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Anna Maria Voci – Il Reich di Bismarck. Storia e storiografia – 2009

Anna Maria Voci
Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 321 pp., Euro 45,00

Anno di pubblicazione: 2009

Sette saggi, in parte editi, più un’introduzione, per presentare una serie di vicende e di percorsi culturali e politici all’interno del mondo germanico fra il 1848 e il periodo immediatamente precedente la Grande guerra. Si tratta di uno sforzo che offre suggestioni e contributi analitici secondo me rilevanti sia sul terreno del peculiare liberalismo tedesco sia, e soprattutto, su quello della storia della storiografia. Va segnalato il capitolo sulla figura dell’imperatore «mancato» Federico III, assieme alla presentazione delle posizioni di Nietzsche e della «sensazione di naufragio spirituale» (p. 143), peraltro condivisa anche da altri grandi esponenti della cultura tedesca, come Mommsen, di fronte alla scomparsa del Kronprinz appena asceso al trono. Uno dei saggi è riservato ad Harry Bresslau, il «monumentista», e principale studioso della storia dei Monumenta, storico di qualità, noto ed integrato, anche se «la sua origine ebraica gli impedì di ottenere l’ordinariato a Berlino» (p. 270). Ma Voci non privilegia affatto l’aspetto tecnico, erudito, istituzionale della cultura storica tedesca, e non a caso molti grandi nomi compaiono solo di scorcio nel volume. Divisa fra un approccio in qualche misura «generazionale» – gli storici del 1848-71, gli studiosi attivi nei decenni del consolidamento del Reich, e quelli che si trovarono a confrontarsi direttamente con il conflitto mondiale (p. 295) – ed uno tipologico – molto efficace il recupero di un testo del 1841 di Ludwig Häusser, che distingueva gli studiosi di storia in storici da salotto, storici da studio, e storici della vita (pp. 2-3) -, Voci punta comunque nettamente sugli storici della vita, e sulla generazione toccata dal ’48, dagli esili, o dalla partecipazione all’Assemblea nazionale di Francoforte, mentre sottolinea, d’altra parte, che fu la «separazione tra storicismo e liberalismo a far sì che l’élite intellettuale del paese approdasse a convinzioni per le quali la libertà finiva per esser sempre più posposta ai valori considerati superiori dell’unità e della potenza» (p. 23). In questa prospettiva il personaggio al quale l’a. presta tutto sommato maggior attenzione è Karl Hillebrand (1829-1884), letterato, storico, saggista di livello, e di primissimo piano ai suoi tempi, figura rimasta in qualche misura al margine dei processi di professionalizzazione della ricerca allora in atto, ma comunque insegnante universitario in Francia, dov’era emigrato, e trasferitosi poi in Italia dopo la guerra franco-prussiana. Non ci si può rivolgere a scrittori come Hillebrand alla ricerca di un pensiero storico organico; ma di spunti e intuizioni senz’altro sì, privilegiando una dimensione storico-culturale, più che teorico-sistematica, che consente anche di stabilire nessi – nel saggio di Voci è il caso di Meinecke – attestati anche da testimonianze dirette. Libro ricco e suggestivo, insomma, con molte indicazioni per ulteriori sviluppi della ricerca.

Mauro Moretti