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Ustaša: nazionalismo e violenza per una Croazia fascista

E. Gobetti (Università della Repubblica di San Marino)

La violenza non è un aspetto dell’ideologia o della pratica politica del movimento nazionalista croato Ustaša tra le due guerre: ne è l’elemento caratterizzante, che lo differenzia dai partiti nazionalisti concorrenti. La scelta della clandestinità, i tentativi insurrezionali e il terrorismo pongono il movimento di Pavelić, a partire dal 1929, al di fuori del gioco politico jugoslavo, costringendolo ad agire in uno scenario europeo fortemente caratterizzato da regimi autoritari e fascisti. L’alleanza con l’Italia di Mussolini, da cui riceve aiuti logistici e finanziamenti, non ha, almeno inizialmente, connotazioni ideologiche, se non proprio il culto della violenza come pratica politica. Nel 1941 questa alleanza, sorta in maniera casuale e contingente, porterà gli Ustaša al potere nello Stato Indipendente Croato. Nei quattro anni successivi la violenza che aveva caratterizzato il movimento diventerà violenza di Stato, dispiegandosi in tutta la sua ferocia e catastrofica assurdità. Il tentativo di sterminio dei serbi di Bosnia e Croazia e lo scoppio della rivolta partigiana, decreteranno il fallimento di una scelta politica non praticabile.