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Il dibattito pubblico sulla distruzione dei fascicoli

Raffaele Romanelli
Quaderni I/2001
SEGRETI PERSONALI E SEGRETI DI STATO.
Privacy, archivi e ricerca storica

a cura di Carlo Spagnolo
Parte II
Fascicoli e archivi segreti

Sono grato al senatore Brutti, sottosegretario agli interni, di essere con noi. La sua presenza già segnala il rilievo che va attribuito al programma di questa seconda parte della nostra discussione. I lavori pomeridiani sono collegati a quelli di stamattina da una tematica comune. Nella prima parte della giornata ci si è infatti occupati del problema della ricerca e dell’ accesso degli storici dell’età contemporanea a documenti, in un modo o nell’altro “sensibili”, come si suol dire, ovvero per loro natura riservati, e soggetti a particolare tutela. Oggi pomeriggio l’argomento è diverso, ma anch’esso riguarda l’ atteggiamento della ricerca nei confronti dei dati riservati. A renderlo attuale sono alcuni fatti che di recente hanno attirato l’ attenzione dell’opinione pubblica. L’11 agosto 1999 la televisione e i giornali, credo il Corriere della sera per primo, hanno dato notizia di una direttiva del governo, in particolare del Comitato per i servizi di informazione e sicurezza, che avrebbe disposto un intervento di risanamento degli archivi del SISDE del SISMI e del CESIS. Nel raccogliere il materiale preparatorio a questa giornata di lavoro per il “dossier” nel sito elettronico della SISSCO, non sono riuscito ad entrare in possesso della direttiva. Pare infatti che tale direttiva abbia carattere riservato. Lo sugggerisce quanto mi ha scritto il 2 febbraio appena trascorso l’onorevole Franco Frattini, presidente del “Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato” (il quale purtroppo non ha potuto partecipare ai nostri lavori 1): rispondendo alla mia richiesta di avere il testo della direttiva, l’on. Frattini mi ha inviato due atti di sindacato parlamentare che adesso citerò aggiungendo: “Sono gli unici atti che allo stato sono in grado di trasmettere, trattandosi di documenti riservati” 2.
Quali documenti mi venivano trasmessi? Si tratta di atti parlamentari, ed in particolare della risposta che nella seduta n. 597 della Camera dei deputati del 6 Ottobre 1999 l’onorevole Mattarella – allora vicepresidente del Consiglio e sottosegretario agli Interni – dava ad un’interrogazione dell’ onorevole Fragalà , che riguardava i dossier Mitrokhin. Il resoconto, insieme ad altra documentazione, è stato archiviato nell’apposito “dossier” SISSCO. l’onorevole Mattarella, data una risposta sui dossier Mitrokhin, aggiungeva “qualche giornale ha collegato questa vicenda all’ipotesi di distruzione di questi fascicoli inutili, impropri o addirittura illeciti, conservati negli archivi dei servizi dall’informazione. Le due questioni non hanno tra loro la benché minima attinenza”. Questa definizione di fascicoli “inutili, impropri o addirittura illeciti”, può essere affiancata ad un’altra dichiarazione, in cui lo stesso Mattarella avrebbe sottolineato che “questi fascicoli sono raccolti in modo illegale, infarciti di calunnie e pettegolezzi e sono infine privi di interesse per lo Stato” 3. Il 6 ottobre l’on. Mattarella aggiungeva che “il Governo ha predisposto procedure per l’eventuale distruzione di fascicoli su invito del comitato parlamentare”, cioè per l’appunto il comitato presieduto dall’onorevole Frattini. Diceva, quindi, che si tratta di una distruzione non ancora messa in opera che comunque “non riguarderebbe in alcun caso documenti di interesse storico o di interesse giudiziario” e sottolineava che “il Governo non ha alcuna esigenza di procedere necessariamente in questa operazione che gli è stata sollecitata e intende ascoltare in sede di comitato”. Mi pare quindi che nel descrivere tale “ipotesi di distruzione” l’ onorevole Mattarella dicesse esplicitamente che il governo agiva su sollecitazione del comitato presieduto dall’onorevole Frattini. Quest’ultimo sembrava dall’altra parte attribuire l’iniziativa al Governo. Avendogli io scritto, alla fine di settembre, come presidente della SISSCO, quindi in rappresentanza di alcuni storici contemporaneisti che manifestavano la propria preoccupazione per un annuncio di distruzione di documentazione, l’onorevole Frattini mi aveva risposto: “La direttiva del Governo prevede che entro giugno 2000 SISDE, SISMI e CESIS distruggano dossier con notizie datate, illecitamente raccolte o che non rientravano nella competenza dei servizi”. Quindi una definizione, sembra a me, leggermente diversa che allude, tra l’altro, all’illiceità della documentazione e in cui l’on. Frattini si dichiara dall’accordo con la distruzione di fascicoli lesivi della reputazione di singoli soggetti che nulla hanno a che fare con la sicurezza dello Stato, mentre invece, per ciò che riguarda fascicoli di rilevanza storica o di rilevanza penale, a giudizio dell’on. Frattini essi non dovrebbero essere distrutti; si trattava semmai di individuare quali procedure seguire e quali sarebbero stati i soggetti che avrebbero dovuto operare questa selezione.
Il 24 novembre 1999, in risposta ad un’ interrogazione dell’onorevole Borghezio – il quale, riferendo notizie di stampa sulla distruzione dei fascicoli, lamentava il fatto che questi fascicoli potessero contenere notizie rilevanti per il movimento “Lega Nord per l’indipendenza della Padania” e che quindi questa distruzione andasse inserita nel lungo ciclo di distruzioni di verità che lo Stato italiano compiva da 150 anni a danno di minoranze settentrionali o meridionali – l’on. Mattarella dichiarava che non si trattava di fare “un falò”, come si era espresso l’on. Borghezio, bensì di “liberare gli archivi da materiale ormai ininfluente e depurarli di quello eventualmente non attinente a fini istituzionali”. Nel rispondere citava sé stesso, ovvero le parole da lui pronunciate il 6 ottobre in risposta all’on. Fragalà ; inoltre aggiungeva qualche parola in più sulle procedure e quindi diceva che intendeva “assicurare la massima trasparenza istituzionale, individuando un doppio livello valutativo decisionale, affidando alle commissioni interne per gli archivi degli organismi di intelligence l’incarico di effettuare una prima selezione dei carteggi e a commissioni esterne, formate prevalentemente da estranei agli organismi di informazione e sicurezza, ogni determinazione in ordine alla distruzione degli atti, ovvero al loro versamento agli archivi storici”.
Questi sono i pochi documenti che sono riuscito a trovare sulla questione. Già l’11 agosto, quando la stampa ne parlò (molte cose in Italia succedono dall’estate; il caso vuole che sempre in agosto è stata pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 10 marzo che disciplina le categorie e i documenti sottratti al diritto dall’ accesso), la polemica sui giornali fu vivace soprattutto da parte degli storici. Gli storici italiani sono vigili evidentemente anche a metà agosto, e ci fu una serie nutrita di interventi sui giornali da parte di storici, alcuni dei quali anche parlamentari, che si dichiaravano preoccupati di queste misure, tanto che il 16 settembre “Il Corriere della sera” scriveva che il presidente della commissione stragi Giovanni Pellegrino avrebbe inviato quello stesso giorno una lettera al presidente del Consiglio e al vicepresidente Mattarella “per chiedere che venga ritirata, con effetto immediato, la circolare che aveva messo in moto i meccanismi per la distruzione dei dossier illegittimi, o ininfluenti”.
Se da un lato suscitava allarme l’annunciata distruzione dei documenti, dall’altro non si nascondeva la preoccupazione per i danni che potevano derivare dalla loro conservazione nel caso che essi contenessero notizie dannose per i privati: mi sembra che queste fossero le diverse posizioni emerse allora che possono essere riprese nel dibattito di oggi. Ci sono buone ragioni per affermare in via di principio che nulla dev’essere distrutto; l’atto di distruzione sicuramente è un atto arcaico, che forse corrisponde poco alle procedure del moderno Stato amministrativo; certamente è un rito singolare e forse di espiazione (forse perciò si ama immaginare che esso avvenga per combustione?). Esso non è certo un rito garantista, perché, come tra l’altro ha scritto Paola Carucci nel manifestare a sua volta la propria preoccupazione, evidentemente una procedura di garanzia sulla sorte del materiale è affidata all’iter istituzionale suo proprio e quindi del versamento all’Archivio Centrale dello Stato, ovviamente sotto garanzia di non consultabilità alle condizioni delle norme vigenti, giacché una cosa è conservare, altra cosa è leggere, studiare e pubblicare 4. Va detto che anche la documentazione versata è soggetta ad un’ opera di selezione e scarto, un termine diverso da distruzione e che suggerisce che venga eliminato ciò che risulta irrilevante. Ma su questo punto, le notizie che ci sono fin qui arrivate sui fascicoli dei servizi segreti sono quantomai ambigue. Intanto, lascia assai perplessi il fatto che non è chiaro dai pochi atti disponibili se l’iniziativa sia del governo o del Parlamento. Nebulosa, e del tutto irrituale, è poi l’ipotesi di un doppia selezione, una prima ad opera degli organi stessi e una seconda ad opera di non altrimenti precisate commissioni esterne. Ancor più incerta è infine la classificazione del materiale che andrebbe distrutto, e che risulterebbe di volta in volta “inutile, improprio e illecito”. Ovviamente il punto dolente riguarda l’improprio e l’illecito, che starebbero ad indicare materiale “illecitamente raccolto” e passibile di uso illecito (parliamo francamente: ci riferiemo a informazioni riservate, di tipo infamante e utilizzabili per ricattare).
Ora, è fisiologico che i servizi di intelligence si svolgano nel segreto, con procedure irrituali e ampia discrezionalità . Si tratta di un fatto connaturato al potere, soprattutto nelle relazioni internazionali, dove non opera sovranità né diritto, e che l’ immaginario dei nostri tempi legittima ampliamente (non a caso gli agenti di tali servizi sono “segreti”, hanno forte carisma e si ritiene che abbiano “licenza di uccidere”). Ma ciò non impedisce che il segreto rappresenti una contraddizione di fondo per lo Stato democratico, quella contraddizione già evocata questa mattina tra il carattere trasparente, soggetto al controllo dell’opinione, che ogni atto dello Stato democratico ha e deve avere idealmente, e invece la necessaria, inevitabile segretezza del potere, che lo sottrae alle procedure del controllo democratico, della pubblica opinione, e della trasparenza. Questa contraddizione di fondo ha risvolti ben tangibili – e non meno contraddittori – sugli ordinamenti in generale e sulla nostra materia. Basti pensare alla legge sugli archivi, che non riguarda gli archivi militari e degli Affari esteri, lasciati nella totale incertezza normativa. La discrezionalità e la segretezza si estendono insomma in maniera assai confusa e comunque discutibile dall’agire dello Stato alla conservazione della sua memoria storica.
Ammettiamo tuttavia che su questa materia si possa fare presto chiarezza, e che in Italia, così come in altri paesi, alcuni archivi, ancorché segreti (e dunque per il momento non consultabili) fossero noti e registrati, secondo le procedure garantiste già richiamate da Paola Carucci. Ora, poiché nessun livello di segretezza è tale da non potersi rimuovere in eterno, occorrerebbe prevedere che, sia pure dopo un periodo eccezionalmente lungo di tempo, anche le carte segrete cessino dall’ esser tali. Sorge allora il problema dell'”illiceità ” della documentazione, per usare l’espressione adoprata dai nostri esponenti politici e di governo. Ora, l’illiceità è in un certo senso intriseca alla segretezza in cui operano dei servizi di intelligence, che per definizione sono sottratti alle normali procedure e garanzie di legge. Se poi l’illiceità configura reati penalmente perseguibili – se, ad esempio i servizi avessero raccolto informazioni riservate con arbitri, violenze o ricatti, o se avessero “fabbricato” l’informazione, falsificando i dati – la questione avrebbe rilevanza penale e non archivistica, e non si capirebbe come l’individuazione di un comportamento illecito possa suggerire la distruzione del corpo di reato da parte di un organo parlamentare o governativo. Fuori di questi casi, ciò che invece interessa il nostro dibattito è se informazioni delicate, intime, sui singoli possano essere comunque conservate a futura memoria senza che l’interessato ne sia a conoscenza, senza che egli, o ella, abbia la possibilità di difendersi e di replicare. In una intervista rilasciata proprio in occasione della discussione estiva appena ricordata, l’on. Andreotti, mentre evocava il “rogo” delle carte Sifar del 1974, faceva distinzione tra diversi tipi di informazione e di documenti e ricordava un episodio che lo riguardava. Una delle tante volte in cui era ministro, era andato a cena in un ristorante dei Castelli Romani; il giorno seguente gli fu fatto sapere che non era opportuno che egli frequentasse quel locale, che si riteneva fosse frequentato da coppie clandestine. “Espressi apprezzamento e ringraziai per questo “consiglio’ – commenta Andreotti -. Tutt’altro giudizio avrei dato se, “senza’ o “invece’ di avvertire me, avessero collocato in qualche fascicolo l’annotazione della inopportuna scelta del luogo di ristoro” 5. Distinzioni opportune, ma sottolineo che le cose non sempre possono risultare così idilliche come nel garbato quadretto andreottiano. Ed allora torniamo a domandarci se certe informazioni debbano essere conservate o distrutte.
Come storici, tendiamo a distinguere se stiamo parlando del comportamento illecito avvenuto sotto un regime politico del passato, o invece in un regime vigente. Viviamo in un’epoca in molti aspetti post-totalitaria, nella quale, dal Sud Africa al Cile, dalla Russia al Portogallo, esiste un’ampia costellazione di regimi che, all’indomani di esperienze autoritarie o totalitarie o dittatoriali, negli ultimi decenni si sono trovati a ricostruire la democrazia e quindi ad avere a che fare con comportamenti illeciti del passato – o forse anche leciti nell’ambito di un quadro dittatoriale, ma comunque non accettabili nel quadro dei principi democratici ristabiliti o stabiliti la prima volta – e quindi all’interrogativo di cosa fare di documenti che pur appartenendo a un regime passato riguardano però persone viventi o i loro figli. Il caso forse più clamoroso è quello della Germania dell’Est, dove la percentuale della popolazione coinvolta nelle attività di spionaggio della STASI è tale che il regime democratico post comunista si è posto il problema se distruggere, conservare o consentire l’accesso ai singoli interessati o invece a tutti, in ogni caso con rilevanti conseguenze sociali, culturali e politiche. In altri casi – si pensi al Sud Africa – alla via dei processi penali al passato si è preferita quella della riconciliazione politica. Anche in questo caso, non è chiara quale possa essere la sorte della documentazione relativa al regime precedente. Ora noi ci troviamo nel caso italiano in una situazione completamente diversa, dato che non stiamo parlando dei documenti di un regime del passato. Vero è che periodicamente sembra che in Italia si chiuda un’epoca; i servizi vengono sciolti e ricostituiti e alcune loro irregolarità denunciate. E’ allora che ci si sente legittimati a distruggere la documentazione esistente, quasi con un atto di pubblica abiura, o di espiazione, come fu fatto – o si disse dall’aver fatto – nel caso del SIFAR. In questo caso, sorge il dubbio che la distruzione – o l’annuncio della distruzione – segnali un continuità , più che un rottura.
Secondo una tesi, che non condivido ma che ha dei sostenitori anche tra gli storici, l’attività dei servizi avrebbe costituito un’anti-storia dell”Italia repubblicana, come se una sorta di secondo Stato – in cui hanno agito appunto i servizi segreti, più o meno “deviati” – si affiancasse e si contrapponesse al primo. Proprio la mancanza di documenti, e perfino la mancanza di informazione sull’ esistenza dei documenti, costituiscono l”impasse che poi impedisce di verificare la fondatezza di questa impostazione storiografica.
Come si vede, nella questione della conservazione o della distruzione delle carte segrete si intrecciano difficili problemi di tutela della documentazione storica, di democraticità , di rispetto della documentazione e allo stesso tempo dei diritti individuali. Vorremmo cominciare col porre al governo – che è autorevolmente rappresentato nella nostra giornata di lavoro – una serie di domande che in Italia non sono mai state poste con chiarezza: com’è definibile la discrezionalità , la “secretazione”, quali sono i comportamenti che sono istituzionalmente definibili come segreti, e quindi non sono illeciti? Solo allora potremo discutere della sorte dell’eventuale materiale documentario (certamente non solo cartaceo) che risultasse dall’attività sei servizi. Cominciamo dunque col chiedere: cosa è stato stabilito nell’agosto scorso? I fascicoli di cui si parla esistono? Che cosa contengono?

Note
1- Annunciando il suo rammarico, il 9 febbraio l’on. Frattini aggiungeva “Sarಠperaltro lieto, anche dopo l’incontro, di contribuire – nei limiti del possibile – allo sviluppo della riflessione su un tema, che ritengo di grande rilievo non solo storico e politico, ma anche istituzionale”.
2- La lettera, a me indirizzata, reca il numero di protocollo 4585/SIS. Come si leggerà nelle pagine seguenti, la direttiva è coperta dal vincolo più tenue tra quelli esistenti, e tale rimane al momento di mandare in stampa queste pagine. Nessun esito ha infatti avuto il proposito espresso dal senatore Brutti di ottenere la “desecretazione” dell’atto. Ancora il 6 novembre 2000 il Presidente del Consiglio Giuliano Amato, al quale mi sono in seguito rivolto con la medesima richiesta, mi ha fatto sapere che “La direttiva non è secretata, ma è coperta dal vincolo (meno intenso ma pur sempre vincolo) di “vietata divulgazione'”.
3- La frase è pubblicata su “Storia e società “, “periodico dell’associazione per la valorizzazione storica della democrazia italiana – ONLUS”, a. 1, n. 2, settembre 1999, p. 8, senza indicazione della fonte. Nella stessa pagina sono riportati anche commenti di Massimo Salvadori, Nicola Tranfaglia, Massimo Teodori e Giuseppe De Lutiis.
4- Il riferimento è a un “appunto per il sen. Chiarante” che Paola Carucci ha redatto il 6 settembre 1999, nella sua qualità di soprintendente dell’Archivio Centrale dello Stato, e che pure è consultabile nel dossier SISSCO.
5- Cfr. Il fascicolo citato di “Storia e società “.