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Storia della pubblicità italiana

Vanni Codeluppi
Roma, Carocci, 182 pp., € 20,00

Anno di pubblicazione: 2013

La storia della pubblicità in Italia è un campo di ricerca ancora largamente inesplorato
dagli storici. A lungo oggetto dell’attenzione di esperti e professionisti del settore (da
Gian Paolo Ceserani, al compianto Gian Luigi Falabrino), con contributi utili dal punto
di vista informativo e analitico, ma limitati sul piano della profondità propriamente
storiografica, solo nell’ultimo decennio la pubblicità ha visto la comparsa di un paio di
volumi e saggi, a opera di sociologi e studiosi del design (Adam Arvidsson, Simona De
Iulio e Carlo Vinti), che hanno cominciato meritoriamente a dissodare il terreno in forma
più sofisticata mediante un uso pionieristico di fonti a stampa e inedite.
Questi lavori stranamente mancano nella pur efficace bibliografia di questo volume,
nel quale un sociologo, noto per le sue ricerche su consumi e pubblicità, fornisce un primo
contributo di sintesi divulgativa. In meno di duecento pagine svelte e coloratissime il
volume attraversa un secolo e mezzo di storia delle pratiche di persuasione commerciale.
Esattamente centocinquant’anni fa infatti nasceva a Milano la prima agenzia concessionaria,
la A. Manzoni, creata nel 1863 dal farmacista bresciano Attilio Manzoni. Nata per
gestire gli spazi sui giornali per promuovere i prodotti dello stesso farmacista, la Manzoni
estese ben presto i suoi affari alla pubblicità anche di altre aziende, farmaceutiche e non,
e, ricorda l’a., «ancora oggi opera con successo sul mercato» (p. 19).
In tredici serrati capitoletti la carrellata di Codeluppi si snoda dalla lunga stagione
della cartellonistica, al controverso rapporto pubblicità-fascismo, all’arrivo nel secondo
dopoguerra delle agenzie britanniche e statunitensi, al boom, alla crisi degli anni ’70, sino
ai nostri giorni. In mezzo ci sono gli slogan memorabili degli anni ’20 e ’30 («Chi beve
birra, campa cent’anni», «Un Ramazzotti fa sempre bene»), quelli brillanti dei ’50 e ’60 di
Marcello Marchesi per Carosello («Non è vero che tutto fa brodo»), e la «Milano da bere»
di Marco Mignani. Particolarmente interessante è proprio l’analisi di Carosello, che C.
considera un fenomeno nato già un po’ vecchio, che, a suo dire, a lungo andare ha finito
per ritardare gli impulsi più veloci, dinamici e innovativi del settore, anche se riconosce
che in quel laboratorio maturarono definitivamente stelle di prima grandezza della battuta
e della sloganistica. Così come interessanti sono le annotazioni sulla fase più recente,
esaminata sullo sfondo di una concentrazione del settore a livello internazionale che fa
sì che la maggioranza delle attività di comunicazione commerciale e marketing a livello
mondiale siano dall’estate 2013 concentrate in tre grandi holding, due anglosassoni e una
anglo-americana-francese.
Il libro costituisce dunque un’utile introduzione al tema, che è auspicabile solleciti
adesso anche l’iniziativa più specifica degli storici.

Ferdinando Fasce