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Il presente come memoria. Rappresentare il terrorismo di stato a Buenos Aires

Paola Di Cori

Paola Di Cori

La relazione affronterà il rapporto tra memoria e utilizzazione dello spazio pubblico, a partire dal caso argentino e da progetti avviati di recente a Buenos Aires per ricordare e commemorare in forma ufficiale la traumatica vicenda degli omicidi di massa compiuti dal regime dei militari nel periodo dal 1976 al 1983. In particolare, prenderò in considerazione un insieme di circostanze che hanno accompagnato il progetto cittadino per la costruzione di un Parque de la Memoria, primo tentativo approvato da una istituzione governativa di dare visibilità permanente a quella immensa tragedia nazionale nota in tutto il mondo con il termine di desaparecidos.
Come accade in molti altri paesi del mondo dove è urgente confrontarsi con una storia recente di dittature e di regimi totalitari, anche in Argentina il problema della costruzione di una memoria pubblica largamente condivisa si trova da anni al centro di profondi conflitti di carattere identitario.
Per quanto sia prevalente, non è questo l’unico aspetto caratteristico nella tendenza a ridisegnare i caratteri fondanti dell’identità storica, culturale e sociale della città: quelli relativi alle popolazioni indigene e agli ebrei sono due capitoli altrettanto centrali. Tra questi tre ambiti si è creata nel tempo una dinamica di influenza reciproca e a tratti di omologazione, quasi che la storia dello sterminio degli indigeni fosse istantaneamente traducibile e trasferibile alle vicende che hanno caratterizzato il genocidio ebraico e a quelle che hanno come protagonisti i desaparecidos, e viceversa. Il terrorismo di stato, il massacro degli indigeni, la Shoah – queste tre esperienze, che possono essere classificate come appartenenti alla storia delle pratiche di sterminio – contribuiscono in diverso modo ad animare lo spazio sempre maggiore che viene riservato alle numerose iniziative sulla memoria attualmente presenti in Argentina.
I principali gruppi promotori di questi progetti sono quelli che radunano le madri, le nonne, i figli dei desaparecidos, e i parenti dei morti nell’attentato alla AMIA (la mutuale ebraica dove nel luglio 1994 un attentato terroristico uccise decine di persone), insieme ad altri militanti di organizzazioni per i diritti umani e a un certo numero di sostenitori che fanno parte di organismi dipendenti dal governo della città; mentre spetta ai rappresentanti delle comunità indigene la responsabilità di negoziare con le amministrazioni locali, con antropologi e curatori di musei la destinazione del proprio patrimonio artistico.
Con la mobilitazione per attivare il ricordo dei parenti scomparsi e morti, i gruppi protagonisti di queste iniziative richiamano l’attenzione di autorità e concittadini sulla sorte dei propri congiunti, sulle atrocità commesse dal regime passato e le complicità dei governi attuali; così facendo, i vincoli familiari si ricoprono di un carattere squisitamente politico e si verifica una profonda trasformazione nell’identità di coloro che promuovono le iniziative, attraverso la quale si viene a capovolgere ogni tradizionale idea di divisione tra pubblico e privato. La continua, incalzante presenza fisica di questi testimoni, in particolare donne e giovani, visibili nei media, nelle strade e nelle piazze, costituisce una articolazione di quelle che l’antropologo Jonathan Boyarin ha denominato “memorie incorporate”, espresse dalla materialità dei corpi attivi nell’arena pubblica e rivelatrici del legame inestricabile esistente tra politica della memoria, spazio e tempo.