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La storia non morirà

di Lutz Klinkhammer

Uno studioso tedesco promuove la nostra riforma scolastica.
Storico, Istituto tedesco di studi storici di Roma

(da La Stampa, 7 marzo 2001)

GUARDANDO da un osservatorio lontano al dibattito su come riorganizzare l’insegnamento della storia nella scuola italiana dell’obbligo sorge un quadro irritante, ma allo stesso momento anche rassicurante della realtý italiana. Irritano soprattutto i pessimismi culturali che vedono l’avvicinarsi della fine dell’insegnamento della storia a scuola, le paure di un abbassamento generale dei livelli del sapere storico. Irritano non tanto gli errori, pubblicati recentemente in alcuni interventi sul contenuto del documento conclusivo della commissione ministeriale, che ha stilato la bozza del testo del curricolo per l’ambito di storia, geografia e studi sociali (e pubblicata sul sito del Ministero della Pubblica Istruzione il 7 febbraio), ma le paure nei confronti di una riforma che non lascia dubbi sul rafforzare la centralitý della storia come una delle materie principali dell’insegnamento. Chi teme che i ragazzi formatisi con il nuovo curriculum di storia escano dalla scuola digiuni di storia – dopo aver passato 2 anni di preparazione, 5 di ciclo cronologico e 3 di approfondimento tematico, il quale osserva naturalmente l’evoluzione del tempo storico – dovrebbe temere molto di pi˜ per le sorti della societý tedesca, che dovrebbe, se si fa un confronto con l’insegnamento della storia, aver ormai perso completamente la conoscenza delle sue radici. La riforma tedesca dei licei dei primi anni ’70 ha praticamente abolito il liceo classico e l’ha sostituito con un liceo unico, di indirizzo scientifico-linguistico. La riforma ha inoltre, per l’ultimo triennio del liceo, sciolto la struttura e i legami di classe unendo tutte le classi dalle quali era composta ciascun annata, in un unico gruppo di ragazzi che si aggregano in gruppi differenti a seconda dei corsi di insegnamento scelti. Nella prospettiva di questa riforma, la storia rischiava di essere schiacciata come insegnamento autonomo: veniva aggregata con l’educazione civica e la geografia in una materia unica denominata ´scienze della societýª. E l’insegnamento della storia non avviene prima del nono anno, e consiste, per chi esce dalla scuola dell’obbligo, in un unico ciclo cronologico composto da tre anni. Solo nell’ultimo triennio del liceo lo studente tedesco entra in un secondo ciclo cronologico che dura tre anni e prevede approfondimenti tematici. Rispetto a quel modello d’oltralpe, lo studente italiano che finirý gli studi – auguriamoci – secondo le nuove proposte curriculari della commissione Croce e con la fine dell’obbligo, avrebbe passato alle elementari, nel terzo e quarto anno, una preparazione concettuale, che mette le basi per lo studio cronologico successivo. Il seguente primo ciclo cronologico di 5 anni garantirebbe non solo un insegnamento uguale per tutti della storia fino alle fine dell’obbligo, ma arriverebbe anche quasi al doppio delle ore di storia insegnate in una scuola media tedesca. Un osservatore straniero nota quindi alcuni elementi che lascerebbero guardare abbastanza tranquillamente alle paure di quelli che temono questa riforma – e forse anche altre -, e temono che ne derivi il declino della civiltý occidentale: poco edificante Ë perÚ che, dietro le diatribe e le preoccupazioni, non si riesca pi˜ a cogliere il gusto della riforma curriculare che ha introdotto un elemento fortemente innovativo: cioË l’insegnamento della storia mondiale. Che dopo la globalizzazione dell’economia e della ricerca tecnologica, dell’industria e delle banche, dei mercati e delle comunicazioni, anche le scuole accettassero la sfida di questi cambiamenti e ne dessero conto con un insegnamento della storia che permettesse di cogliere lo sviluppo/l’evoluzione di un sistema mondiale, mi sembrerebbe un’innovazione quasi dovuta. Di pari passo ne dovrebbe cambiare perÚ anche il metodo dell’insegnamento stesso, allontanandosi dal monologo di cattedra e avvicinandosi a un dialogo in classe. Nell’applicare la nuova proposta di curriculum in storia, la societý italiana correrebbe un unico ´rischioª, cioË la prospettiva di completare cronologicamente i nuovi cicli cronologici e di arrivare veramente all’insegnamento del ë900, almeno alla fine del primo ciclo. Mentre la prospettiva di storia mondiale potrebbe preparare poi una generazione di giovani consapevoli che esistono altre prospettive di lettura del passato e che nei libri di testo d’oltralpe si definisce ´migrazioni di popoliª quello che una volta era, naturalmente, l’invasione dei barbari. E che per ragazzi delle elementari in Germania, per esempio, la prima entitý identificatrice che incontrano a scuola non Ë la nazione o il mos maiorum, ma la storia del loro piccolo paese e del suo paesaggio. Forse Ë quel concetto di Heimat che puÚ controbilanciare la prospettiva della globalizzazione.