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Irene di Jorio

Université Libre de Bruxelles
Fedeli al nemico? Vichy fra Collaboration d’Etat, problemi d’immagine e propaganda

Nel proclama si che autoritario regime un di l’istituzione Repubblica; della fine la Paese; del quinti tre dei tedesca l’occupazione inattesa; e schiacciante militare sconfitta una storia: sua nella unici quasi sconvolgimenti serie vive Francia 1940,la>Etat français e controlla, in realtà, solo una parte limitata del territorio nazionale, con capitale a Vichy; il conferimento dei pieni poteri a un maresciallo ottuagenario che dice di voler salvare la Francia> e, per questo, decide di collaborare con l’eterno nemico, la Germania.

A partire dall’opera di Robert O. Paxton, molti studi sono stati condotti su quella che Stanley Hoffmann ha definito come la Collaboration d’Etat, distinguendola dalle altre forme di collaborazione: quella ideologica, dei sostenitori del nazismo (i collaborationnistes); quella tecnica ed economica, più o meno scontata; quella individuale, determinata dall’interesse o dalla sottomissione. La Collaboration d’Etat praticata da Vichy non è né un semplice assoggettamento né necessariamente il segno di una simpatia ideologica verso il nazismo (anche se molti collaborazionisti ebbero un ruolo importante nell’Etat français), ma una politica di volontario accomodamento al potere tedesco nella speranza di ottenere un posto migliore in Europa quando i nazisti abbiano vinto la guerra (cosa che, nel 1940, è data per certa). D’altra parte – e in questo sta una delle sue specificità – Vichy non si limita ad amministrare sotto l’occupazione straniera, ma approfitta dell’occupazione per condurre una rivoluzione politica interna (la Révolution Nationale), con l’obiettivo di trasformare radicalmente la società francese in aperta rottura con i principi della Repubblica.

Se dunque Collaboration d’Etat e Révolution Nationale sono due facce della stessa politica, si tratta di riflettere sui problemi identitari cui deve far fronte un regime che – ricercando deliberatamente la collaborazione con la potenza occupante – si trova nell’esigenza di “lanciare” di sé un’immagine consensuale, un’immagine di sovranità che ne legittimi l’esistenza in quanto garante dell’unione e della continuità nazionali. O, in modo più specifico, si tratta di capire come – in una situazione di crisi estrema e con un’«opinione pubblica» ostile all’occupante nazista – l’Etat français cerchi di fare i conti con il problema – imprescindibile in ogni società massificata – di conquistare e conservare il «consenso» dei cittadini alla sua politica.

Accostata da questo angolo prospettico, la questione delle «scelte di fedeltà diverse da quelle immediatamente ovvie rispetto al proprio gruppo di appartenenza» sarà esaminata lungo due assi tematici principali e, per così dire, in negativo. Da una parte, si porrà il problema delle strategie discorsive e, più in generale, dell’autorappresentazione costruita da Vichy per sostenere il suo progetto politico, giustificandolo come l’ineluttabile portato dell’«interesse nazionale». Dall’altra, si esamineranno le scelte politiche ed istituzionali effettuate dal regime per garantirsi il sostegno di una propaganda «efficace», cercando di illustrare come – anche nell’allestimento della propria «fabbrica del consenso» – l’esigenza vichysta di negare l’esistenza di una qualunque «fedeltà» nei confronti dell’occupante nazista (o comunque di preservarsi dall’accusa di «imitazione») porti all’elaborazione di soluzioni originali: soluzioni le cui specificità potranno emergere con maggior chiarezza grazie al confronto con altri contesti ed altre temporalità.