro-americani, che ha “l’obiettivo di offrire una formazione di tipo pluridisciplinare, che permetta di sviluppare la comprensione e lo studio delle interazioni tra le diverse componenti presenti nel processo politico del mondo europeo ed euro-americano moderno e contemporaneo”. Il programma formativo è quindi articolato in tre curricula “Storia internazionale delle aree euro-americane”, “Teoria e scienza della politica”, “Storia del pensiero politico e delle istituzioni”.

Conclusioni

Il quadro che ho fin qui cercato di delineare induce a qualche osservazione conclusiva di carattere generale:
1. Nei nuovi cicli il numero dei dottorati e soprattutto il numero dei dottorandi è decisamente aumentato, mentre il principale – e spesso quasi unico – sbocco professionale per il settore di cui ci occupiamo rimane comunque l’Università, al di là della nuova definizione data al dottorato in sede normativa [33]. Quale sarà la sorte di un così alto numero di potenziali ricercatori ? si possono aprire nuove strade per chi ha conseguito un titolo così poco professionalizzante ma altamente qualificato ? il futuro dei dottori di ricerca si giocherà sulla base del differente rilievo assunto dai dottorati (dottorati di qualità, eccellenza, etc.)?
2. Il regolamento ministeriale prevede che le tematiche scientifiche e le relative denominazioni [dei dottorati] devono essere sufficientemente ampie e riferirsi al contenuto di un settore scientifico disciplinare o di un’aggregazione di più settori” (art. 2, secondo comma). Al contrario di quanto paventato [34], questa indicazione relativa ai settori disciplinari non ha impedito a molti dottorati in storia di puntare sulla multi e interdisciplinarietà, e sulla definizione di percorsi formativi trasversali. Anzi proprio questo tentativo di far dialogare in modo più strutturato le scienze sociali con la storia sembra essere la risposta offerta da diversi dottorati alla necessità di formare ricercatori più “aperti” al confronto culturale e magari in grado di avere maggiori carte da spendere nel confronto con il mondo del lavoro.
3. I percorsi formativi che ho potuto prendere in esame presentano un’articolazione molto differente tra loro, che va dal semplice ciclo di seminari, tenuti spesso da soggetti esterni al dottorato, all’organizzazione di veri e propri corsi, con cicli di lezioni fortemente tematizzate e tenute dai membri del collegio docenti. Se nei prossimi anni quest’ultimo sarà l’orientamento prevalente, resta da capire quanto i Dipartimenti, responsabili dei dottorati, siano in grado di attivare le risorse necessarie per promuovere questo genere di corsi. Ossia, i docenti afferenti al dottorato, ma anche impegnati nel 3+2, quanto tempo e quali energie potranno e/o vorranno investire nel dottorato? quali altre risorse i Dipartimenti potranno mobilitare per consolidare i propri dottorati? Credo che nella capacità di rispondere più o meno positivamente a questi interrogativi risiederà la fortuna dei dottorati e forse anche la possibilità/necessità di tornare ad accorpamenti tra più dottorati, soprattutto per le realtà più piccole o deboli.

NOTE

1- Autonomia didattica e innovazione dei corsi di studio di livello universitario e post-universitario. Rapporto (Testo rivisto nella riunione del 3 ottobre 1997, ultima stesura a cura di Guido Martinotti).
2- Nota di indirizzo 16 ottobre 1998, L’architettura del sistema italiano di istruzione superiore. Indicazioni preliminari all’emanazione dei “decreti di area” per i corsi di studio universitari: una struttura confermata e sviluppata nel Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei (Decreto 21 dicembre 1999, n. 509).
3- Cfr. G. Pelosio, F. Cambi (a cura di), Il Dottorato di Ricerca in Italia : esperienze e prospettive : convegno nazionale promosso dal Ministero della Pubblica Istruzione e dal Ministero per il Coordinamento delle Iniziative per la Ricerca Scientifica e Tecnologica con l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, Parma, 1988.
4- Decreto Ministeriale 30 aprile 1999 n. 224/1999, Regolamento in materia di dottorato di ricerca.
5- Provengono dalla Crui osservazioni critiche su un eccessivo intervento normativo statale (ad es. sulla formazione delle commissioni, sulle modalità d’accesso ai dottorati); cfr. U. Pagano, Il Dottorato di Ricerca: una proposta di nuove regole, in E. Fornasini, P. Nicolosi, E. Stefani (a cura di), Il Dottorato di ricerca. Esperienze a confronto in Italia e in Europa. Atti del convegno nazionale (Padova, 30 aprile 1999), Crui, Padova, 1999, pp. 23-33.
6- Una ricerca di alcuni anni fa segnalava come vizio d’origine del dottorato il suo “essersi […] svolto soprattutto come un periodo di ricerca condotta in collaborazione con un docente […], ma non come un periodo di formazione strutturata […] svolta in un ambiente di fecondo scambio con una pluralità di docenti”; in S. Cesaratto, S. Avveduto, M. Carolina Brandi, A. Sirati, Il brutto anatroccolo. Il dottorato di ricerca in Italia fra università, ricerca e mercato del lavoro, Milano, Angeli, 1994, p. 132
7- L. Modica, Realtà e prospettive del dottorato di ricerca, in E. Fornasini, P. Nicolosi, E. Stefani (a cura di), Il Dottorato di ricerca cit., p. 11.
8- Secondo la ricerca sopra ricordata i consorzi erano attivi nei due terzi dei dottorati, specialmente nelle sedi medio-piccole e al Nord.
9- Si veda ad es. l’articolo di copertina del magazine Il Venerdì de “La Repubblica” del 21 giugno 2002.
10- Cfr. art. 1, comma 15 della legge 14 gennaio 1999, n. 4 (Disposizioni riguardanti il settore universitario e della ricerca scientifica, nonché il servizio di mensa nelle scuole); art. 3, comma 8 del Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei, Decreto 21 dicembre 1999, n. 509.
11- 1) Università di Bergamo – scuola di dottorato in antropologia culturale e discipline demoetnoantropologiche. 2) Università di Bologna – scuola superiore di studi umanistici – dottorati di ricerca in scienze umane. 3) Università di Firenze – istituto superiore di studi umanistici – scuola di dottorato in antichità, medioevo, rinascimento. 4) Università Cattolica di Milano (in convenzione con l’Università di Milano e di Milano “Bicocca”) – scuola di dottorato in economia e finanza dell’amministrazione pubblica. 5) Università di Milano “Bicocca” – dottorato di ricerca in tecnologie per la comunicazione e l’informazione applicate alla società della conoscenza e ai processi educativi. 6) Università “S. Raffaele” di Milano (in convenzione con l’Università di Milano “Bicocca”) – dottorato di ricerca internazionale in medicina molecolare. 7) Istituto universitario “Suor Orsola Benincasa” di Napoli (in convenzione con l’Istituto universitario orientale e l’Istituto italiano di studi filosofici di Napoli) – scuola europea di studi avanzati – dottorati di ricerca in storia, culture e istituzioni dell’Europa moderna e contemporanea. 8) Università “Federico II” di Napoli – scuola superiore per l’alta formazione universitaria – dottorati di ricerca in scienze filosofiche, giuridiche e storiche. 9) Università di Palermo (in convenzione con le Università di Catania e di Messina) – rete per l’alta formazione nell’area euromediterranea – dottorati di ricerca in risorse biologiche del Mediterraneo e in archeologia dell’area mediterranea. 10) Università di Pisa – scuola di dottorato nelle scienze di base (matematica e informatica, chimica, fisica). 11) Politecnico di Torino (in convenzione con i Politecnici di Bari e di Milano) -scuola interpolitecnica di dottorato – dottorati di ricerca in tecnologie per la comunicazione e l’informazione, ingegneria biomeccanica, sicurezza ambientale, logistica della produzione. 12) Università di Roma “Tre” (in convenzione con le Università di Lecce, di Modena e di Sassari) – scuola di dottorato di ricerca in sistemi industriali complessi. 13) Università di Trento – rete italo-tedesca per la ricerca e l’alta formazione – dottorati di ricerca in informatica e telecomunicazioni e in international economics studies. 14) Università “Cà Foscari” di Venezia (in convenzione con l’Istituto universitario di architettura di Venezia e con la Venice International University di Venezia) – dottorati di ricerca in città e ambiente, arte e beni culturali, reti interorganizzative.
12- Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, Programmazione del sistema universitario per il triennio 2001-2003. Rapporto del Comitato, maggio 2001.
13- http://www.sssub.unibo.it/pagine_principali/presentazione.htm. Nella stessa pagina di presentazione si avverte che “la Sssub non prevede iscrizioni e non rilascia diplomi. I suoi studenti sono quelli iscritti regolarmente ai corsi di dottorato esistenti nell’area umanistica dell’Ateneo”.
14- “L’Istituto attiverà un dottorato di ricerca in “Studi Umanistici: Antichità, Medioevo, Rinascimento”, che sarà articolato in tre curricula formativi: Tradizioni letterarie, storia e critica e dei testi; Stili di pensiero e forme culturali; Istituzioni e società. I corsi di alta formazione organizzati dall’Istituto saranno destinati sia agli allievi di questo corso di dottorato, sia agli allievi dei corsi di dottorato già istituiti presso i Dipartimenti dell’Università di Firenze e le altre istituzioni che hanno promosso il progetto. I corsi saranno aperti anche agli allievi di altri corsi di dottorato istituiti presso Dipartimenti dell’Università di Firenze e, previi accordi, agli allievi di corsi di dottorato istituiti presso altre Università italiane e straniere” (http://www.isu.unifi.it/present.html).
15- Le sezioni nelle quali è articolata la Scuola sono Filosofia, Linguistica e Letteratura, Diritto e Storia. Il Consiglio scientifico della sezione storica è composto da Piero Craveri (Direttore), Maurice Aymard, Walter Barberis, Dino Cofrancesco, Paolo Frascani, Giuseppe Galasso, Ernesto Galli Della Loggia, Andrea Graziosi, Paolo Pombeni, Adriano Prosperi, Gaetano Quagliariello, Jacques Revel, Pierangelo Schiera, Alessandro Triulzi.
16- “La Repubblica”, 12 aprile 2001
17- “Il Corriere del Mezzogiorno”, 12 aprile 2001
18- Da sottolineare l’enfasi bipartisan con la quale l’iniziativa è presentata dal “Corriere” attraverso dichiarazioni come quella di Aldo Schiavone, tra i principali protagonisti dell’iniziativa e indicato come possibile direttore dell’Istituto: “Io, uomo di sinistra che resterà uomo di sinistra, devo dare atto al ministro Letizia Moratti di averci sostenuto nonostante tutto sia partito sotto un governo diverso. L’Istituto ha avuto una storia “politicamente trasversale”: le differenze sono state messe da parte nel nome della cultura”, P. Conti, Una scuola di alti studi per evitare la fuga di cervelli. Destra e sinistra diventano alleate nella nascita dell’Istituto italiano di scienze umane, in “Corriere della Sera”, 5 luglio 2002.
19- http://www.unipv.it/iuss/
20- Il testo di quest’accordo firmato dai direttori delle sei scuole il 26 gennaio 2000 è consultabile nel sito internet della Scuola Superiore di Catania (http://www.unict.it/ssc/).
21- “La Scuola Avanzata di Formazione Integrata si propone di integrare le attività post-laurea di tipo specialistico (Dottorati, Scuole di Specializzazione) con contenuti a carattere interdisciplinare che assicurino un bagaglio culturale ampio, diversificato ed aggiornato oggi necessario per coloro che aspirino ad assumere, nei diversi settori, ruoli dirigenziali di alto livello”.
22- A Catania è stato istituito ad esempio un corso di formazione avanzata per dirigente pubblico; a Pavia le Scuole Europee di studi avanzati, istituite all’interno dell’Iuss, hanno come finalità la formazione di figure professionali di alta qualificazione in alcuni specifici settori (cooperazione allo sviluppo, gestione integrata dell’ambiente, etc.).
23- Art. 1, Decreto ministeriale 13 gennaio 2000, n. 11.
24- Queste parole sono tratte dalla sintesi del progetto del Crie, formulato dal proponente rettore del Suor Orsola Francesco De Sanctis (http://cofinlab.cineca.it/sintesi_I_gruppo.html).
25- Attuato in convenzione con l’Istituto Universitario Orientale di Napoli, l’Università degli studi di Bologna, l’Università degli studi di Firenze, l’Università degli studi di Padova e l’Università degli studi di Salerno
26- Questo centro si presenta “come struttura di ricerca volta precipuamente allo svisceramento delle dialettiche tecnico-istituzionali, e per conseguenza politiche, che hanno regolato la vita degli Stati europei in età soprattutto contemporanea, fino alla prima elezione diretta del Parlamento Europeo, che ha dato a sua volta vita a una nuova tipologia di rapporti internazionali. In altre parole, sarà oggetto delle ricerca una analisi comparativa delle intersezioni dei sistemi politici nazionali dei paesi aderenti alla Comunità Europea (ora Unione Europea), dalla sua fondazione ad oggi” (http://www.unisob.na.it/new%20sob/web/index.htm).
27- Essi sono così elencati: “sviluppo di ricerca scientifica nei settori di pertinenza; convenzioni con Enti di ricerca internazionali, nazionali e locali; organizzazioni di convegni nazionali ed internazionali; istituzione di Dottorati di ricerca; istituzione di borse di studio; attivazione di scambi di docenti e ricercatori, per attività di ricerca e di didattica, con Università e centri di ricerca nazionali ed esteri; pubblicazione (sia a stampa, sia su supporto magnetico, sia on-line) dei risultati delle ricerche e delle attività didattiche, sostegno ed integrazione (ex art. 1., lettera o., DM 509/1999) alla normale attività didattica dei Corsi di Laurea (Classe 13 e Classe 41) operanti presso l’Istituto “Suor Orsola Benincasa”; istituzione di corsi di perfezionamento postuniversitario (Master, Corsi di Perfezionamento, Scuole di Specializzazione) nel campo della conservazione e della valorizzazione dei beni culturali”.
28- S. Settis, L’equivoco dell’eccellenza, in “Universitas”, marzo 2002, n. 83.
29- L’eccellenza e i fondamenti del sapere. Intervista a Salvatore Settis, in “Athenet on line. Notizie e approfondimenti dell’Università di Pisa”, febbraio 2001, n. 3 (http://www.unipi.it/athenet/03/approfondimenti/index.html).
30- “Corriere della Sera”, 3 novembre 2000.
31- http://www.gips.unisi.it/modernizzazione/formativo.htm.
32- http://www.storia.unina.it/dottstoria.html.
33- La normativa precedente definiva il dottorato come “titolo accademico valutabile unicamente nell’ambito della ricerca scientifica” (art. 5, L. 341/1980); ora invece, come già ricordato all’inizio di quest’articolo, la legge recita che “i corsi per il conseguimento del Dottorato di ricerca forniscono le competenze necessarie per esercitare, presso università, enti pubblici o soggetti privati, attività di ricerca di Alta qualificazione” (art. 4, L. 210/1998).Non è possibile al momento capire che ricaduta possa avere sul piano occupazionale per i dottori di ricerca in storia il fatto che sia “stato sciolto il (…) vincolo (…) che incatenava inesorabilmente il dottorato di ricerca all’Università, isolandolo per legge e di fatto dal resto della società”, M. Bianchetti, La via italiana al dottorato di ricerca, in E. Fornasini, P. Nicolosi, E. Stefani (a cura di), Il Dottorato di ricerca cit., p. 33.
34- Cfr. L. Modica, Realtà e prospettive, cit., pp. 10-11.