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Levis Sullam-Battini

Simon Levis Sullam, L’archivio antiebraico. Il linguaggio dell’antisemitismo moderno, Roma-Bari, Laterza, XVII-101 pp., € 14,00

«Archivio» è lemma foucaultiano, ed il riferimento metodologico all’archeologia dei saperi e dei linguaggi viene rivendicato in esordio dall’a., per definire l’oggetto del suo saggio. L’antisemitismo viene considerato come pratica discorsiva, o «insieme di relazioni […] che il discorso deve effettuare per poter parlare di questi e di quegli oggetti, per poterli trattare, nominare, analizzare» (p. 11). Storicamente, la pratica discorsiva divenne ideologia di partito e di Stato, trasformandosi in programma politico e infine in azione. A Foucault viene affiancato Derrida, con la sua tesi sull’invenzione di un evento all’interno di una serie di regole riconosciute, applicata qui da Levis Sullam come «invenzione dell’altro», dell’ebreo. Infine si fa appello alle teorie sulle funzioni performative del linguaggio elaborate da Austin e Skinner. Si potrebbe discutere se tra Skinner e Austin, da un lato, e Foucault e Derrida dall’altro, vi sia congruenza e se entrambi gli approcci metodologici possano essere contemporaneamente utilizzati per comprendere i processi di «verbalizzazione di pregiudizi» (p. 89); si preferisce invece ribadire che «una metodologia storica è essenzialmente una discussione sul modo corretto di interpretare le fonti pervenuteci» (A. Momigliano, Le regole del gioco nello studio della storia antica, in Sesto contributo alla storia degli studi classici, Roma, 1980). La scelta del metodo è giustificata solo se si è capaci di dimostrare che essa insegna a porre domande specifiche alle fonti. Scelta che comunque non determina la risposta di quelle fonti, in questo caso che le opere di Voltaire, Marx, Toussenel, Marr, Drumont… sino ai Protocolli possano essere amalgamate in un paradigma unitario. La specificità di ogni testo viene così perduta, ed anche il modello interpretativo appare poco convincente. La posizione di Voltaire e degli scrittori dell’Illuminismo rappresenterebbe l’intero repertorio della polemica tradizionale antigiudaica. Ma già prima del 1789-91 la polemica contro l’emancipazione non fu opera di cultori di Voltaire, ma essenzialmente di esponenti cattolici, per non parlare della controffensiva in età napoleonica. Questi autori rappresentano le radici cristiane dell’antisemitismo politico cattolico e protestante (Miccoli). Anche l’anticapitalismo antiebraico del socialista fourierista Toussenel ne fu largamente dipendente: stupisce perciò di vedere accostato al suo nome quello di Marx (la lettura del testo marxiano appare inoltre poco convincente). L’analisi delle fonti del periodo che va dalla crisi di fine secolo ai fascismi europei è più solida, ma sarebbe stato giusto ricordare la preistoria francese dei Protocolli, che rinvia ancora al nesso tra Drumont, Joly e Toussenel. L’a. conclude con il terzo capitolo, sobrio e condivisibile, sul ritorno degli stereotipi della tradizione antigiudaica nei linguaggi dell’antisionismo, sin dalla fondazione dello Stato di Israele, nel 1948, e in anni più recenti persino nelle legittime critiche alla politica dei governi di quel paese. Israele rimane l’unico Stato di cui si contesta il diritto di esistenza.
Michele Battini

Risposta a Michele Battini

Spiace che Michele Battini abbia voluto dedicare le principali critiche alle supposte lacune del mio lavoro richiamando nozioni elementari di storia dell’antisemitismo (la polemica antigiudaica precedente l’emancipazione) o la principale storiografia sull’argomento (Miccoli), che naturalmente sono riferimenti ben presenti nella mia ricostruzione. O anche le fonti francesi dei Protocolli, che ho ripetutamente richiamato: dalla classica ricostruzione di N. Cohn, fino all’interpretazione più recente di C. Ginzburg, dedicata appunto alla “preistoria francese” del noto falso (o ai lavori di Z. Sternhell). Battini sostiene che avrei indicato Voltaire come rappresentante dell’antigiudaismo: in realtà ciò che credo di aver scritto con chiarezza è che autori come l’illuminista francese o anche come Marx (e più tardi, in contesti diversi, Toussenel o Drumont), riprendono – secolarizzandoli – “alcuni luoghi della tradizione antigiudaica” (pp. 23, 27 e 34). Il recensore, inoltre, ritiene che la mia interpretazione amalgami in un paradigma unitario i diversi testi che nel tempo hanno costituito l’”archivio antiebraico”: ma nella mia descrizione del funzionamento dell’”archivio” si insiste ripetutamente sulla “trasformazione” e la “ricontestualizzazione” di questi testi e, più precisamente, dei luoghi retorici e ideologici che essi hanno generato (pp. 12, 15, 17, 19, ecc.). Vi sono quindi delle indubbie continuità delle tradizioni antiebraiche ma, nella mia interpretazione, nessuna fissità o unitarietà di filoni ideologici diversi. Anche la mia lettura del testo marxiano sulla questione ebraica pare al recensore “poco convincente”, eppure essa si basa largamente sul ricorso a interpretazioni consolidate come quelle di P. C. Bori e di E. Traverso. Il richiamo, infine, di Battini alla lezione di Momigliano (che indirettamente rinvia alla polemica dell’antichista con H. White di circa trent’anni fa) appartiene a una consolidata reazione prescrittiva sul metodo storico, che resiste convenzionalmente alle suggestioni e al contributo di altre discipline – qui filosofiche e teorico-letterarie -, che possono invece arricchire in modo sostanziale il lavoro dello storico. Le “regole del gioco” di Battini non sono forse, quindi, le più aggiornate.
Simon Levis Sullam

Replica a Simon Levis Sullam

Battini “resiste” effettivamente, ma per convinzione, non per convenzione, ad un modo di leggere i testi disinvolto (persino quello di Traverso, a cui l’autore dice di richiamarsi) e ad un conformismo verso categorie certo di moda, ma in questo caso fuorvianti, come ad esempio “archivio”.
Tutto si può aggiornare,ovviamente, ma ci sono regole del gioco -critica della fonte e onere della prova delle affermazioni che si fanno – che spero non possano essere aggiornate sulla scorta di un tardivoo foucaultismo o neogentilianesimo. Qualunque documento ha sempre un rapporto molto problematico con la realtà, ma la realtà nondimeno esiste, al di là dei testi e degli archivi.
Michele Battini