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Le scuole di specializzazione all’insegnamento secondario.

Un lungo e faticoso cammino

di Claudio Crivellari
La formazione degli insegnanti rappresenta concettualmente uno dei livelli più alti di formazione, in quanto persegue come obiettivo la preparazione professionale dei futuri professori e pertanto non può essere limitata alla semplice trasmissione dei saperi, ma deve fornire gli strumenti e le metodologie della trasmissione stessa, adattandoli di volta in volta alle peculiarità delle singole discipline. Non si tratta solo di metodi da adottare in un processo educativo, ma di rivedere completamente il rapporto tra docente e discente in un preciso contesto. Paradossalmente, proprio la complessità e le diverse implicazioni della materia hanno determinato continui rinvii e sottovalutazioni del problema, fino all’anno accademico 1999/2000, quando sono state finalmente attivate le Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondario (Ssis), luogo istituzionale deputato ad affrontare e risolvere organicamente il problema della formazione degli insegnanti secondari all’interno di un progetto unitario e ben delineato.
Vista l’importanza del fenomeno, vale la pena di accennare per sommi capi e senza entrare nel merito delle vicende, le lunghe e travagliate fasi (1) che hanno portato ad una svolta attesa da decenni e chiaramente orientata dall’attività di centri di ricerca di settore, come la Conferenza Nazionale dei Centri Universitari per la Ricerca Educativa e Didattica (Concured).
Da sempre, infatti, i limiti del sistema scolastico italiano sono stati identificati e talvolta strumentalmente motivati con la mancata formazione professionale degli insegnanti, spesso derivante da un sistema incapace di delineare i contorni di un’istituzione trasversale a cui affidare un compito così gravoso.
Il problema venne affrontato in maniera istituzionale verso la fine dell’800 con l’attivazione delle Scuole di Magistero annesse alle Facoltà di Lettere e di Scienze, pensate per integrare la formazione disciplinare degli studenti con competenze pedagogiche. Ma l’esperimento, seppur interessante, non seppe seguire l’evoluzione dei tempi e si concluse dopo soli quaranta anni, frustrato dalla settarietà di un progetto dai contenuti parziali e carente di trasversalità disciplinare e formativa.
La necessità di una formazione professionalizzante degli insegnanti si ripresentò nel secondo dopoguerra, con la scolarizzazione di massa derivante dall’istituzione della scuola media unica, quando il sistema scolastico corse maldestramente ai ripari reclutando personale non qualificato e senza alcuna esperienza e preparazione specifica.(2)
Il degrado che ne seguì fu oggetto di studio di una Commissione parlamentare di indagine sulla Scuola, la quale ebbe il merito di intuire che solo una riforma strutturale del meccanismo formazione-reclutamento avrebbe garantito un senso compiuto a tutta l’evoluzione del sistema scolastico. La Commissione stessa, tra l’altro, individuò nelle università il luogo istituzionale dove collocare la formazione organica degli insegnanti e, per gli insegnanti secondari in particolare, vennero prefigurati corsi biennali abilitanti, articolati su un primo anno coincidente con l’ultimo anno del corso di laurea ed un secondo anno, post laurea, con tirocinio retribuito. Il programma di sviluppo proposto dalla Commissione non ebbe seguito ma condizionò l’attività normativa degli anni successivi, tanto che nel provvedimento istitutivo dell’Università della Calabria fu prevista la possibilità, allargata poi agli altri atenei che ne avessero avanzato richiesta, di attivare lauree abilitanti all’insegnamento nella scuola media. Per ottenere l’abilitazione gli studenti avrebbero dovuto seguire dei corsi di laurea che prevedevano al IV anno insegnamenti di Scienze dell’educazione ed al V anno un tirocinio guidato con esercitazioni di seminario didattico. La soluzione della legge calabra, pur con i suoi limiti, racchiudeva aspetti interessanti, ma dopo un solo anno di parziale attività, un Decreto degli inizi del 1971 ne sospese lo sviluppo.
Gli anni successivi furono pervasi da un’intensa attività parlamentare in cui i ripetuti tentativi legislativi di investire in maniera organica le università della formazione degli insegnanti furono vanificati da leggi parallele che ne impedivano o ne rimandavano l’attuazione.
Alla fine degli anni ottanta il problema apparve ormai inderogabile e la legge n° 341 del 19.11.90, decisamente condizionata dalle proposte mirate che centri interdipartimentali di settore (Cire di Bologna e Cird di Genova) avevano formalizzato negli anni precedenti, sancì l’istituzione delle strutture didattiche universitarie deputate alla formazione degli insegnanti secondari.
Il comma 2 dell’art. 4, in particolare, recitando espressamente che: «con una specifica scuola di specializzazione, cui contribuiscono le facoltà ed i dipartimenti interessati, ed in particolare le facoltà di magistero, le università provvedono alla formazione, attraverso attività di tirocinio didattico, degli insegnanti della scuola secondaria, prevista dalle norme del relativo stato giuridico. L’esame finale per il conseguimento del diploma ha valore di esame di stato ed abilita all’insegnamento per le aree disciplinari cui si riferiscono i relativi diplomi di laurea. I diplomi rilasciati dalla scuola di specializzazione costituiscono titolo di ammissione ai corrispondenti concorsi a posti d’insegnamento nelle scuole secondarie», garantì l’opportunità di creare un ambiente formativo unitario e configurò, nella parte finale, un nuovo meccanismo di reclutamento.
Nei primi anni ’90 l’attenzione si concentrò sull’ordinamento didattico della Scuola di specializzazione prevista dalla legge 341 e sulla necessità di un rapporto coordinato tra università ed insegnanti secondari in servizio, ma solo qualche anno dopo, con il Decreto 470 del 31 luglio 1996, si pervenne alla definizione istituzionale di una tabella curriculare (tabella XXIII bis) che però non venne mai applicata, pur condizionando l’attività successiva, sia in sede di progettazione dei corsi che in sede legislativa.
Con la legge 127 del 1997, infine, vennero abolite le Tabelle nazionali e l’ordinamento didattico diventò competenza delle singole università, all’interno di Criteri generali che sarebbero stati emanati dal Murst. Di fatto, l’adeguamento al nuovo quadro normativo provocò un ulteriore inevitabile rinvio, ma in ogni caso i tempi erano ormai maturi e nel 1998 vennero emanati, con Decreto del 26 maggio 1998, i Criteri generali per l’attivazione della Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario. Oltre ad introdurre i concetti di obiettivo e di credito formativo del sistema Etcs europeo, nato ai fini dei trasferimenti negli scambi universitari europei previsti dai progetti Erasmus-Socrates, i Criteri generali fanno esplicito riferimento agli aspetti legati all’organizzazione dei laboratori e dei tirocini, prevedendo, nel primo caso una partecipazione coordinata dei docenti delle aree “trasversali” e “didattico-disciplinari” e nel secondo caso un’interazione teorico-operativa tra mondo accademico e scolastico. L’art. 2 racchiude volutamente alcune disposizioni generali, specificate singolarmente negli articoli successivi, sia per il corso di laurea in scienze della formazione primaria sia per la scuola di specializzazione all’insegnamento secondario, in sintonia con gli ambienti scolastici che avevano sempre visto negativamente la formazione degli insegnanti elementari differenziata da quella degli insegnanti secondari. Nel testo del Decreto, inoltre, vengono contemplate possibili forme di collaborazione con enti locali ed apposite convenzioni con enti di ricerca ed istituzioni scolastiche, al fine di garantire competenze a più livelli per lo svolgimento, in particolare, delle attività di tirocinio, quantificate in crediti ed in una percentuale che garantisca loro un’importanza adeguata.
è una chiara anticipazione della riforma universitaria varata di recente che ristruttura tutti i livelli d’istruzione universitaria sulla base di obiettivi e crediti formativi, adottati non in sostituzione della valutazione tradizionale, ma come strumento in grado di valutare in maniera univoca le competenze da acquisire ed i relativi tempi di apprendimento.
Di fondamentale importanza appaiono i passaggi relativi all’articolazione della Scuola in indirizzi e classi d’abilitazione ed alla possibilità di tracciare piani di studio individuali. Gli utenti naturali della scuola, infatti, dovranno essere dei laureati i cui curricoli, estremamente differenziati, potrebbero contenere particolari crediti acquisiti durante il corso di laurea o eventuali debiti formativi da recuperare.
E così, dopo aver individuato una Scuola per ogni regione, articolata in strutture interateneo, e programmato gli accessi sulla base del reale fabbisogno professionale delle singole aree, si passò a regolare i meccanismi di ammissione, prevedendo una selezione che, attraverso un test ed una seconda prova valutativa, garantisse un alto livello qualitativo, nonché la possibilità di individuare eventuali debiti formativi da far recuperare con i piani di studio individuali previsti dalla normativa.
Solo nell’estate del 1999, con un anno di ritardo sui tempi previsti, vennero emanati i bandi ed avviate le attività.
Per una strana ironia della sorte l’emanazione dei primi bandi coincise con il maxi concorso a cattedra, strumento di reclutamento che la Ssis, una volta a regime, avrebbe dovuto sostituire come completamento logico e naturale del proprio operato.
Tabella A.(3) Le scuole di specializzazione.

SEDI REGIONALI
POSTI DISPONIBILIa.a. 1999/2000 IMMATRICOLAZIONIa.a. 1999/2000 POSTI DISPONIBILIa.a. 2000/2001
VALLE D’AOSTA
37 21 30
PIEMONTE
425 385 125
LIGURIA
180 >176 180
LOMBARDIA (STATALE)
1440 525 1365
LOMBARDIA (CATTOLICA)
372 255 268
VENETO
1040 665 1070
TRENTINO
120 99 100
FRIULI
360 165 240
EMILIA ROMAGNA
946 946 946
TOSCANA
530 506 610
MARCHE
378 378 390
UMBRIA
180 176 180
LAZIO
530 530 275
ABRUZZO
345 345 370
MOLISE
125 120 125
CAMPANIA
Attivata nell’anno accademico 2000/01 1400
PUGLIA
1008 1008 840
CALABRIA
330 325 354
BASILICATA
150 150 150
SICILIA
1360 952 1357
SARDEGNA
373 311 310
TOTALE
10229 8038 10685

Tabella B. POSTI  DISPONIBILI  PER  INDIRIZZO  Anno Accademico  2000/2001

-Sedi
FIM LS SU LL SN T SM MS EG AD SP
VALLE D’AOSTA
10 20
PIEMONTE
25 45 25 25 20
LIGURIA
60 20 100
LOMBARDIA Statale BERGAMO
40 40 40
LOMBARDIA Statale MILANO
190 70 250 80 50 60 55
LOMBARDIA Statale PAVIA
120 80 180 60 50
LOMBARDIA Cattolica BRESCIA
72
LOMBARDIA Cattolica MILANO
48 148
VENETOPADOVA
200 40 80 50 100
VENETO VENEZIA
100 150 70 40IUAV
VENETO VERONA
150 30 60
TRENTINO
20 25 20 15 20
FRIULI V. G. TRIESTE
15 32 8 47 16 2
FRIULI V. G. UDINE
16 15 65 12 12
E. ROMAGNA BOLOGNA
104 25 175 50 20 15 35
E. ROMAGNA FERRARA
30 20 65 40 10 20
E. ROMAGNA MODENA
40 39 15 20
E. ROMAGNA PARMA
42 40 93 10 10 28
MARCHE
20 50 180 25 15 100
TOSCANA FIRENZE
100 80 30 280 90
TOSCANA PISA
100 50 280 90
TOSCANA SIENA
100 80 280 90 30
UMBRIA
35 10 110 25
LAZIO LA SAPIENZA
65 30IUSM
LAZIO LUMSA
45
LAZIO ROMA 3
65 40 30
ABRUZZO
60 35 20 130 30 10 15 40 30
MOLISE
15 10 40 40 20
CAMPANIA
240 160 60 540 150 40 45 25 60 70 10
PUGLIA BARI
113 53 187 54 11 2
PUGLIA FOGGIA
60
PUGLIA LECCE
69 29 26 116 26 25 30
PUGLIA BARI Politecnico
39
CALABRIA
60 20 135 40 20 24 35
BASILICATA MATERA
53 22
BASILICATA POTENZA
75
SICILIA CATANIA
85 30 20 130 50 25 20 20
SICILIA MESSINA
90 30 20 190 40 30 30
SICILIA PALERMO
86 55 240 50 45 26 25 30
SARDEGNA CAGLIARI
35 30 10 55 26 10 20
SARDEGNA SASSARI
5 12 60 15 10 12 10

Legenda: FIM: Fisico Informatico Matematico – LS: Lingue Straniere – SU: Scienze Umane – LL: Linguistico Letterario – SN: Scienze Naturali – T: Tecnologico – SM: Scienze Motorie – MS: Musica e Spettacolo – EG : Economico Giuridico – AD: Arte e Disegno – SP: Sanitario e della Prevenzione
Nel primo anno accademico di attività, le Ssis hanno immatricolato 8.038 specializzandi, pari al 78,58% dei 10.229 posti disponibili, a fronte di un numero di domande d’ammissione alla prova selettiva di circa tre volte superiore al totale delle disponibilità, con un rapporto di 1 a 3 confermato anche nell’anno accademico 2000/2001. Il fenomeno, per quanto singolare, trova una logica spiegazione proprio nella concomitanza del concorso a cattedre. Molti degli aspiranti docenti, infatti, presentarono domanda tanto al concorso quanto alle prove selettive della Ssis per garantirsi maggiori possibilità di riuscita, ma il 21,42% degli ammessi alla Ssis, al momento di perfezionare l’iscrizione ai corsi, optò per la strada concorsuale, un po’ perché ritenuta una soluzione più immediata, un po’ perché condizionato dalla partecipazione ai diversi corsi di preparazione, già in fase avanzata al momento dell’emanazione dei bandi universitari.
Università e scuola
Un tema fondamentale nell’esperienza delle Ssis è rappresentato dal rapporto tra università e scuola e dal peso del contributo fornito al progetto formativo dall’esperienza del sistema scolastico direttamente acquisita sul campo. I primi contatti tra le due realtà hanno risentito inevitabilmente della frattura consolidatasi negli anni precedenti, anni che hanno visto da un lato l’università impegnata nell’applicazione teorica del concetto di scienza pura e, dall’altro lato la scuola, ingessata da programmi ministeriali standardizzati e sempre meno al passo coi tempi.
Precedenti e significativi esperimenti, portati avanti da alcune componenti accademiche, hanno comunque permesso di configurare un tipo di rapporto costruttivo e durevole, concretizzato attraverso specifiche convenzioni per l’attuazione del tirocinio e del laboratorio ed attraverso il ricorso ad insegnanti secondari in servizio, coinvolti direttamente nel tirocinio professionale e nel coordinamento di tale attività nell’intera organizzazione didattica.
Per quanto riguarda la stipula delle convenzioni tra università e scuola è sembrato opportuno tenere in debito conto le realtà e le esigenze locali e prevedere, per la prima volta, il coinvolgimento delle intere strutture in una prospettiva di collaborazione ad ampio respiro su temi delicati e di grande attualità, come ad esempio l’orientamento.
Relativamente ai supervisori, invece, è stato previsto un rapporto a tempo determinato, stipulato tra una struttura universitaria ed un singolo docente, da selezionare su criteri di esperienza e competenza e da impiegare contemporaneamente nell’università e, con un regime di semi-esonero, nella scuola. Tale soluzione è scaturita dalla consapevolezza che solo uno stretto contatto con la realtà scolastica in continua evoluzione può contribuire concretamente al conseguimento degli obiettivi fissati per gli specifici tirocini didattici professionali che, è opportuno ricordarlo, coincidono con la produzione di competenze legate all’esercizio effettivo dell’insegnamento, alla padronanza dei linguaggi e dei processi di comunicazione didattica e formativa, all’uso critico delle tecnologie didattiche, e allo sviluppo di comportamenti e di atteggiamenti costruttivi e di collaborazione nelle interazioni istituzionali e sociali richieste dall’attività professionale.
Tabella C. Biennio accademico 1999/2000 e 2000/2001

SEDI REGIONALI
ORGANICO SUPERVISORI
VALLE D’AOSTA

2

PIEMONTE

35

LIGURIA

21

LOMBARDIA (STATALE)

85

LOMBARDIA (CATTOLICA)

28

VENETO

70

TRENTINO

7

FRIULI

46

EMILIA ROMAGNA

74

TOSCANA

36

MARCHE

28

UMBRIA

31

LAZIO

41

ABRUZZO

40

MOLISE

16

CAMPANIA

Attivata nell’anno accademico 2000/01

PUGLIA

70

CALABRIA

22

BASILICATA

19

SICILIA

83

SARDEGNA

32

TOTALE

786

Tuttavia, se da un lato appaiono del tutto evidenti le motivazioni che hanno indotto a configurare un rapporto parziale ed a tempo determinato, dall’altro lato i vantaggi di tale rapporto rischiano di essere vanificati dalla mancanza di una completa integrazione. Una recente indagine, infatti, ha chiaramente evidenziato un certo malcontento del contingente scolastico, sentitosi idealmente relegato in attività marginali e con scarso peso progettuale e decisionale. Alla luce dell’esperienza maturata, una maggiore integrazione potrebbe essere ottenuta soltanto con una più chiara definizione istituzionale del ruolo di supervisore, con un maggior coinvolgimento nelle fasi di progettazione didattica, di valutazione e di partecipazione alle decisioni degli organi accademici, con riconoscimenti economici, con possibilità di progressione delle carriere e con la prospettiva di utilizzare il tirocinio come ambito privilegiato di ricerca didattica all’interno della scuola.(4)
In ogni caso, oggi le Ssis rappresentano lo strumento più concreto per l’auspicata e naturale integrazione tra due istituzioni, assolutamente complementari, la cui azione formativa ha con il tempo intrapreso strade del tutto autonome. Un segnale importante dell’inversione di tendenza è rappresentato dall’affidamento a docenti supervisori di insegnamenti curriculari.
L’organizzazione dei curricoli ed il problema delle didattiche disciplinari
Agli inizi dell’anno accademico 1998/99 le grandi aree su cui organizzare l’attività didattica delle Scuole di specializzazione, indicate negli allegati dei Criteri generali, acquisiscono definiti contenuti disciplinari, sulla base delle proposte curriculari avanzate da alcune Commissioni, le cui indicazioni risulteranno determinanti per il superamento di uno degli aspetti certamente più dibattuti: la configurazione disciplinare dei singoli indirizzi. Alcuni ambienti accademici, infatti, avevano sostenuto l’incompletezza dei piani di studio della Ssis, ritenuti eccessivamente sbilanciati verso le scienze dell’educazione e le didattiche disciplinari e carenti oltremodo di corsi disciplinari. A tale orientamento si era contrapposta la posizione di molti esperti del settore che, in più di un documento, avevano indicato nella trasversalità tra le scienze dell’educazione e le didattiche disciplinari la possibilità formativa più credibile per fornire gli strumenti metodologici necessari alla trasmissione dei saperi acquisiti nei corsi di laurea.
A puro titolo di esempio, i vantaggi formativi di quest’ultima posizione possono essere illustrati riprendendo un contributo di Ivo Mattozzi (5) che, nel rivendicare l’importanza delle didattiche disciplinari e, nel caso specifico, la dignità scientifica del campo di ricerca della didattica della storia, stigmatizza un antico retaggio della cultura universitaria, alla cui base perdura: a) la sopravvalutazione del sapere come capace di promuovere le competenze necessarie all’insegnamento, come se per adempiere alla mediazione didattica bastasse una maggiore quantità di sapere disciplinare e l’implicita ammissione della debolezza formativa dei corsi di laurea; b) una sottovalutazione della ricerca in didattica delle discipline, pensata come settore di schemi pragmatici che non hanno bisogno di costituzione di oggetti di ricerca e di procedure metodologiche.
Le Ssis offrono, continua Mattozzi, una grande opportunità di colmare la mancata conoscenza delle peculiarità e dei risultati dell’area di ricerca aperta dalle didattiche disciplinari e di diffondere, nel caso particolare, la consistenza metodologica della didattica della storia, rivendicandone la dignità epistemologica e la potenzialità di produzione di conoscenze. La didattica della storia, inoltre, conta organizzazioni che collaborano ai congressi internazionali di scienze storiche e può esibire produzioni di idee originali in tutti i campi dell’applicazione: riflessioni teoriche e metodologiche, prodotti scolastici innovativi, analisi dei rapporti tra giovani e storia, analisi dei modi di formazione professionale e modelli per la formazione degli insegnanti in servizio. In Italia l’area è ancora circoscritta ed esistono solo due insegnamenti stabili nelle università di Bologna e Bari, ma molte ricerche e riflessioni sono state portate avanti da insegnanti nell’esercizio della loro professione.
In un’ottica di definizione scientifica e professionalizzante, quindi, le Ssis, contemplando stabilmente l’insegnamento della didattica della storia nell’indirizzo di Scienze umane, possono ovviare alla frattura tra gli studi universitari e la loro scarsa utilizzazione professionale, offrendo le ragioni e gli strumenti per l’utilizzo delle opere storiografiche come riferimento per la costruzione di testi storico-didattici e di percorsi di apprendimento basati sulle fonti.
Il peso formativo che la didattica della storia può rivestire all’interno di un preciso progetto professionalizzante è solo un esempio significativo dei motivi formativi, riconducibili a tutte le didattiche disciplinari, che hanno determinato una precisa scelta di campo nella definizione dei piani di studio delle Ssis.
Tabella D. Sedi Ssis in cui è previsto l’insegnamento di didattica della storia

SEDI REGIONALI

SEDI REGIONALI

VALLE D’AOSTA

UMBRIA

x

PIEMONTE

x

LAZIO

LIGURIA

ABRUZZO

x

LOMBARDIA (STATALE)

x

MOLISE

LOMBARDIA (CATTOLICA)

CAMPANIA

x

VENETO

x

PUGLIA

x

TRENTINO

x

CALABRIA

x

FRIULI

x

BASILICATA

EMILIA ROMAGNA

SICILIA

x

TOSCANA

x

SARDEGNA

x

MARCHE

x

TOTALE

14

 Tabella e. Quadro riassuntivo di alcuni tra i principali insegnamenti previsti per l’indirizzo di scienze umane (classi di abilitazione A036 – A037)

AREA 2- DIDATTICHE DISCIPLINARI

Obiettivo degli insegnamenti storici ed epistemologici relativi alle discipline scolastiche è l’acquisizione di conoscenze riguardanti la natura e lo sviluppo delle singole materie caratterizzanti l’abilitazione all’insegnamento richiesta, i rapporti tra esse, la riflessione sulla natura dei problemi di insegnamento affrontati e sulle metodologie di ricerca didattica utilizzate.

Obiettivi degli insegnamenti di didattica disciplinare e dei relativi laboratori sono rispettivamente l’acquisizione e l’applicazione di competenze specifiche nella determinazione delle procedure e degli obiettivi didattici, nella scelta dei contenuti di insegnamento e nella loro efficace organizzazione curricolare, nella scelta e nella costruzione collaborativa di strategie di insegnamento e di valutazione formativa dei risultati di apprendimento raggiunti.

Didattica della filosofia

Metodologia e didattica della filosofia moderna

Didattica della storia

Metodologia e didattica della filosofia contemporanea

Didattica e metodologia dell’utilizzazione del manuale di filosofia

Metodologia e didattica dell’insegnamento filosofico per temi e problemi

Didattica e strumenti di ricerca della sociologia

Progettazione didattica dell’insegnamento della filosofia

Filosofia e Scienza: problemi didattici ed epistemologici

Questioni di metodo e didattica dell’antropologia

Fondamenti epistemologici e didattici delle scienze umane e sociali

Storia della storiografia

Laboratorio di didattica della storia

Storia e fondamenti dell’epistemologia

Laboratorio di storia della storiografia

Storia e fondamenti della filosofia

Metodologia e didattica della filosofia antica

Storia e fondamenti dell’etica

Metodologia e didattica della filosofia medievale

Metodologia e didattica della filosofia moderna

Il ruolo della CoDiSsis

Oltre all’organizzazione dei piani di studio, l’attivazione delle Scuole ha configurato una serie di altre problematiche organizzative e strutturali, a partire dalla necessaria collegialità delle attività dell’intero corpo docente, per passare al pieno coinvolgimento degli atenei interessati da attuare attraverso appositi organi, per finire alle percentuali di crediti da attribuire alle singole aree.
Molti di questi problemi sono stati affrontati ed in parte superati dai singoli regolamenti didattici delle scuole, i quali, nel tener conto delle esigenze di realtà circoscritte, si sono confrontati con il rischio di operare scelte slegate dall’orientamento nazionale, contravvenendo quindi a quel progetto unitario di formazione che è alla base della Scuola di specializzazione stessa. Per evitare tale rischio si è pervenuti alla costituzione della Conferenza nazionale dei direttori delle Ssis (CoDiSsis), nata con il compito di coordinare e dare un senso unitario a tutte le esperienze locali.
La Conferenza, con sede presso l’Università di appartenenza del Presidente in carica, svolge, attraverso assemblee periodiche:
– attività di coordinamento e di indirizzo tra le varie scuole;
– valuta i problemi ed a tal fine raccoglie dati sulle Ssis e sul mondo della scuola secondaria;
– è organo consultivo nei confronti delle autorità ed istituzioni dello Stato, e in particolare dei ministeri competenti e del Consiglio Universitario Nazionale (Cun), nei casi espressamente previsti dalla legge nonché ogni qual volta sia ritenuto da essi opportuno acquisirne il parere;
– intrattiene rapporti permanenti con le autorità scolastiche secondarie e con il relativo sistema formativo;
– formula valutazioni e proposte di provvedimenti, anche legislativi, diretti al migliore ordinamento didattico e scientifico delle Ssis ed al più idoneo funzionamento dei relativi servizi;
– mantiene rapporti con enti, associazioni ed organizzazioni nazionali, in particolare con la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (Crui), con la Conferenza Nazionale dei Centri Universitari di Ricerca Educativa e Didattica (Concured), ed internazionali, in particolare con enti ed organismi della Unione Europea.
Conclusioni e prospettive
Di certo è ancora molto presto per trarre conclusioni definitive e stabilire se la Ssis può rappresentare la vera svolta formativa e reclutativa del sistema scolastico italiano. è inevitabile tuttavia riconoscere i contenuti qualitativi del progetto, così com’è inevitabile confrontarsi con i molti temi ancora da definire. In ogni caso, una risposta concreta ad uno degli argomenti più discussi, quale la completa spendibilità dei titoli rilasciati, è già stata fornita nei giorni scorsi dall’attesa approvazione dell’art. 15 del “Collegato alla finanziaria 2000”, attraverso il quale viene riconosciuto il valore concorsuale alla prova finale del biennio e viene garantito agli specializzati l’automatico inserimento nelle graduatorie permanenti dei Provveditorati. Un passo in avanti decisivo, quindi, per la ristrutturazione di un meccanismo di reclutamento ormai del tutto inadeguato.
Al di là dei singoli aspetti, il primo anno di attività ha rappresentato un laboratorio di riforma universitaria, attraverso la verifica delle soluzioni ai problemi teorici adottate dalla CoDiSsis e dai vari regolamenti didattici. Un’esperienza formativa, insomma, con obiettivi precisi ed in anticipo sui tempi, da riversare con opportuni accorgimenti nella nuova formazione iniziale degli insegnanti, in un momento in cui, alla vigilia delle riforme universitaria e dei cicli scolastici, gli stessi ambienti accademici che sottolineano le carenze disciplinari dei curricoli della Ssis, propongono di ridurre ad un anno la fase professionalizzante e di prevedere nei curricoli dei futuri docenti una laurea ed una laurea specialistica, in netta contrapposizione a chi ritiene che la formazione di un buon insegnante non derivi dal potenziamento disciplinare quantitativo, ma dalla capacità di trasmissione garantita dalla conoscenza delle metodologie didattiche ed educative, la cui piena e progressiva acquisizione è garantita dalla formazione in servizio, sempre più indispensabile in un sistema in continua trasformazione.
Quest’ultimo orientamento, in particolare, è ulteriormente motivato in un documento (6) di Gaetano Bonetta,presidente della CoDiSsis, che, in sintonia con la posizione di maggioranza espressa dalla Conferenza dei direttori delle Ssis nelle assemblee del 16 giugno e del 19 luglio scorsi e con la proposta avanzata da Giunio Luzzatto e Clotilde Pontecorvo in seno alla Commissione mista Murst-Mpi, ritiene che qualunque tentativo di prefigurare i possibili percorsi per la formazione iniziale degli insegnanti debba avvenire con costante riferimento ai seguenti punti:
1. organizzazione dei percorsi formativi fondata su una qualificata curriculazione degli stessi, anche diversificati in ragione della natura delle discipline e della riforma dei cicli;
2. adeguamento al sistema formativo internazionale ed in particolare europeo, da cui emerge che il dibattito in corso evidenzia in tutti i paesi l’esigenza di ampliare le componenti professionalizzanti;
3. applicazione concreta delle nuove modalità didattiche sancite dal regolamento sull’autonomia universitaria che ridefinisce e rifonda i saperi formativi ed i loro percorsi di studio, valorizzando le specificità disciplinari in una strategia formativa unitaria, benché molteplice, e che introduce il laboratorio ed il tirocinio come fasi curriculari indispensabili;
4. . istituzionalizzazione e tutela di una specifica struttura universitaria, in cui la formazione iniziale degli insegnanti venga impartita secondo direttrici unitarie e professionalizzanti e non possa, in nessun caso, essere ridotta a semplice fase di tirocinio;
5. coinvolgimento organico del sistema scolastico, il cui contributo deve essere strutturalmente presente già nelle fasi di progettazione e gestione e non venir limitato al momento del tirocinio;
6. conseguimento, in tempi rapidi, di una situazione a regime nella quale la formazione iniziale non solo abbia carattere obbligatorio, come è già previsto, ma venga organicamente raccordata a meccanismi di reclutamento che privilegino la qualità ed escludano il costituirsi del precariato.
Facendo riferimento agli obiettivi fissati dai suddetti punti, Gaetano Bonetta (7) propone per i futuri insegnanti della scuola secondaria un percorso di formazione professionalizzante della durata di cinque anni, che alla laurea di tre anni fa seguire un biennio didattico di specializzazione abilitante alla professione, così come configurato nell’attuale Ssis. Tra la laurea ed il biennio, inoltre, potrebbe essere previsto, se ritenuto necessario dalla comunità scientifica dell’area disciplinare, un segmento variabile di potenziamento contenutistico della durata massima di un anno, orientato all’acquisizione di quei crediti, da 0 a 60, non acquisiti con la laurea e ritenuti indispensabili per talune abilitazioni, secondo lo schema 3 + x (1) + 2 (laurea + periodo di potenziamento disciplinare da 0 a 60 crediti + scuola di specializzazione).

Segreteria Conferenza Nazionale Direttori delle Ssis

NOTE:
1 – Cfr. G. Luzzatto, Insegnare a insegnare ( I nuovi corsi universitari per la formazione dei docenti), Roma, Carocci, 1999
2 – G.Bonetta, Storia della scuola e delle istituzioni educative (Scuola e processi formativi in Italia dal XVIII al XX secolo ), Firenze, Giunti, 1997, pp. 101-104.
3 – I dati delle tabelle sono indicati dalle singole sedi ed elaborati nel sito internet: http://www.unich.it/codissis
4 – M.Bandiera e S.Torrazza (a cura di), Il rapporto Università-Scuola, in “Università e Scuola”, IV, 1-2, 1999, pp. 10-14.
5 – I.Mattozzi (a cura di), Documento sui corsi di didattica della storia, ivi, pp. 20-23.
6 – Il documento, redatto su incarico dell’assemblea, riporta entrambi gli orientamenti emersi all’interno della CoDiSsis e contempla anche la posizione di minoranza, secondo cui si ritiene necessaria un’articolazione dei percorsi basata sullo schema 5+1 (laurea + laurea specialistica + specializzazione). Tale posizione, motivata in particolare da Giovanni Polara, è riconducibile a quella espressa da Nicola Tranfaglia nella proposta per un decreto ministeriale congiunto Mpi – Murst sulle Scuole di Specializzazione degli Insegnanti ed i corsi di Laurea per l’Insegnamento.
7 – G.Bonetta, I corsi di laurea per i maestri e professori rischiano di subire un intervento dannoso, in “Il Sole 24 ore Scuola”, 31 marzo-13 aprile 2000: Idem, Scuole di specializazione. Caro Vertecchi, cambiamole ma non buttiamole, in “Scuola e Formazione”, 31 maggio 2000.