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Ipotesi e problemi per una storia economico-sociale dell’ebraismo italiano dopo l’emancipazione

Germano Maifreda

Germano Maifreda

Solo recentemente è nato un interesse storiografico per le vicende degli ebrei d’Italia in età contemporanea emancipato dallo studio del pensiero e delle pratiche antisemiti. L’osservazione dei comportamenti economici, tuttavia, entra a far parte solo episodicamente di questa produzione, spesso al fine di integrare una ricostruzione più ampiamente volta a rappresentare il vissuto ebraico in un dato periodo storico e in una data realtà geografica. La rilevazione delle attività economiche assume in tali contesti valore euristico complementare a quello di altri aspetti storico-sociali, quali l’evoluzione delle istituzioni comunitarie o del dato demografico. Soprattutto nel mondo anglosassone si sono invece da tempo intensificati gli studi inerenti le relazioni tra condizione sociale di minoranza ed esercizio di prerogativi comportamenti economici. Si tratta di una letteratura ampia, frutto di approcci metodologici diversificati e riguardante differenti aree cronologiche e geografiche.
Per ragioni legate al rilievo storico assunto dall’esperienza del popolo ebraico nelle diverse epoche, una porzione consistente di tale produzione ha riguardato i comportamenti economici ebraici in contesto diasporico. Ampia parte di tale letteratura invita a utilizzare il rilevamento delle scelte economiche della minoranza ebraica quale misuratore specifico dei caratteri, dei tempi e dell’efficacia del processo ebraico di emancipazione dalle leggi discriminatorie di antico regime e di integrazione culturale contemporanea. Ciò partendo dall’assunto che l’esercizio di un preciso pattern di comportamento economico da parte di una minoranza, se mantenuto nel tempo, è indice della parzialità di un processo socialmente assimilativo, poiché una minoranza effettivamente assimilata assume i modelli di comportamento economico della maggioranza a cui si assimila. Il processo otto-novecentesco di integrazione sociale tra le compagini ebraica e gentile, per lungo tempo aprioristicamente designato col termine «assimilazione», è configurato da questi studi come un processo di trasformazione delle scelte economiche almeno tanto quanto di mutamento, nel senso più ampio, culturale.
Il punto d’osservazione privilegiato dagli storici dei comportamenti economici di minoranza si colloca dunque, secondo le prospettive più recenti, sulla linea della interazione dialettica tra azione economica e azione sociale. I nessi esistiti tra mutamento degli atteggiamenti economici degli ebrei in età contemporanea e avanzamento della loro emancipazione e integrazione – intesa quest’ultima come perdita di una diffusa identità morale differenziante – è, non a caso, tema centrale dei contributi più recenti a riguardo. Indagare le declinazioni economiche dell’incontro, finalmente paritetico almeno sul piano legale, avvenuto tra la società europea e la minoranza ebraica nel corso del XIX e XX secolo non significa quindi affatto tentare di verificare o falsificare l’assunto razzista di una predisposizione «razziale» o «psicologica» del popolo ebraico verso lo svolgimento di certe attività economiche o l’esercizio di certe forme di investimento; tanto meno tale assunto costituisce il presupposto epistemologico dal quale tali indagini hanno intenzione di muovere. Piuttosto, un primo interrogativo che questa prospettiva ambiziosamente si propone di sciogliere è il seguente: è possibile rintracciare una specificità dell’operare economico ebraico in un’epoca in cui esso non è più limitato da una legislazione discriminatoria? Il punto di partenza pare perciò essere il riconoscimento della condizione di minoranza sociale storicamente discriminata, condizione propria della vicenda del popolo ebraico sul suolo europeo nei secoli della diaspora.