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L’aquila imperiale e il veltro dantesco. Il fascismo come orizzonte messianico

Simona Urso

Simona Urso

La mia ricerca, basata soprattutto su una documentazione archivistica inedita, reperibile presso l’archivio Casciola di Messina, intende sviluppare, a partire dalla figura di Brizio Casciola (1883 – 1957), (anomala figura di sacerdote, già modernista, vicino al regime e a Mussolini per tutto il ventennio), le relazioni tra fascismo e cattolicità viste come ambigue facce di una medesima risposta alla modernità.
Se si raccorda la biografia di Casciola con la vita intellettuale e politica dell’Italia nella prima metà del secolo, l’immagine che ne emerge si colloca all’interno di un quadro intellettuale più ampio, di cui i cattolici rappresentavano solo una componente: tale quadro è ricostruibile solo restituendo di senso i canali di collegamento attivati da Casciola stesso fra intellighenzia laica dell’Italia liberale e mondo cattolico, e ricostruendo un cammino politico che dalla militanza modernista lo avrebbe portato fino al fascismo e alla collaborazione con «Gerarchia», la rivista teorica di Mussolini, fondata nel 1922. La collaborazione a «Gerarchia», proseguita fino al 1940, la collaborazione ad altre testate, e i consistenti carteggi del periodo fascista (con Luigi Valli, Maddalena Patrizi, Maria Salini, Margherita Sarfatti, Ernesto Codignola, Maria Pastorella, Adolphe Ferriere, Giovanni Papini, Giovanni Gentile, Domenico Giuliotti) lo rendono non solo un utile angolo di osservazione, ma lo mostrano come interno all’ambiente fascista, e vicino alle gerarchie del regime.
Funzionali ad individuare una relazione fra cattolicesimo e modernità, nella attività di Casciola, sono soprattutto gli anni venti, utilizzando come sottotraccia la sua collaborazione a Gerarchia, affiancata costantemente ad altre fonti, gli opuscoli scritti da lui, i volumi prodotti e i carteggi di quel periodo.
Proprio partendo dalla mia ricerca, intendo sottoporre alla discussione pubblica soprattutto il punto di approdo, la relazione fra cattolicità e fascismo come aspetti di una medesima espressione “deviante”.
Tale relazione, se ci limitiamo agli anni venti (per il decennio successivo la situazione è ovviamente più complessa), si può imperniare soprattutto sul seguente binario: se è innegabile che tra le due guerre mondiali il cattolicesimo si propose di realizzare una “modernizzazione senza modernità”, tale tentativo era il medesimo che i regimi autoritari in Europa tentavano di fare nella sfera pubblica. La mobilitazione del laicato nell’Azione cattolica, per esempio, che secondo le direttive di Pio XI, doveva mirare alla restaurazione del regno sociale di Cristo, società e stato cristianamente costituiti, è la forma più palese di modernizzazione per organizzare le masse parallelamente a quella degli stati autoritari. Ma l’obiettivo di Pio XI era il superamento della modernità intesa come riconoscimento dei diritti e della libertà nella vita pubblica e nelle forme associative. Dato per assunto questa analisi, che ormai gode di un ampio fronte di ricerca, va notato però che proprio la confluenza di obiettivi e l’analogia nelle modalità di mobilitazione furono motivo di tensioni fra chiesa e regimi autoritari degli anni venti.