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Lettera del presidente 1-2010

Care Socie e Cari Soci,

Ho ricevuto cc dal nostro socio, e mio caro amico, Paolo Macry, una lettera da lui inviata al SUM, l’Istituto di Scienze Umane diretto dal prof. Schiavone, riguardo la sorte del dottorato di Storia contemporanea del SUM stesso, che Paolo ha per alcuni anni brillantemente diretto.

Poiché la lettera tocca temi importanti, direi fondamentali, per la dignità e gli interessi della nostra disciplina, e il suo sviluppo, ho deciso, dopo aver avuto il suo consenso, di portarla alla vostra conoscenza, assieme a qualche mio commento.

Prima però eccovi il testo della lettera in questione, indirizzata ai membri della direzione del SUM, ai coordinatori dei suoi Dottorati, e naturalmente ai membri del collegio del dottorato di Storia contemporanea:

Cari amici, vi scrivo poche righe, a seguito del mio allontanamento de facto dal Sum. Lo faccio per rispetto della verità, per orgoglio e perché, incredibilmente, non ho neppure potuto esporre le mie ragioni alla riunione di Firenze dell’altroieri, non essendo stato invitato.
La cronaca è presto detta. L’anno scorso presi un sabbatico e, per correttezza, sebbene non richiesto dal Sum, pregai che fosse nominato un mio sostituto: comprensibilmente, tra i colleghi del Collegio. Il Collegio era formato da dodici studiosi italiani e stranieri di fama, i quali in questi tre cicli dottorali hanno lavorato sempre, molto e bene. Ma mi accorsi che la Direzione aveva maturato nei confronti del Collegio non dico gratitudine per il lavoro svolto e i risultati conseguiti, ma al contrario diffidenze e fastidio (cito il caso De Grazia, un modesto episodio di lesa maestà).
Fatto sta che la Direzione decise di affidare il cooordinamento a una collega esterna al Collegio e di interessi modernisti (in un Dottorato di Contemporanea). Una sorta di ingeneroso commissariamento, che non teneva nel minimo conto i meriti concreti e documentabili del Collegio e che ha provocato le dimissioni di Raffaele Romanelli e di Gabriella Gribaudi e la protesta di tutti gli altri membri.
In quella stessa occasione, peraltro, alla presenza di Roberto Esposito e di Marco Meriggi, Aldo Schiavone mi assicurò che all’indomani del sabbatico avrei ripreso a coordinare il Dottorato. “Non vedo chi potrebbe opporsi”, disse testualmente.
Com’è noto, la promessa è stata dimenticata e il sottoscritto viene oggi messo alla porta. L’amico Galli della Loggia costruirà un altro dottorato, che sarà certamente ottimo, ma sarà appunto un’altra cosa. Nel frattempo, l’esperienza del precedente dottorato –che aveva un preciso taglio storiografico- è stata cassata con una decisione che non esito a definire brutale, dal punto di vista umano, e deplorevole sul piano scientifico. Non una parola, infatti, è stata spesa nella valutazione di quanto era stato fatto, in oltre sei anni, dal Collegio che ho avuto l’onore di mettere assieme e di dirigere. Nessuno ha sentito la necessità di capire come il Collegio avesse lavorato, quali programmi avessimo realizzato, quanti libri e articoli i nostri dottori abbiano pubblicato, quanti di loro abbiano trovato sbocchi professionali presso università italiane e europee. Con ogni evidenza, per la Direzione del Sum non è questo il punto. Un’ultima informazione devo darvi, a smentita di voci circolate a Firenze. Come si evince dai verbali, né il sottoscritto, né il Collegio hanno mai rifiutato l’ingresso nel Dottorato al prof. Francesco Barbagallo. Il quale, a sua volta, non ha mai manifestato a me o ad altri colleghi del Collegio questo desiderio.
Vi auguro buon lavoro.
Cordiali saluti
Paolo M.

Tralascio ogni commento sulla luce che la lettera getta sullo stile e la cifra umana dei suoi vari protagonisti, per fare subito un primo appunto, come persona che avete scelto a presiedere la nostra Società e quindi a tutelare gli interessi della contemporaneistica italiana, così al Cun, come alla Commissione Prin o alla Treccani.

Come Presidente della Sissco, trovo inaccettabile che sia stato scelto sia pur provvisoriamente a dirigere un dottorato, e per di più di eccellenza, della nostra disciplina, un collega modernista. Come tutti sanno, sono da sempre favorevole al dialogo con gli specialisti di ogni settore e interesse, e ritengo non giusto, ma doveroso, che un dottorato di contemporanea abbia nel suo collegio—a seconda delle sue linee di ricerca—modernisti, storici dell’economia o del diritto, scienziati sociali ecc. Ma fare di uno di questi specialisti il coordinatore del dottorato, con assoluto disprezzo per il principio di competenza—l’unica ancora di salvezza nel mondo degli studi—che ciò implica, mette una cattiva luce i dirigenti del SUM e la loro idea di “eccellenza”. Mi chiedo anche come il collega modernista abbia potuto accettare questo invito, lasciando intendere che sarebbe in grado di coordinare una didattica, e dirigere tesi, sui grandi eventi del XX secolo.
Ritengo perciò che tutti noi, in difesa dell’onore e dell’interesse della disciplina, dovremmo far sapere a Schiavone e al SUM che ciò è inaccettabile.

La seconda questione riguarda la serietà della procedura che ha condotto alla chiusura d’ufficio di un dottorato senza alcuna valutazione e discussione della sua attività, senza cioè alcuna considerazione scientifica, in base a mere logiche burocratico-formali. Ora è possibile che tali logiche richiedessero delle modifiche, forse anche radicali, ma tra studiosi esse andrebbero sempre e comunque ispirate a criteri e bilanci scientifici, anche perché solo un serio bilancio scientifico può condurre alla nascita di qualcosa di buono e di nuovo. Di ciò, malgrado il gran parlare che si fa di valutazione, non vi è stato pare traccia, e anche questo la dice lunga su quale sia l’idea di “eccellenza” che prevale tra i dirigenti del SUM.

L’ultima questione che vorrei sollevare, come Andrea Graziosi, studioso come voi preoccupato delle sorti della nostra Università, è quella della luce, questa davvero sinistra, che la vicenda getta su cos’è e come è stata intesa la “eccellenza” nel nostro paese: mal finanziata e poco sostenuta, certo (pensiamo a Francia e Germania), ma anche gestita male, in maniera che si potrebbe definire autocelebratoria e dilettantesca, come dimostra la “questione de Grazia” (si tratta della Prof. Victoria de Grazia, della Columbia University, che alcuni di voi conoscono). Vicky infatti protestò, col sostegno del collegio, perché, a causa della pigrizia degli organi direttivi del SUM, i dottorandi del dottorato di “eccellenza” non avevano nemmeno accesso —nel XXI secolo!—alle risorse elettroniche, peraltro disponibili in gran numero a tutti gli iscritti della vicina Federico II. E la protesta fu appunto considerata un atto di lesa maestà.
Si è insomma ritenuto possibile formare dottorati, e un istituto per gestirli, nel campo delle scienze umane, e autodefinire il tutto “di eccellenza”, senza nemmeno preoccuparsi della questione delle biblioteche e dell’accesso alle grandi banche dati internazionali. Come se dei genetisti o dei biochimici volessero definire la loro istituzione di eccellenza senza nemmeno avere un laboratorio. La cosa è del resto in linea con l’idea che un modernista possa dirigere dei contemporaneisti, e quindi che uno specialista che so, di Cina nel XX secolo, possa coordinare il lavoro di ricerca di studiosi del XVII secolo.

Ritengo perciò che la vicenda narrata da Paolo Macry ci debba spingere a riflettere su quali sono le prospettive della vera “eccellenza” (un termine che non amo, ma al quale ormai non si può sfuggire) nel nostro paese, specie nel campo delle scienze umane. Quali risorse, quali strumenti e quale rigore occorrerebbe mobilitare per restituire alle nostre università almeno delle isole di sicura qualità internazionale, rafforzando quelle già esistenti, aiutandole a crescere, moltiplicandone contatti e prospettive.

Spero che su queste questioni si possa aprire il dibattito

Molto cordialmente, andrea graziosi