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Il ruolo della storia contemporanea nei corsi di studi “altri”

Claudio Dellavalle, Università di Torino

Claudio Dellavalle

Queste note sono dedicate agli insegnamenti di storia contemporanea nei corsi di studio che abbiamo definito “altri”, ossia non specificatamente orientati allo studio della storia e della storia contemporanea in particolare: in teoria tutti i corsi di studio ridefiniti dagli ordinamenti didattici in via di attuazione con esclusione dei corsi orientati alla formazione per líinsegnamento della storia disciplina e alla ricerca; ossia i corsi delle Facoltà di Lettere e alcuni corsi di Scienze politiche. Per tutti gli altri corsi è aperto una spazio potenzialmente amplissimo per la storia contemporanea, ma sul quale poco sappiamo e su cui la raccolta di informazioni, come Tommaso Detti e Emmanuel Betta ci hanno segnalato, è appena agli inizi.

I dati parziali disponibili sembrano, tuttavia, registrare una domanda di storia più ampia e diffusa di quanto ci si potrebbe aspettare, coinvolgendo corsi di studio lontani dalle radici umanistiche a cui líinsegnamento della storia viene tradizionalmente rapportato, fino alla presenza in corsi di impianto tecnico scientifico. La conoscenza diretta di qualche situazione concreta nellíUniversità di Torino e di qualche Facoltà di altre sedi sembra confermare questa indicazione. Persistono però anche anomalie come líassenza della storia contemporanea in corsi di Cinema del DAMS o nei corsi di psicologia che segnalano “buchi” di impostazione culturale anche nei nuovi corsi difficili da comprendere e giustificare.

In linea generale, tuttavia, se la tendenza fosse confermata nelle tabelle dei nuovi corsi essa porrebbe certamente dei problemi di impostazione didattica assai diversi da quelli dei corsi di laurea in storia e di formazione degli insegnanti. Líimpostazione dei corsi triennali pone, infatti, una questione di ordine generale che possiamo sintetizzare così: la storia con alcune altre discipline (italiano, filosofia) viene chiamata a svolgere nel percorso formativo dello studente nei nuovi corsi un ruolo di cerniera e di propedeuticità orientato alla costruzione di linguaggi comuni necessari prima di entrare nella formazione specifica. La riduzione e la diversa scansione più concentrata nel tempo dei percorsi formativi triennali comporta una verifica più puntuale dei presupposti culturali in cui essa va ad insistere. Che si tratti di un orientamento espressamente ricercato è confermato dal fatto che sia richiesta allíinizio del percorso una verifica generale delle conoscenze, che si dia importanza allíorientamento con interventi specifici, che si presti attenzione al raccordo dei saperi tra scuola superiore e università. Che tutto questo comporti un approccio diverso allíinsegnamento della disciplina è fuori di dubbio e produce per i docenti la necessità di misurarsi con situazioni formative diverse da quelle tradizionali, anche per le condizioni oggettive (orari, durata e collocazione dei corsi, strumenti utilizzabili)in cui i docenti dovrebbero operare. Di qui la necessità di avviare subito una riflessione che consenta da un lato di valutare le difficoltà che fra pochi mesi molti docenti di storia contemporanea dovranno affrontare concretamente, dallíaltro di confrontare le possibilità di elaborare risposte didattiche efficaci e riproducibili su una scala ampia.

In questo intervento proverò ad esporre qualche considerazione e qualche dato sulla base di uníesperienza di laurea triennale avviata in forma sperimentale già in questo anno accademico nella Facoltà di Scienze della Formazione in cui insegno. Eí opportuno sottolineare che le osservazioni qui svolte vogliono essere semplicemente delle occasione di confronto, raccogliendo la richiesta più volte emersa nel corso del seminario della SISSCO di vedere più da vicino la possibilità di operare concretamente in un contesto in profonda modificazione. Solo moltiplicando le occasioni di questo confronto si potrà delineare qualche forma di approccio meno frammentato e provvisorio allíinsegnamento della storia in un contesto che pone questioni di didattica inusuali e non ricavabili semplicemente da modelli che molti di noi hanno frequentato. Si tratta di un passaggio tuttíaltro che semplice poiché, comíè noto, nella tradizione della cultura universitaria italiana la didattica è generalmente considerato un ambito in cui si esercita la libertà del singolo docente, e su cui finora nessun discorso è stato costruito, se non da pochi, pochissimi colleghi attenti anche a questa dimensione della loro professione. Ciò che conta (anche ai fini dei concorsi)è la quantità e la qualità della ricerca; la didattica segue “naturalmente”. Solo la retorica della società dellíinformazione e della comunicazione sta incominciando ad intaccare questo senso comune del fare didattica, considerata il dominio del singolo docente, ben difeso dalla trincea della “libertà di insegnamento”. Ora è chiaro che un docente universitario è tenuto a far conoscere in primo luogo i risultati del suo lavoro di ricerca, attraverso il corso monografico per intenderci e in qualche caso con attività di seminario. Eí però altrettanto chiaro che tutto questo ha senso in un contesto finalizzato ad una formazione precisa, orientata alla ricerca, in cui líapprofondimento sulle questioni specifiche affrontate, o non si fa carico del raccordo con il contesto più generale o lo lascia interamente affidato alle letture e alle integrazioni dello studente o alle annotazioni fornite in “corso díopera”. Questa scelta ha una sua logica poiché lo studente che affronterà più corsi di storia dovrà imparare a costruirsi un metodo per avvicinare le questioni generali fino alla prova della verità costituita dalla tesi di laurea, sintesi e verifica dellíintero percorso compiuto. Eí però altrettanto chiaro che un percorso di questo tipo non può essere riproposto per quellíunico corso di storia che lo studente di corsi di laurea “altri” affronterà in un contesto che non gli fornirà altre occasioni per approfondire o ripensare ciò che gli viene dato allíinizio del suo percorso. Ad esempio, ciò che il corso può dare non può avvenire al di fuori della consapevolezza di quanto e di che cosa lo studente sia in grado di recepire e dunque delle forme graduate e differenziate con cui la storia può essere insegnata. In altre parole non posso pensare di fare riferimento al mio lavoro di ricerca se non in modo molto ridotto, avendo preparato un contesto in cui quel riferimento abbia senso. Il che comporta assumere la didattica della storia come problema, (ma la questione ha una portata generale)che è líunico modo per rispondere in termini di innovazione alla riforma degli ordinamenti didattici. Non si intende in questa sede aprire un discorso sulla riforma, che per altro nel corso del seminario è più volte affiorato. Ci limitiamo ad una considerazione che tiene conto di un atteggiamento diffuso tra molti colleghi non pregiudizialmente ostili alla riforma: mentre è abbastanza accettata líidea che un qualche intervento rispetto alla spaventosa inefficienza del sistema formativo dellíUniversità italiana fosse necessaria e che il raccordo con i sistemi formativi europei stia nella logica delle cose e che dunque un percorso strutturato per fasi successive (laurea triennale, laurea specialistica, dottorato e master) sia una proposta di soluzione razionale del problema, per quanto riguarda gli interventi di attuazione la confusione, lo scetticismo sono diffusi, in parte per líaffanno con cui Roma ha operato, in parte forse maggiore per la diffidenza che ha circondato la possibilità stessa di cambiare. La determinazione con cui ciascun docente ha ritenuto di difendere la propria disciplina anziché líambito disciplinare, nel costruire per ogni corso la distribuzione dei crediti, è un sintomo significativo di incomprensione e di diffidenza. Forse non poteva non essere così in un paese che ama parlare di riforme , ma non ama farle, per cui per molti risulta ancora poco credibile che dal prossimo anno accademico il sistema della formazione, (dicesi il sistema, non una parte del sistema), possa veramente cambiare.

Chi propone queste note (è bene dichiararlo)vede nella riforma uníoccasione il cui esito sta in gran parte nelle mani e nelle scelte delle persone che hanno scelto di stare nellíUniversità. Líelenco delle insufficienze e dei limiti della riforma è cosa utile perché alza il livello della consapevolezza; líindividuazione delle opportunità che essa offre, è ancora più utile perché predispone allíagire; mi sembra invece del tutto inutile líesercizio della deprecatio, forse perché la considero uno dei tratti più negativi del carattere degli italiani.

I primi risultati della riforma si avranno tra tre anni, quando il sistema incomincerà ad andare a regime. Ma la partita si gioca da subito con líavvio dei nuovi corsi. E questa è la ragione vera per cui ci ritroviamo qui a discutere. La partita si gioca su un terreno inusuale: su come si strutturerà il rapporto docenti studenti nei nuovi corsi e cioè se i nuovi ordinamenti produrranno una nuova didattica orientata alle esigenze degli studenti e agli obiettivi dichiarati della riforma. In altre parole se i docenti vorranno e sapranno mettersi in gioco per ripensare le forme della didattica.

Come questo possa avvenire è la ragione per cui, non in termini teorici e generali, ma muovendo da alcune esperienze, proveremo ad identificare alcune questioni e anche qualche tentativo di risposta. Anche se la base dellíesperienza offerta è limitata, forse potrà servire a stimolare la ricerca di risposte più generali.

Esporrò alcuni aspetti dellíesperienza per punti per rendere più facile il confronto.Per poterla collocare in modo corretto va tenuto conto :

a) che essa è stata condotta allíinterno del primo anno sperimentale dei corsi triennali strutturati secondo le norme della riforma nella Facoltà di Scienze della Formazione dellíUniversità di Torino (nellía.a. 2000-01 sette Facoltà torinesi su dodici hanno avviato la sperimentazione in alcuni dei loro corsi);

b) che nella discussione che ha accompagnato líavvio della sperimentazione la storia (con la lingua e letteratura italiana e la filosofia) è stata individuata come una delle aree disciplinari di formazione di base che introducono lo studente nellíambiente universitario e che verificano e rinforzano i requisiti e le conoscenze necessarie a intraprendere con successo il percorso formativo scelto.

Sul come intendere questa funzione formativa e sulle scelte didattiche che possano realizzarla la discussione è proceduta prima nella discussione a livello di Facoltà e poi nel corso dellíesperienza allíinterno dellíarea degli storici che fanno riferimento alla Facoltà e con alcuni colleghi del Dipartimento di Storia; di essa si darà conto nei punti affrontati di seguito.

Gli studenti.

La funzione richiesta alla disciplina e gli obiettivi generali che la riforma ha indicato rendono necessario la definizione di un rapporto con gli studenti più complesso delle indicazioni che vengono raccolte nel libretto dei programmi. Diventa fondamentale conoscere alcuni elementi che consentano da un lato di definire un identikit sia pure grezzo delle persone che si hanno di fronte: in particolare sulla loro provenienza formativa (liceo, istituti ecc.), sulle loro conoscenze e sulle aspettative per quanto riguarda la disciplina e il corso; dallíaltro di rendere esplicito da parte del docente il percorso che si intende seguire, dando concretezza al patto formativo di cui si parla spesso nella riforma. Eí chiaro che queste operazioni “preliminari” possono essere condotte con successo se il numero degli studenti non è eccessivamente elevato e se si danno alcune condizioni che facilitino la costruzione di questo rapporto.

Nel caso specifico gli studenti erano circa ottanta e potevamo disporre di uníaula adeguata al numero e dotata di una buona strumentazione. Il rapporto iniziale si è strutturato in tre momenti.

Il primo contatto avviene allíinterno degli incontri programmati dalla Facoltà in cui ogni docente sinteticamente presenta il programma e le modalità di lavoro. Le presenze a questi incontri non sono molto elevate anche perché programmate con un certo anticipo (seconda metà di settembre)sullíinizio dei corsi e quindi molte matricole non ne sono a conoscenza. Sono utili e da far conoscere meglio perché aiutano lo studente ad una prima valutazione e quindi a scegliere i corsi con criteri che non siano solo quelli del tam-tam di corridoio.

Il secondo momento, che ai fini del discorso sulla didattica è più significativo, si sviluppa nella prima lezione del corso con la somministrazione di un questionario e con la discussione dei risultati.

Subito dopo viene fornita una presentazione più dettagliata del corso: le ragioni della scelta dellíargomento, le modalità con cui verrà affrontato, le prove che verificano il percorso, le modalità di valutazione.

Il questionario deve essere semplice, ma anche consentire di farsi uníidea abbastanza precisa del profilo complessivo degli studenti che si hanno di fronte. Nel caso specifico era così strutturato:

oltre alla provenienza scolastica, chiedeva un commento personale ad un breve brano in cui un noto giornalista metteva in discussione líinteresse dei giovani per la storia; seguiva la richiesta di dare una valutazione delle proprie conoscenze della storia contemporanea, e di indicare quali fossero le principali fonti attraverso cui si erano formati alla storia (scuola, manuale, romanzi, saggi, documentari, film, visite a musei, ecc.) e infine due domande su che cosa sia la storia e sullíutilità della storia stessa, anche a fini professionali.

Come si vede nulla di sofisticato, ma sufficiente a fornire alcune informazioni preziose:

  • i commenti al brano proposto forniscono il livello di comprensione del testo, una prima indicazione sulla capacità di scrittura e soprattutto il grado di reattività alla “provocazione”.
  • le risposte alle domande sul concetto di storia e sulla sua utilità forniscono indicazioni sulla capacità di concettualizzazione e di argomentazione.
  • Le risposte sulle agenzie formative forniscono indicazioni interessanti: ad esempio il ruolo importante giocato da alcune letture e da alcuni film e anche da visite musei e luoghi della memoria.

Infine, ed è forse líaspetto più rilevante sul piano didattico, il questionario permette di attivare subito una relazione aperta con gli studenti che sono invitati a commentare a caldo il questionario. Nellíincontro successivo vengono restituite alcune risposte raggruppate secondo criteri di omogeneità; si propone di discuterne alcune, specie quelle più polarizzate. Queste discussioni iniziali possono essere faticose e di solito fanno emergere le personalità più sicure; la ritrosia a prendere la parola da parte di molti è difficile da superare e solo dopo un certo tratto incomincia a sciogliersi. Líimportante fin dallíinizio è far acquisire come un dato normale della relazione didattica la possibilità di discutere gli argomenti che vengono presentati e far accettare come un dato positivo la possibilità che esistano più letture dello stessa questione sia da parte del docente, sia da parte degli studenti.

In questa sede non è possibile entrare nel merito delle risposte fornite al questionario: un punto va però sottolineato ed è líinteresse mediamente elevato che gli studenti esprimono nei confronti della storia contemporanea. Il dato è omogeneo con quello di ricerche condotte su una scala molto ampia tra gli studenti di diversi paesi europei (cfr. L.Caiani). Appare evidente anche nei commenti degli studenti una forte aspettativa nei confronti di una disciplina che può aiutarli orientarsi in una società molto complessa e contraddittoria, rispetto alla quale la carenza di informazioni di base è particolarmente sentita come una deprivazione. Il tratto comune degli studenti che hanno provenienze disparate è proprio questa, di sapere poco del mondo in cui vivono, cioè del periodo storico di cui sono parte. A parte le recriminazione nei confronti di una scuola che per ragioni diverse finisce per non affrontare gli ultimi cinquantíanni, il segnale di una domanda inevasa affiora soprattutto nelle risposte sullíutilità della storia che è interpretata sia in termini di formazione culturale in senso lato, ma anche come strumento formativo attivo rispetto alle scelte professionali legate alla scelta del corso di studio. Eí lo stesso dualismo che i docenti si trovano di fronte quando si interrogano sul ruolo che la loro disciplina deve assumere nel nuovo contesto e di cui si dirà qualcosa più avanti.

Il contratto formativo. Sulla base di questi stimoli nel secondo incontro si affronta il programma in modo più articolato di quanto non si sia potuto fare nellíincontro programmato dalla Facoltà. Eí questo un passaggio importante perché definisce i termini dei reciproci impegni.

-Il docente chiarisce le ragioni che lo hanno portato alla proposta del corso, gli obiettivi che intende raggiungere, le modalità con cui intende perseguirli, la strumentazione che verrà utilizzata, i tempi che si prevedono, le forme della verifica. Suggerisce agli studenti le modalità con cui seguire le lezioni, come affrontare le letture consigliate, come utilizzare il manuale e come consolidare gli argomenti affrontati. Si chiarisce insomma che cosa il docente dà e che cosa si attende. Gli studenti, in particolare le matricole, apprezzano molto in un contesto come quello universitario che nelle battute iniziali si presenta in termini così diversi rispetto alla loro esperienza scolastica precedente, la definizione di un percorso in termini precisi. Il che non vuol dire introdurre delle rigidità eccessive. Può succedere, anzi, spesso succede che il programma previsto per ragioni diverse debba essere modificato in corso díopera in qualche sua parte; líimportante è che il cambiamento venga presentato e giustificato allíinterno di una necessaria ridislocazione della materia o ridefinizione degli obiettivi, anche in funzione delle risposte che gli studenti forniscono mano a mano che il corso procede.

Ciò che chiaro è che il corso non può essere pensato come il classico corso monografico, che non trova nella maggior parte degli studenti i requisiti minimi perché possa rappresentare una esperienza formativa di un qualche peso e significato. Díaltra parte il corso monografico non viene affatto cancellato dalla riforma ma semplicemente spostato in contesti formativi adatti ad apprezzarne líoriginalità e i risvolti scientifici(laurea specialistica, corsi di dottorato).

La proposta di un corso secondo le indicazioni generali sopra indicate può portare a tante proposte, quanti sono i docenti chiamati a formularla. In realtà se líobiettivo da perseguire in forme prioritaria è quello di sviluppare e far crescere delle conoscenze di base sulla storia contemporanea in termini di contenuti, di conoscenze metodologiche, di tecniche e di linguaggio il numero delle opzioni possibili si riduce e anche se le forme possibili possono variare in funzione della sensibilità e delle conoscenze dei docenti, è anche vero che un territorio comune di confronto può essere individuato e riconosciuto.

Rispetto a queste scelte che competono alla libertà di insegnamento di ciascuno, ma che sono ora vincolate più che nel passato al rispetto dellíinterlocutore che si ha di fronte e delle sue nuove e diverse domande di formazione, le risposte vanno cercate confrontando le esperienze di lavoro concreto. Eí quanto si cercherà di fare almeno su alcune questioni, che sono il risultato di esperienze personali, ma in parte anche del confronto con le scelte di altri colleghi docenti di storia nella mia Facoltà. Il confronto è facilitato nel caso specifico dalla lunga frequentazione e soprattutto dallíabitudine a discutere di didattica come esperienza praticata nei corsi del vecchio Magistero e travasata sia pure con qualche difficoltà nei corsi di Scienze della Formazione in cui un gruppo consistente di noi si è ritrovato. Sono poche e piccole cose rispetto alla dimensione del problema , ma da qualche punto bisogna pur cominciare.

Il programma. La discussione sul programma dovrebbe trovare la sua sede naturale nel Corso di studio; nella pratica se níè parlato in sede di Consiglio di Facoltà e nelle aree disciplinari, essendo i corsi di studio interamente assorbiti dalla progettazione dei percorsi di primo e secondo livello. In Consiglio di Facoltà la discussione è stata centrata sui carichi di lavoro degli studenti nei corsi triennali in funzione dei crediti da assegnare, sulla struttura a moduli e sulla dissertazione finale a conclusione del triennio. I risultati che interessano ai fini di questo intervento sono state due:ogni corso è strutturato (fatte salve le eccezioni determinate dai vincoli ministeriali) a moduli di 5 crediti pari a 125 ore di lavoro di uno studente medio, di cui 30 dedicate alle lezioni frontali; è stato stabilito con qualche forzatura un limite quantitativo di pagine rispetto ai testi che lo studente deve preparare, limite che la gran parte dei docenti non ha apprezzato. La norma cercava di mettere ordine in un sistema che i singoli docenti tendevano a interpretare troppo liberamente. Tuttavia è chiaro che il vincolo quantitativo da solo è troppo grezzo e andrebbe per lo meno messo in rapporto in sede di Corso di studio con gli obiettivi che líinsieme del percorso proposto intende raggiungere, discussione che in questa fase non si è potuta fare.

La discussione nelle aree disciplinari solo in qualche caso è entrata nel merito della proposta didattica; il gruppo di docenti di storia della Facoltà ha, ad esempio, elaborato alcune regole comuni a tutti i corsi così da consentire allo studente di scegliere tra i corsi proposti senza tener conto per i corsi triennali dellíincardinamento del singolo docente su un corso specifico. Se líesigenza formativa è quella di base e quindi di tipo generale ogni docente può rispondere positivamente a questa richiesta. Limiti numerici ai singoli corsi possono essere introdotti sulla base di dati oggettivi come la capienza delle aule e la disponibilità di strumentazioni didattiche, poiché questi elementi incidono sulla qualità della didattica.

Sono state discussi anche i punti, di cui già si è detto, relativi ai test di ingresso, alla presentazione del corso, alle verifiche in corso e finali. Una parte non piccola della discussione si è focalizzata sul manuale.

Il manuale. La necessità di comprendere il manuale nella formazione è stata condivisa dai docenti di storia per diverse ragioni: una base comune di riferimento che, date le diverse provenienze degli studenti, non è affatto scontata; líutilità di un asse cronologico secondo il quale ordinare vicende ed eventi. Per lo studente si tratta, o dovrebbe trattarsi, di un ripasso, che il docente suggerisce di condurre in parallelo allo sviluppo del tema o dei temi che sono oggetto del corso. Per mantenere questa correlazione può risultare utile stabilire dei momenti di verifica che costringano lo studente a non rinviare il ripasso del manuale a fine corso, quando la scadenza dellíesame è imminente. Personalmente ho adottato un sistema di questo tipo: alla fine di ogni modulo è prevista una verifica scritta: sei domande non troppo specifiche, ma neppure troppo generali a cui gli studenti rispondono in un tempo di circa uníora e mezza. Devono perciò essere sintetici e precisi. La valutazione della prova entra a far parte della valutazione finale anche se non in modo rigido. Se il risultato è ritenuto da loro insoddisfacente possono portare allíesame il manuale o la parte che non hanno superato. Didatticamente questa verifica funziona: tutti gli studenti si sottopongono alla prova che è percepita come un modo per alleggerire líesame orale. Gli studenti hanno subito coniato un termine (esonero) per questo tipo di prove anche un certo numero di studenti che non frequentano vengono a sostenerla. Il lavoro di correzione costa al docente un certo sforzo, ma anche per lui si alleggerisce il peso dellíesame finale.

Naturalmente nello strutturare questi tipi di verifica conta molto il numero degli studenti che seguono il corso: se superano il centinaio e se non ha aiuto da parte di collaboratori il lavoro può diventare per il docente troppo pesante.

Eí buona norma che il docente verifichi quali sono i manuali utilizzati dagli studenti e che presenti i manuali che ritiene di consigliare, facendone cogliere la struttura, il linguaggio, la strumentazione didattica ed anche gli orientamenti interpretativi degli autori che spesso restano impliciti. Fin da queste battute iniziali è opportuno mettere in discussione lo stereotipo per cui per molti studenti la storia è il manuale, facendo percepire le semplificazioni a cui líautore del manuale è costretto per mantenere una struttura narrativa coerente e come líoggettività del manuale sia in realtà la sommatoria di inclusioni esclusioni e letture interpretative fortemente connotate dalla personalità e dalle convinzioni, dalle scelte storiografiche dellíautore. Il che non significa la svalutazione del manuale, ma la sua ridefinizione come uno strumento da utilizzare con cautela per quello che può dare fino a quando altri strumenti non consentano di entrare meglio nel problema che si affronta.

Queste annotazioni, scontate per un docente, non lo sono affatto per uno studente e sollevano discussioni che sia pure ingenuamente a volte arrivano al cuore del come e perché si fa storia o si impara la storia.

Il corso. La discussione su come strutturare i corsi di storia è agli inizi. I punti fermi finora acquisiti riguardano la modularità (30 ore di lezione per modulo) e la necessità che i temi affrontati abbiano caratteri generali o consentano di attraversare periodi ampi rispetto ai quali individuare alcuni approfondimenti. Poiché non sono in grado di offrire bilanci di sintesi, indicherò, rischiando qualche banalizzazione, alcune scelte più personali.

Tra i tanti possibili approcci alla storia del Novecento negli ultimi anni, proprio in relazione alle esigenze che i nuovi studenti pongono, mi è sembrato opportuno organizzare il corso utilizzando due modalità didattiche assai diverse: la prima volta a far cogliere alcune delle linee di fondo che caratterizzano le società contemporanee e quindi come agisca in esse la coppia continuità mutamento, i tempi che la caratterizzano, le relazioni società, individuo, stato, economia, cultura. Un metodo efficace per entrare in questo universo di questioni in una forma concreta è líutilizzo del quotidiano. Per un paio di settimane gli studenti portano ogni giorno una testata diversa tra quelle a tiratura nazionale, si esamina la struttura, le impostazioni, le strategie di comunicazione e di mercato, gli orientamenti impliciti ed espliciti. Quasi contestualmente si comincia a guardare i contenuti con una domanda di fondo: quanta storia si trova in un prodotto che per definizione si consuma nel presente? Gli studenti sono sorpresi dalla densità storica presente mediamente nelle testate, in particolare in quelle a tiratura nazionale, che “fanno opinione”.

Si lavora più a fondo su un articolo o due. Eí più che sufficiente per individuare termini concetti riferimenti che per più versanti identificano il quotidiano come uno strumento della comunicazione di massa un poí “primitivo” e dunque legato alla fase iniziale del processo di costruzione della società di massa e forma attiva del processo di modernizzazione e delle società contemporanee. Il tema della modernizzazione diventa quasi naturalmente il centro di una serie di lezioni che cercano di individuare le differenze tra società tradizionale società moderna, fornendo e discutendo una serie di categorie e concetti che nel farsi della società di massa vengono ridefiniti oppure compaiono per la prima volta. La “naturale” appartenenza degli studenti ad una società di massa rende loro difficile individuarne i caratteri e soprattutto individuarla come una società che ha una storia di cui sono soggetti. Le esemplificazioni vengono tratte per lo più dalla storia díItalia, ma con un gioco di comparazioni continuamente ricercato con la storia europea, e in senso lato occidentale. La sperimentazione condotta dice, almeno per ora, che questo è líambito didatticamente efficace a costruire sequenze concettuali padroneggiabili da parte degli studenti, grazie anche alla forza di motivazione che scatta quando percepiscono che ha in qualche modo a che fare con il loro stare nel presente. Mi pare di poter dire che un approccio immediato alla storia del mondo, alla world history che pure li tocca, dalla globalizzazione di fine Ottocento a quella dei nostri giorni, ha bisogno di troppe mediazioni per diventare il centro di un discorso che spesso deve recuperare lacune concettuali oltre che insufficienze di informazione, che inevitabilmente espongono lo studente più sprovveduto al rischio di un tasso di ideologizzazione elevato o, specularmente, al rischio della banalizzazione e della genericità. Líancoraggio ad un luogo, ad un territorio che non sia lontano è un passaggio difficile da saltare. Per esemplificare traendo qualche indicazione dalle esperienze condotte, risulta più efficace con vedere il processo di industrializzazione parlando dellíindustria tessile biellese o il processo di modernizzazione nelle campagne parlando delle imprese agricole della bassa vercellese o della valle Padana che non degli stessi processi in Inghilterra o altri paesi, a cui pure è necessario fare riferimento per far cogliere la profondità, líestensione e la distribuzione temporale dei fenomeni. Per due ragioni. La prima è che così si coglie un mutamento che è stato fisicamente vicino e che a tuttíoggi è visibile perché solidificato nel paesaggio. La seconda è che un processo che ha attivato una sequenza di trasformazioni sociali che ancora non hanno finito di produrre effetti su piani diversissimi, avvicinabili attraverso una sequenza lunga e diversificata di documentazione, ma anche percepibili nella vita di ogni giorno. I nuovi soggetti sociali, i flussi migratori, i conflitti e le domande nuove di riconoscimento politico, le forme della politica, la formazione e líinformazione di massa, il modificarsi delle regole pubbliche e private, del diritto e delle istituzioni, ma anche le permanenze, le continuità di comportamenti e di regole, di riferimenti religiosi e ideologici: rotture e continuità si producono e riproducono continuamente. La società relativamente semplice diventa complessa, articolata al suo interno. La sequenza ordinata e pianificata del manuale salta e il percorso si problematizza.

Il problema centrale una volta afferrata la discontinuità che si produce nella società modernizzata è come sfuggire ad una deriva per cui la complessità diventa anche impossibilità di una visione díinsieme. Intanto, per ogni aspetto che si mette a fuoco diventa importante consolidare la concettualizzazione anche attraverso il riferimento della documentazione, che ovviamente va selezionata in funzione della questione da affrontare. Líesame, anche di pochi documenti è molto apprezzato dagli studenti, perché fa intravedere le potenzialità della ricerca ed è didatticamente utile passare da una lezione spiegazione allíesame di documenti che consentano di “inverare” passaggi altrimenti troppo astratti.

Ma è importante stabilire, una volta chiarito che ogni passaggio porta dentro di sé un numero elevato di possibilità di approfondimento, presentare agli studenti quali percorsi si decide di privilegiare per attraversare il Novecento. Il riferimento ai conflitti mondiali e a quel particolare conflitto che è stata la guerra fredda nellíesperienza didattica fin qui condotta mi è sembrato funzionare abbastanza bene: intanto perché fornisce una periodizzazione di massima che è questione sempre aperta quando si parla di storia. In secondo luogo perché i mutamenti introdotti dalla modernizzazione ottocentesca precipitano ed accelerano nella dimensione del conflitto contribuendo potentemente a ridisegnare gli equilibri internazionali, gli assetti interni, le relazioni tra i soggetti e infine il concetto stesso di guerra. Il caso nazionale viene usato come riferimento ravvicinato, ma anche come punto di vista per guardare al generale. Nel fare questa operazione si allargano i riferimenti alle letture consigliate attraverso le quali alcuni dei passaggi affrontati vengono approfonditi da angolazioni e con metodologie molto definite dalle scelte degli autori, di cui si cerca di fornire la collocazione allíinterno delle scuole storiografiche attive. Infine una certa attenzione va riservata alle vicende più recenti rispetto alle quali tra gli studenti cíè più aspettativa e insieme meno informazione, almeno per quanto riguarda lo studio nelle superiori. Líordine generato dalla guerra fredda e il “disordine” derivato dalla sua fine è un tema altamente problematico, ma che non può essere ignorato. Anche qui è più efficace didatticamente guardare ai problemi generali dallíangolazione nazionale ed europea che non da una astratta dimensione mondiale che va invece recuperata (e líoperazione non è difficile)in relazione al contesto in cui gli studenti si muovono concretamente.

Il modulo dedicato. Il secondo modulo di trenta ore viene programmaticamente dedicato a tre ñquattro temi(nellíesperienza appena conclusa: guerra, totalitarismi, decolonizzazione, globalizzazione) rispetto ai quali il discorso viene approfondito con il ricorso ad una documentazione più ampia e diversificata e con il contributo di alcuni esperti e cultori della materia, perché è didatticamente rilevante far sentire voci diverse. Gli approfondimenti vengono condotti utilizzando una scelta di documenti e in particolare le fonti visive, che richiedono un approccio critico non facile da acquisire ed esercitare, ma che è necessario almeno far percepire dato líuso ampio che viene fatto nella comunicazione e nella costruzione di un comune senso della storia di queste fonti.

A conclusione del corso è importante, soprattutto per il docente discutere con gli studenti il percorso compiuto. Il confronto che si cerca di tenere aperto in ogni passaggio, è ancor più necessario alla fine per verificare attese, obiettivi, risultati. Soprattutto aiuta il docente a mettere meglio a fuoco il suo progetto formativo e individuarne i punti critici. Serve anche a spiegare che cosa il docente si aspetti nella prova di esame sia rispetto al corso, sia alle letture consigliate, poche, ma individuate in modo tale da rinforzare e ampliare le linee generali del corso.

Ovviamente le variabili che possono giocare nel definire il progetto formativo sono molte. Ciò che è stato qui presentato è semplicemente una delle possibili scelte. Alcuni colleghi, ad esempio, hanno tentato ,dopo una breve fase introduttiva, di far lavorare gli studenti per piccoli gruppi su temi selezionati su cui costruire un percorso di ricerca individuale e di confronto collettivo attraverso il confronto, le relazioni individuali e di gruppo e quindi la discussione tra gli studenti e con il docente.

Questa modalità di lavoro, che possiamo definire di tipo seminariale e che certamente è la migliore opportunità formativa che líuniversità possa offrire, deve fare i conti con una serie di fattori, che qui possiamo solo elencare:

  • i vincoli di tempo che líorganizzazione attuale degli insegnamenti comporta. Il lavoro di gruppo ha bisogno di tempi lunghi difficilmente comprimibili entro gli schemi temporali attuali;
  • il numero di studenti partecipanti al corso;
  • la disponibilità di spazi e strumenti adeguati;
  • e soprattutto la disponibilità del docente a coinvolgersi in un lavoro che richiede un esercizio un controllo costante su tutto il percorso.

La storia offre ciò che nessuna altra disciplina può offrire: di attraversare líintera esperienza umana, non solo conoscitiva, ma nel suo farsi. Il suo statuto incerto consente di avvicinare discipline e conoscenze che altrimenti resterebbero estranee allíuniverso conoscitivo degli studenti. Concorre a costruire linguaggi e a renderli comprensibili, concorre soprattutto a riconoscersi in un cammino che solo la storia può, con tutti i suoi limiti, raccontare. Eí un impegno e un problema non di poco conto, che forse anche percorsi formativi che la escludono, dovrebbero porsi. Ma le risposte o la ricerca delle risposte può avvenire senza coinvolgere in un confronto aperto quanti hanno scelto questo mestiere?