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L’altro Mezzogiorno

Culture economiche e progetti di sviluppo nel primo ventennio repubblicano
Coordinatrice: Rossella Caccavo (Università di Bari)
Venerdì 26 settembre
II Sessione: 9.00-13.00
Aula 3

A lungo le politiche per il Mezzogiorno hanno decisamente oscurato quanto accadeva nel Mezzogiorno: l’enfasi eccessiva a lungo attribuita al problema dell’intervento dello Stato ha finito cioè per porre in ombra la complessità e ricchezza delle periferie. Proprio da tali periferie, dalle modalità con cui – fra potenzialità e limiti – esse hanno rielaborato le scelte del centro, dalle culture economiche che in esse hanno trovato espressione per restare spesso minoritarie o tramontare rapidamente, specie a seguito della svolta industrialista del 1957, il presente panel si propone di ripartire. Nelle porzioni forse meno indagate dell’universo economico meridionale, quelle cioè che pur interagendo inevitabilmente con le politiche pubbliche non hanno tratto da queste ultime la propria linfa vitale, è possibile rintracciare infatti i segni di un “dinamismo privato” fatto di culture, elaborazioni, progetti di sviluppo in vario modo dissonanti rispetto a quella modernizzazione dall’alto di matrice neocapitalista che solo nei decenni successivi sarebbe divenuta oggetto di progressiva problematizzazione. Si muove allora essenzialmente dall’esigenza di una rilettura in chiave nuova del complesso scenario delle culture economiche che, attraversando il primo ventennio dell’Italia repubblicana, guardi alle aree più dinamiche del Mezzogiorno come “centri” di riflessione ed elaborazione piuttosto che come “oggetti”.

Programma
  1. Giuseppe Abbracciavento (Università di Bari-Exeter) – Culture economiche all’Assemblea Costituente. La voce del Mezzogiorno – (Relazione – pdf)

    In sede di Assemblea Costituente il Mezzogiorno è stato oggetto di dibattito prevalentemente in relazione all’ordinamento regionale piuttosto che ai rapporti economici in senso stretto. Proprio da quella sede avrebbe originato tuttavia il tentativo di liberare la riflessione dalle secche dei cosiddetti “neo-manchesteriani in ritardo”, dando voce a culture economiche che meritano una rinnovata attenzione storiografica. Le riflessioni in materia di pianificazione economica e classe dirigente, la continua dialettica tra le posizioni filoregionali e quelle orientate ad un maggior grado di centralismo, il dibattito sul latifondo e sulle sorti delle campagne meridionali convergono infatti nel tentativo di definire un nuovo assetto delle questioni economiche ed istituzionali dal quale il Mezzogiorno possa emergere come luogo autonomo di riflessione ed elaborazione.

  2. Giovanni Bruno (Regesta, Roma) – Fra pubblico e privato. L’industria elettrica dal dopoguerra alla nazionalizzazione

    La Società Meridionale di Elettricità conosce negli anni successivi alla II guerra mondiale un’accelerata e radicale trasformazione: cambiano le caratteristiche produttive del gruppo, che a fronte di un piano di investimenti non irrilevante vede crescere la propria dipendenza dall’esterno; mutano gli equilibri societari, con l’Iri che assume un peso via via crescente a danno dei tradizionali azionisti svizzeri. La guida del gruppo meridionale si sposta sempre più decisamente verso l’azionista pubblico – secondo una strategia già definita alla fine degli anni ’30 – mentre i centri di comando scivolano dal livello locale-periferico verso il centro. L’intervento analizza fasi e “ragioni” di questo spostamento, segnato da tappe ravvicinate – la nascita di Finelettrica, la costituzione del Ministero delle Partecipazioni Statali, l’uscita di scena di Cenzato, la nuova legge per il Mezzogiorno del 1957 – fino a giungere alla nazionalizzazione e alle conseguenze che la situazione determinatasi avrà sul futuro del maggior gruppo industriale del Mezzogiorno.

  3. Rossella Caccavo (Università di Bari) – Borghesia industriale e “meridionalismo liberista”. Isidoro Pirelli e il caso dell’area barese – (Relazione pdf)

    L’area barese, col suo portato di culture e tradizioni agro-industriali e mercantili di lungo periodo, si fa catalizzatrice fin dall’immediato dopoguerra di un progetto di sviluppo che prende le distanze tanto dall’iniziale impostazione agrarista della politica governativa e statunitense quanto dal meridionalismo industrialista della Svimez. Sullo sfondo di un’inedita dialettica fra gli ambienti liberal-socialisti e le categorie industriali ed economiche provinciali si staglia la figura “di confine” di Isidoro Pirelli, destinata – con il disegno di una progressiva apertura dei mercati da intrecciarsi, e non da contrapporsi, ai primi provvedimenti per l’industrializzazione del Mezzogiorno, con l’ipotesi di una “via alternativa” all’intervento straordinario forgiata attorno alla valorizzazione delle risorse interne e delle energie imprenditoriali private, con l’utopia di un capitalismo antipolitico del tutto inconciliabile con la svolta fanfaniana e la pervasiva cultura delle Partecipazioni Statali – a tramontare rapidamente. Il presente intervento si propone dunque di indagare le ragioni e le dinamiche della parabola di quella cultura economica di cui il presidente degli industriali baresi si faceva portavoce e che, dalla metà degli anni Cinquanta in poi, avrebbe teso ad arroccarsi su posizioni difensive finendo per “salire sul carro” dell’intervento pubblico.

  4. Raffaele De Leo (Università di Bari) – Il “nodo irrisolto” dell’agro-alimentare nel Mezzogiorno degli anni Cinquanta: tra politiche pubbliche e culture dello sviluppo (Relazione pdf)

    Nei processi di modernizzazione dell’agricoltura nei sistemi industriali contemporanei uno snodo fondamentale è rappresentato dall’integrazione del settore primario nei circuiti di mercato e in un più ampio sistema agroalimentare. A partire dalla fine degli anni Quaranta, allorchè anche l’agricoltura del Mezzogiorno d’Italia si preparava ad uscire dall’isolamento, si sviluppò un denso dibattito che, a livello nazionale e locale, vide economisti, tecnici e rappresentanti delle categorie economiche confrontarsi su forme e strumenti di riorganizzazione dell’agroalimentare in funzione degli sviluppi produttivi e dell’espansione dei mercati. Il presente contributo si propone di ricostruire alcuni nodi di tale dibattito, che si mostrò animato da un notevole fermento di idee e proposte. Rispetto a tali sollecitazioni, il problema agroalimentare nel Mezzogiorno restò un ‘nodo irrisolto’ nell’azione di governo, che apparve incapace di elaborare, al di là di provvedimenti particolaristici e settoriali, forme di intervento ispirate ad una moderna ed organica politica di promozione dello sviluppo.

  5. Simone Misiani (Università di Teramo) – Culture economiche della crisi e pensiero della programmazione

    La breve e controversa stagione della programmazione economica ha rappresentato lo snodo fondamentale, il cruciale punto d’incontro e di collisione fra le aspirazioni programmatiche della scienza economica e i disegni politici del Centrosinistra. Il presente intervento propone un percorso alle radici della programmazione, individuandone le diverse culture costitutive e puntando l’attenzione in particolare sul contributo impresso dal filone statistico-economico della Svimez di Molinari e dalla “cultura dei tecnici” di Rossi-Doria e della Scuola di Portici, per rintracciare poi nella mancata saldatura tra quella cultura programmatoria, che aveva trovato già a metà degli anni Cinquanta pieno riconoscimento e rappresentazione implicita nello Schema Vanoni, e le concezioni economiche contenute nei programmi del Partito socialista e della Sinistra Democristiana, le cause più profonde della crisi del Centrosinistra e più in generale della prima repubblica.

Discussant: Anna Lucia Denitto (Università di Lecce)