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Paesaggio della Belle Epoque. Il catalogo delle bellezze naturali d’Italia

Luigi Piccioni

Luigi Piccioni

I primi movimenti per la protezione della natura in Europa, sviluppatisi a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, condividevano un’impostazione culturale di fondo dominata dall’uso di categorie estetiche. All’interno del movimento le preoccupazioni di carattere più schiettamente naturalistico erano minoritarie e anch’esse attraversate da una forte sensibilità per l’aspetto visivo. Sostanzialmente marginali erano infine, o comunque tangenziali al movimento, erano le preoccupazioni per la salute e l’inquinamento.
Tra le categorie maggiormente utilizzate sia in Italia che negli altri paesi europei quelle a base estetico-visuale erano di conseguenza di gran lunga le più importanti ed erano sottese da una forte contiguità con l’universo della cultura e della sensibilità per gli oggetti d’arte e per i monumenti. Categorie ancor oggi largamente in uso come quella di “paesaggio”, categorie importate e mai entrate stabilmente nell’uso italiano come quelle di “monumento naturale” o “sito pittoresco” e categorie di grande successo al tempo e poi cadute in disgrazia come quella di “bellezze naturali” contribuivano a forgiare un universo semantico protezionista in cui era spesso difficile individuare un confine netto con la protezione dei monumenti, degli edifici e delle opere d’arte. All’interno dell’associazionismo europeo, peraltro, godevano di incontestato prestigio gli Heimatschutzbund tedesco, austriaco e svizzero, sodalizi sottesi da una forte carica nostalgica e localistica per i quali la difesa del paesaggio e dei monumenti naturali, quella delle testimonianze artistico-architettoniche e monumentali del passato e quella delle tradizioni popolari si fondevano indissolubilmente.
Nel momento in cui, negli ultimi anni del secolo, il crescente peso politico di questi movimenti e il diffondersi nell’opinione pubblica di una maggiore sensibilità per la tutela dei monumenti e della natura imposero l’adozione di precisi provvedimenti di legge, si pose in diversi paesi il problema di procedere a una definizione più precisa dei beni da tutelare e di realizzare degli inventari dei beni di maggior pregio. Alcuni dei provvedimenti legislativi più importanti, come ad esempio la pionieristica legge francese del 1906, basavano anzi l’azione tutela sull’iscrizione di siti, vedute e monumenti naturali di particolare valore in appositi elenchi depositati presso le autorità competenti.
Fu così che dal 1905 circa in diversi paesi d’Europa iniziò a diffondersi anche per gli oggetti naturali l’uso di redigere cataloghi e inventari allo stesso modo in cui si erano iniziati a redarre cataloghi di opere d’arte a partire dalla Rivoluzione Francese. Dopo alcuni tentativi a fini puramente conoscitivi tentati dal Touring Club Italiano a inizio secolo e mai portati a conclusione, nel 1913 si avviò un esperimento condotto dal Ministero della Pubblica Istruzione basato sui criteri elaborati dall’ufficio statale prussiano per la tutela dei monumenti naturali. Fallito questo tentativo per il sopravvenire della guerra, l’sperimento fu ripreso a partire dal 1923 dopo una campagna giornalistica condotta dal dirigente ministeriale Luigi Parpagliolo. Alla redazione del Catalogo delle bellezze naturali d’Italia la Direzione Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione chiamò a collaborare due soggetti: i suoi organi periferici, cioè le soprintendenze, e il volontariato, cioè associazioni protezionistiche come il Club Alpino Italiano, il Touring Club Italiano, la Federazione Pro Montibus, le Pro Loco afferenti all’Enit e altri sodalizi minori. Ciascuna sezione locale di queste associazioni doveva curare la distribuzione la redazione e la raccolta di un questionario che ricalcava da presso quello realizzato in Prussia qualche anno prima.
Tra il 1923 e il 1926 ritornarono compilati circa cinquemila questionari il cui contenuto fu trascritto e organizzato per province, ma di questo materiale non venne poi fatto alcun uso, né come inventario di sostegno conoscitivo alla legge del 1923 né tantomeno come pubblicazione ufficiale del Ministero, al contrario di quanto si era auspicato agli inizi.
La ricerca costituisce un tentativo da un lato di ricostruire la storia del Catalogo e la sua ispirazione originaria e dall’altro di comprendere, sulla base dello spoglio e dell’ordinamento tematico delle segnalazioni giunte al Ministero (e oggi conservate presso l’Archivio Centrale dello Stato), il significato concreto attribuito dai protezionisti dei primi anni ’20 del Novecento a categorie fortemente evocative ma anche piuttosto vaghe come quelle di “bellezze naturali”, “monumenti naturali”, “siti pittoreschi”, eccetera.