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Monica Caiazzo

Scuola di Dottorato, Università di Milano
La Francia di Vichy

In nome di Petain e di una Francia autentica e fedele alla sua storia, in nome della collaborazione per non rinnovarsi e non perdere il proprio ruolo di potenza internazionale o in nome dell’antifascismo, che salvaguardi i diritti fondamentali garantiti dalla lunga tradizione francese?

Nel giugno 1940 la Francia vive uno dei momenti più drammatici della sua storia: il crollo di un sistema che si era espresso e sviluppato nella più lunga delle repubbliche ed una nuova collocazione nella compagine internazionale, accanto alle dittature fasciste. Nel mese di luglio il Parlamento francese, liberamente eletto durante il regime repubblicano, vota i pieni poteri al Maresciallo. Anche se non è, come spesso erroneamente si sostiene, il Parlamento del Fronte popolare (poiché amputato della sua componente comunista), è significativo che l’organo di maggior rappresentanza nazionale si muova in direzione di una scelta così radicale.

Ma è solo quando il governo Pétain mostrerà i veri tratti e le linee direttive su cui intende costruire il nuovo Stato e la nuova “nazione”, che è possibile rilevare differenti scelte di campo espresse dalle varie componenti sociali e politiche francesi, dopo aver subito l’umiliazione dell’armistizio e dell’occupazione.

Una cospicua fetta della classe politica francese sceglierà di appoggiare il Maresciallo, accogliendo come unica e opportuna soluzione alle problematiche di natura politica nazionale e internazionale, quella di concentrare risorse e strumenti per ridisegnare una nuova Francia, che sappia mostrare la propria autenticità identitaria indipendentemente dal nuovo alleato, e che quindi, stigmatizzando con vigore il passato regime e tutti coloro che potevano essere indicati come responsabili di un depauperamento morale e civile nazionale, si mostri capace di imporre un nuovo sistema politico e culturale, fondato sugli essenziali valori di Patria, Famiglia, Lavoro e Dio.

Mentre i vichysti Pétainisti accolgono le necessità della collaborazione con la Germania, ma sostengono l’affermazione dell’individualità storica e politica della nazione francese ed espongono un progetto che si faccia veicolo della memoria nazionale finalizzato a costruire un futuro autenticamente francese, una folta schiera di collaborazionisti reclama una vera e propria alleanza con la Germania, accogliendo pienamente non solo le scelte di politica internazionale, ma anche i valori professati dalla propaganda hitleriana. La denuncia dei notabili del clericalismo e della società borghese cui Vichy non sembra affatto volersi distaccare, pare essere il fondamento di quell’idea d’Europa (in cui Francia e Germania dovranno essere protagoniste), di cui si fanno portavoci personalità di rilievo, soprattutto provenienti dalla cosiddetta ultradroite, come Drieu La Rochelle, ma provenienti in parte anche dal mondo sindacalista o comunista (la cosiddetta ultra gauche) come René Belin o Georges Dumoulin.

Dagli studi che sto svolgendo sulla propaganda (soggetto della tesi che sto elaborando nel mio dottorato di ricerca) ho potuto effettivamente rilevare le diverse e divergenti concezioni politiche, economiche e culturali, che ambivano a conquistare il consenso del cittadino attorno a quelli che erano considerati i prioritari valori su cui ergere il nuovo edificio statale.

Dallo spoglio delle fonti archivistiche, ed in particolare dai fondi F 60, F 41 e 2AG (Secrétariat Général du Gouvernement et Service du Premier Ministre, Ministre de l’Information et Cabinet du Chef de l’Etat) è stato particolarmente interessante rilevare come le scelte, il linguaggio e la simbologia varino in relazione alle personalità che si fanno operatori di propaganda.

La consultazione e lo studio di riviste di diverse origini politiche (come Idées e France per l’area pétainista e La Revue du Monde e La Revue Universelle per l’area collaborazionista) mi è parso inoltre particolarmente suggestivo, perché capace di offrire una complessiva panoramica delle distinte e talvolta divergenti concezioni politiche, economiche e culturali, che ambivano a conquistare il consenso del cittadino attorno a quelli che erano considerati i prioritari valori su cui ergere il nuovo edificio statale.  L’interpretazione del ruolo delle istituzioni propagandistiche, così come l’utilizzo di fonti e di risorse, da quelle umane a quelle materiali, non corrispondeva infatti alle stesse intenzioni in uomini come Déat, Marion, Drieu La Rochelle piuttosto che nei progetti di Pétain, Alibert, Vallat. Una concezione della propaganda come macchina di inquadramento e di accelerato indottrinamento era un progetto diverso rispetto alla volontà di inculcare, passo per passo, la necessità di riscoprire antichi valori per ridisegnare una Francia tradizionale, ma rinnovata nel suo contesto interno e nel suo posto nella compagine internazionale.

E proprio attraverso il diverso ruolo e spazio attribuito alla propaganda ed ai contenuti su cui essa si è maggiormente soffermata, ciò che emerge da un’attenta analisi delle citate fonti a stampa e archivistiche, è come, muovendo da differenti modelli di stato e nazioni, si arrivi a determinare una propria collocazione, ritenuta più opportuna per il decantato “bene collettivo”, nel contesto internazionale. Cogliere un proprio e significativo spazio individuale e soggettivo od individuare invece una netta alleanza con l’occupante, accettando quindi i conseguenti condizionamenti nelle scelte di campo internazionali e nella politica sociale e culturale interna al paese?

Merita naturalmente rilievo un’altra importante scelta di campo che caratterizza una fetta importante della nazione francese: la Resistenza. La resistenza francese ha una storia che non può essere compresa a fondo se non collocata nella complessa realtà del post armistizio ed è soprattutto un movimento che vive difficoltà interne dovute all’estrema eterogeneità delle sue componenti: da De Gaulle, ad un generico antifascismo senza particolari matrici ideologiche, al PCF. Dal capitano dell’esercito Frenay, al democristiano Georges Bidault, ai comunisti Le Brun e Villon, tutta una fitta rete di movimenti si svilupperà nelle due zone. Dall’inizio del 1942 Jean Moulin verrà inviato da De Gaulle allo scopo di superare il pericolo della dispersione e frantumazione.

Ciò che unisce, malgrado le differenti posizioni relative alla politica internazionale e all’ideologia economica e politica, è un fervente antifascismo in nome di quella salvaguardia dei diritti fondamentali che ha caratterizzato la Francia in tutti i precedenti decenni, una critica verso le più degradanti scelte del governo vichysta: dallo statuto antiebraico, alla Carta del Lavoro, all’alleanza con la Germania, all’accantonamento del Parlamento e di un’effettiva rappresentanza della popolazione.

Non meno importante per comprendere il districarsi degli avvenimenti e dei protagonisti di tali avvenimenti in questi quattro complicati anni è la categoria definita dei vichysto-résistants, che comprende un significativo numero di francesi che hanno creduto nel valore e nelle possibilità di realizzazione del dettato della Rivoluzione nazionale, ma che hanno in un secondo tempo (soprattutto dopo lo sbarco in Algeria e in Marocco) aderito al movimento resistenziale. Comprendiamo in questa categoria membri dell’esercito pre-1940, funzionari come Giraud, e la personalità francese più nota tra essi: François Mitterand, che militò nella Légion des Combattents e che divenne nel 1942 capo della section presse du Commissariat au reclassement des prisonniers de guerre. Solo agli inizi del 1943 le derive vichyste lo indussero a entrare in contatto con i movimenti resistenziali. E così come lui, numerosi intellettuali, tra cui Angelo Tasca, ritennero possibile accettare in un primo tempo la realizzazione di quella Rivoluzione nazionale, pur respingendo sempre nel loro percorso l’antisemitismo e le più pericolose compromissioni ideologiche, ma colsero presto le contraddizioni e le accentuazioni del regime in senso autoritario e marcatamente antidemocratico, modificando le proprie scelte.

Dai miei studi, sinora effettuati, che si sono rilevati una solida guida in direzione di una concreta valutazione delle differenze in merito ai contenuti ed alle scelte di campo, ho potuto inoltre rilevare questa particolare connotazione della periodizzazione del regime: se le posizioni di campo assunte dalle varie personalità politiche non percorrono un cammino fluido e senza attrito nei primi due anni del regime, mostrando come appena rilevato ripensamenti e modificazioni nell’orientamento del proprio pensiero e della propria azione, soprattutto dal novembre 1943 le scelte diverranno più nette e ben definite, provocando una sostanziale omogeneizzazione dei primi due gruppi: vichysti e collaborazionisti e consolidando a arricchendo invece le fila di un più ferreo e verace movimento resistenziale.