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La degermanizzazione della Slesia dopo la II Guerra Mondiale

Davide Artico

Davide Artico

L’espulsione dei Tedeschi dalla Bassa Slesia dopo la II Guerra Mondiale rientra nel fenomeno più ampio della de-germanizzazione di un’area di circa 100 mila kmq che, dopo il conflitto, entrò a far parte del nuovo Stato polacco. Questa de-germanizzazione rientra a sua volta in quadro di movimenti forzati di popolazione volti alla creazione di un’entità statale omogenea dal punto di vista nazionale, dunque tendenzialmente priva di qualsiasi minoranza. In questo quadro rientrano anche le espulsioni sistematiche di Ucraini ed Ebrei.
La peculiarità della Bassa Slesia è individuabile nel fatto che nella regione, alla vigilia del conflitto, i Tedeschi ammontavano a circa il 95% della popolazione residente. Ciò comportò la necessità di dispiegare per le espulsioni un enorme apparato organizzativo, cui dovettero collaborare in misura rilevante anche Gran Bretagna ed Unione Sovietica. Ciò comportò anche: una serie di shock socio-economici derivanti dall’insostituibilità delle maestranze tedesche in settori come l’industria estrattiva e l’artigianato; la vessazione gratuita degli espellendi in nome di una presunta responsabilità collettiva di tutti i Tedeschi per i crimini hitleriani; la necessità di legittimare il controllo sulla regione attraverso l’invenzione di una tradizione di presenza polacca risalente addirittura al Medioevo.