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Identità e cittadinanza nella Grecia moderna

Antonis Liakos
La Collana degli Archivi di Stato
Cittadinanza.
Individui, diritti sociali, collettività nella storia contemporanea

a cura di C. Sorba

I dibattiti sull’identità nelle scienze sociali hanno contribuito a riaprire la discussione storica sulla formazione della moderna identità greca, con una speciale attenzione alla prospettiva culturale. Lo scopo principale di questo intervento è arricchire tale problematica, mettendo in luce la profonda divergenza che in questo caso si individua tra una “comunità culturale” e una “comunità politica”, e sottolineando l’impatto delle strategie politiche e dell’ingegneria sociale sulla formazione del “corpo nazionale” greco. La tipologia di T.H. Marshalll, che definisce tre tipi di diritti (civili, politici e sociali), e li localizza in determinati periodi storici dello sviluppo della società europea, può essere utilizzata qui come un punto di partenza per affrontare il tema del ruolo giocato dalla cittadinanza nel regolare la nazionalità e la società nella Grecia moderna [1].
L’eredità dell’Impero ottomano: il modello “genos” vs “demos”
La Grecia si costituì come stato indipendente nel 1830 dopo una rivolta secessionista dall’Impero ottomano. Pertanto, al fine di esaminare quale sia stato lo sviluppo interno dei diritti e della cittadinanza, è opportuno cercare di tracciare i lineamenti della formazione della società greca nel periodo dell’Impero ottomano. Nell’Impero ottomano i sudditi erano organizzati in Millet, ossia su basi etnico-religiose. Il suddito apparteneva prima di tutto al millet e attraverso questo all’Impero ottomano. Il millet era composto di comunità organizzate su basi extra-territoriali [2]. Che cosa significa tutto ciò per il nostro discorso? Significa che l’organizzazione dell’impero ottomano determinava la partecipazione alle comunità politiche non sulla base di criteri territoriali, bensì culturali. Siamo di fronte cioè a un destino ironico, quello di un impero per eccellenza multi-etnico e multi-religioso che spingeva i suoi sudditi ad associarsi sulla base di criteri quasi esclusivamente etnici e religiosi.
La conseguenza di questa eredità per i popoli balcanici fu uno stretto legame tra etnicità e religione, che, di conseguenza, determinava anche uno stretto legame tra etnicità e cittadinanza. Si trattava di una strada che andava in senso opposto a quella percorsa dai principali esempi di nazionalismo e di costruzione della nazione nell’Europa occidentale, nei quali la cittadinanza era caratterizzata piuttosto da criteri territoriali e non etno-culturali, e l’etnicità era svincolata dalla religione. Questa tradizione fece sì che l’appartenenza fosse fondata esclusivamente su un carattere etno-religioso. In questo modo, veniva stabilito che il presupposto della cittadinanza fosse il ghenos (la popolazione su base etno-culturale) e non il demos (la popolazione su base territoriale).
L’Illuminismo greco e la concettualizzazione dei Diritti
La concettualizzazione della cittadinanza in Grecia non fu però determinata solo dalla eredità ottomana. Gli intellettuali greci furono infatti influenzati anche dalla rivoluzione francese e dall’illuminismo. Uno dei più importanti tra questi intellettuali radicali fu Rigas Feraios. Nei suoi scritti, i diritti civili dipendevano e derivavano dai diritti politici del cittadino, dalla sovranità dei cittadini. Rigas fu influenzato dalle idee sulla cittadinanza di Rousseau, ma questa subordinazione dei diritti civili a quelli politici ebbe larga diffusione anche nella teoria politica greca del periodo pre-rivoluzionario.
Un più attento esame della traduzione di questi termini in greco rivela meglio il modo in cui queste idee furono recepite. La parola usata dal greco contemporaneo per tradurre “diritti” è infatti Dikaiomata, che deriva dalla radice Dikaion (Justice/Droit). Sappiamo che nella Dichiarazione rivoluzionaria francese quel termine veniva usato al plurale, Droits. Gli intellettuali greci del XVIII secolo, che vedevano nei testi francesi il proprio modello di riferimento, tradussero la forma plurale Droits in Dikaia, invece che nell’attuale Dikaiomata. Questa traduzione non è priva di significato poiché, mentre in greco Dikaiomata (diritti) ha un significato soggettivo, nel senso che i diritti appartengono al soggetto, la parola Dikaia (Droits al plurale) ha un significato oggettivo, è il “luogo” della Giustizia. L’idea insomma è che, se i cittadini vivono sotto la sovranità della Giustizia e della Legge e se partecipano alla vita politica, allora posseggono Dikaia (Droits). Così se i diritti erano individuali, il significato di Dikaia riguardava una condizione collettiva. Mentre i diritti rimandano a una libertà di segno negativo (“io sono sciolto da”) i Dikaia si riferiscono al significato positivo di libertà (come il diritto di partecipare alla vita politica) [3]. Nella teoria politica greca i diritti civili sono pertanto concepiti come derivanti da quelli politici e dipendono da questi.
L’eredità della rivoluzione nazionale
Per comprendere come la rivoluzione nazionale greca diede forma istituzionale alla cittadinanza, dobbiamo tenere ben presente il contrasto esistente tra influenze intellettuali e realtà sociali nel corso della costruzione dello stato greco. Durante i dieci anni della rivoluzione greca, furono compresenti due differenti correnti politiche e intellettuali nella formazione della legge costituzionale. La prima, attiva a partire dagli esordi della rivoluzione, era radicale. La seconda, che risale alla fine della rivoluzione e poi segue le prime fasi dell’organizzazione dello stato sotto il primo governatore John Capodistrias e l’installazione del re bavarese Otto, era una corrente conservatrice che si ispirava alle idee dell’età della restaurazione. Da un lato, la corrente radicale creò le forme istituzionali dello stato nazionale, sancì l’abolizione della servitù e della schiavitù, e determinò un diritto alla cittadinanza secondo criteri cultural-nazionali [4]. Così i cattolici e gli ebrei greci furono titolari della cittadinanza ma la popolazione musulmana ne fu esclusa e fu costretta all’emigrazione. Dall’altro lato, l’influenza conservatrice limitò i diritti politici e impose un regime autoritario per trent’anni.
Per quanto riguarda la realtà sociale, dobbiamo tenere presenti due fattori discriminanti. Il primo è che la mobilitazione collettiva nel corso della guerra dei “dieci anni” creò un livello alto di aspettative nei confronti di una partecipazione di massa alla politica. Si pensava che la restrizione dei diritti politici non dovesse durare a lungo. Infatti, trent’anni dopo (nel 1864), fu concesso il suffragio universale maschile. Tuttavia, la struttura sociale e culturale della società agraria greca determinò un fraintendimento dei concetti di cittadinanza così come erano stati importati. Sebbene gli intellettuali radicali avessero concepito la rivoluzione ispirandosi alle idee di nazionalità provenienti dalla rivoluzione francese, la leadership militare e locale, come anche le masse, attribuirono alla rivoluzione significati tradizionali. Questi significati non rafforzavano soltanto il fondamento etno-culturale dell’appartenenza, ma traducevano i diritti politici e civili in una sorta di titolarità nella distribuzione dei benefici del potere. In questo modo il tradizionale clientelismo delle società mediterranee veniva importato nel sistema politico di uno stato di nuova creazione. I partiti politici furono così una metafora delle strutture clientelistiche e il suffragio universale fu trasformato in un meccanismo di negoziazione clientelare del potere. Ciò significa che la partecipazione politica fu concepita e realizzata come estensione dei networks familiari [5]. Così, il clientelismo rappresentò una specifica e peculiare forma di integrazione sociale all’interno del nuovo stato e potrebbe essere definito come “corporativismo clientelare”.
La Grecia fu il primo paese nell’Europa continentale a istituzionalizzare il suffragio universale. Gli studiosi ne hanno proposto due interpretazioni diverse: una strutturale, l’altra storica. Secondo la spiegazione strutturale, il suffragio universale favorì il sistema clientelare in quanto, con la creazione dello stato nazionale, i notabili locali trasferirono il loro potere dalle loro basi regionali alla capitale. Il suffragio universale, di conseguenza, fu uno strumento per perpetuare il loro potere sotto nuove condizioni. In un’ottica storica l’affermazione del suffragio universale è attribuita tanto alle alte aspettative create con la rivoluzione greca, quanto alla conseguente rivolta che si concluse con l’espulsione della prima dinastia.
Per riassumere, la costruzione dello stato greco creò una vita politica con le seguenti caratteristiche. La sovranità politica garantiva i diritti civili, la cittadinanza veniva attribuita solamente secondo criteri etno-culturali e i diritti politici arrivarono quasi nello stesso momento (con un ritardo relativamente poco significativo di trent’anni). In questo modo l’identità nazionale greca era concepita in termini politici, e allo stesso modo la cittadinanza era concepita in termini di identità nazionale. Questa identificazione tra i due piani determinò una differenza di identità tra i greci che vivevano nel territorio dello stato nazionale greco e i greci che vivevano al di fuori di esso (ossia i greci delle isole Ionie, dell’Impero ottomano e della diaspora). Questa differenza emerse in forma di conflitto politico tra “eterochthones and autochthones” nel 1844, ed è rintracciabile in due concezioni sovrapposte dell’identità nazionale. Da una parte il concetto di nazione politica, con una forte enfasi data ai diritti politici (e alle procedure) e dall’altra un concetto di nazione etnoculturale, con un’esclusiva accentuazione di aspetti legati all’identità.
I diritti sociali
Secondo la teoria di Marshall, i diritti sociali furono necessari per bilanciare i pericoli che il suffragio universale poteva provocare sul regime sociale e politico. In un paese agricolo come la Grecia, i diritti sociali erano legati principalmente alla riforma agraria. Dopo la rivoluzione, tutta la terra fu considerata terra nazionale e vi furono richieste per una sua redistribuzione. Vale la pena ricordare che la terra non fu venduta. Se la terra fosse stata venduta, i notabili locali ne avrebbero approfittato e avrebbero rafforzato ancora di più la loro posizione. D’altra parte, la vendita della terra sarebbe entrata in conflitto con le aspettative generali della rivoluzione. Dal momento che tutti presero parte ai sacrifici, perché solo alcuni ne avrebbero tratto benefici? Per tutte queste ragioni, la terra fu distribuita in un arco di tempo di sette anni dopo la concessione del suffragio universale [6]. Da questo punto di vista possiamo dire che il suffragio universale, l’istituzione dell’istruzione pubblica e la distribuzione della terra nazionale avvennero durante lo stesso periodo storico e costituirono i tre risultati del modo nel quale lo stato nazionale si era formato in Grecia.
Quando, nel periodo delle guerre balcaniche, la Grecia raddoppiò il suo territorio e accolse una grande ondata di rifugiati dalla Turchia, che equivalevano circa a un quinto della popolazione greca, ci fu una nuova distribuzione della terra ai contadini che ne erano privi. La ragione addotta fu di nuovo di carattere nazionale: la sistemazione dei rifugiati e la loro integrazione nella comunità nazionale. Tuttavia venne proposta un’altra ragione che si avvicina di più al ragionamento sui diritti sociali di Marshall. Si riteneva che la distribuzione della terra e la creazione di piccoli proprietari terrieri avrebbero evitato alla Grecia i pericoli di un’insurrezione sociale e del comunismo. Questo tipo di giustificazione creò nello stato greco una motivazione sufficiente per occuparsi del tema dei diritti sociali. Ossia, i diritti sociali sono dati in questo caso dalla creazione di piccoli proprietari terrieri, dalla distribuzione dell’accesso alla proprietà. Quest’idea fu messa in pratica anche dopo la guerra civile degli anni ’40. La logica dell’ingegneria sociale tipica del secondo dopo-guerra era basata così non sul social welfare, come nell’Europa occidentale, ma sulla distribuzione di una proprietà urbana supervalutata. Chiunque avesse un po’ di soldi poteva acquisire una proprietà o poteva condividere questa proprietà con altri e usarla come compensazione per la mancanza di sicurezza sociale [7]. Il professor G. Dertilis, che ha studiato lo sviluppo della tassazione nell’intero periodo dell’indipendenza, propone il seguente schema. Gli agricoltori, dopo essere stati pesantemente tassati per secoli, gradualmente a partire dal secondo dopoguerra, finirono per non essere per nulla tassati. Questo processo di riduzione delle tasse agricole coincise con quello della creazione di piccoli proprietari terrieri e in ultima analisi con la democratizzazione della società greca e con l’estensione del suffragio universale. Due gruppi sociali si assicurarono una riduzione delle tasse: l’alta borghesia e i contadini. Questo è il tema centrale di un’alleanza secondo la quale le classi alte agivano come protettori collettivi dei contadini [8]. Queste affermazioni sollevano un problema teorico. Da un lato, la cittadinanza e il sistema clientelare furono due facce dell’integrazione sociale, non necessariamente incompatibili. Dall’altro lato, la cittadinanza sociale, nella forma di riforma agraria, era concepita come una conseguenza dell’indipendenza nazionale, e come un veicolo di coesione nazionale. Dal XIX secolo molti scrittori greci hanno sottolineato “il carattere democratico del popolo greco”. Nonostante i vari usi ideologici di questo termine, si tratta di un aspetto non trascurabile dell’auto-rappresentazione greca riferita al tema della cittadinanza.
Esclusione politica, cittadinanza e identità

Rimanevano fuori da questo processo di incorporazione le minoranze etniche e religiose. Il problema delle minoranze emerse principalmente dopo le guerre balcaniche e dopo la prima guerra mondiale, quando furono stipulati accordi per il mutuo scambio di popolazione tra Grecia e Bulgaria, sulla base della consapevolezza dell’appartenenza nazionale da un lato, sulla base della religione dall’altro. I gruppi minoritari, come i musulmani e i macedoni-slavi, dopo quegli accordi furono lasciati sotto la protezione della Lega delle nazioni [9]. Formalmente, queste minoranze avevano i diritti dei cittadini greci ma dobbiamo distinguere tra diritti formali ed esercizio reale della piena cittadinanza. La discrepanza tra la pratica formale e quella reale dei diritti politici è un altro serio tema nella storia greca. Nel periodo tra le due guerre, così come nel periodo che va dalla fine della guerra civile alla dittatura del 1967, i diritti politici furono garantiti. Tuttavia, una parte della popolazione ne era esclusa secondo leggi conosciute come para-costituzionali che furono aggiunte a integrazione della Costituzione. È in questo modo che i cittadini considerati appartenenti alla Sinistra furono arrestati, esiliati e fu impedito loro il libero esercizio dei diritti politici. Questa esclusione dalla cittadinanza politica creò e fu giustificata dall’idea dell’ “ethnikofrosyni” o mentalità nazionale. La popolazione esclusa dai diritti politici venne considerata come esclusa tout court dalla comunità nazionale. Nel secondo dopoguerra il concetto di “ethnikofrosyni” fu legato a quello del diritto alla cittadinanza. Chi non era legittimo per la nazione era considerato come un non cittadino. In questo modo il cleavage sociale e politico esistente in Grecia finì per provocare un’altra spaccatura della identità nazionale. Da una parte vi era l’identità ufficialmente promossa, dall’altro vi era l’identità degli esclusi [10]. Solo dopo la caduta della dittatura e la creazione della Repubblica nel 1974, possiamo dire che il concetto di cittadino ha spinto verso lo sviluppo anche in Grecia di un’identità nazionale unificata, anche se nuove realtà come l’inserimento nell’Unione europea hanno creato dibattiti nuovi circa il significato e il contenuto dell’identità greca [11]. In conclusione si può dire che ciò che si definisce come identità non riguarda solo la cultura, ma anche la formazione della cittadinanza (e, naturalmente, viceversa).

(trad. di Enrico Francia)

NOTE

1- T.H. Marshall, Cittadinanza e classe sociale, Torino, UTET, 1976 (ed. or. Citizenship and Social Class and other essays, Cambridge U.P., 1950); R. Brubaker, Cittadinanza e nazionalità in Francia e in Germania, Bologna, Il Mulino, 1997 (ed. or. Citizenship and Nationhood in France and Germany, Harvard University Press, 1994).
2- B. Braude, B. Lewis, Christians and Jews in the Ottoman Empire, New York, London, 1982; I. Ortayli, The Ottoman millet system and it’s social dimensions, in Boundaries of Europe?, a cura di R. Larson, Uppsala, 1998, pp. 120 sgg.; U. Kocabasoglu, The Millet System: A Bird’s Eye View, in Boundaries of Europe?, citata.
3- A. Manitakis, Ta Dikaia tou Anthropou, in “Politis”, 1999, 61, pp. 14-19 (in greco).
4- G. Kokkinos, The Greek Constitutions and the Ideology of the Citizen (1844-1927), in “Mnimon”, 1997, 19, pp. 73-108; D. Dimoulis, People, Nation and Citizens in the Greek Costitutional History of 19th c., in “Theseis”, 2000, pp. 35-89.
5- J. Petropoulos, Politics and Statecraft in the kingdom of Greece 1833-1843, Princeton U.P., 1968.
6- W. McGrew, Land and Revolution in Modern Greece, 1800-1881, Kent State U.P.,1985.
7- A. Liakos, Lavoro e politica in Grecia tra le due guerre mondiali, Athens, 1993 (in greco).
8- G. Dertilis, Tasse e potere nello stato greco, Athens, 1993 (in greco).
9- L. Divani, Grecia e minoranze, Athens, 1995 (in greco).
10- N. Alivizatos, Les Institutions Politiques de la Grèce à travers les crises 1922-1974, Paris, LGDG, 1979.
11- Greek Constitutional Law and Practice, a cura di N. Alivizatos, in “Special Issue of Modern Greek Studies”, 1999, 17, 1, pp. 1-84