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Carlo Tullio-Altan – Gli italiani in Europa. Profilo storico comparato delle identità nazionali europee – 1999

Carlo Tullio-Altan
il Mulino, Bologna

Anno di pubblicazione: 1999

Scritto da un antropologo, questo libro è nato con il proposito di tracciare un quadro comparativo delle identità nazionali europee. L’a., che si sofferma in particolare sulla vicenda dell’identità italiana, prova a ricomporre questo complesso mosaico mettendo insieme cinque elementi.
Il primo è costituito dall’”epos”, cioè dalla trasfigurazione di taluni episodi della storia di un popolo che sono esibiti come “vanto collettivo” (p. 61). Il secondo dall’”ethos”, vale a dire da quel fenomeno per cui le norme di convivenza e i comportamenti sono percepiti come “valori” (p. 61). Il terzo, quindi, dal “logos”, con cui l’a. non intende semplicemente la lingua come strumento di comunicazione, ma la lingua “vissuta come poesia” (p. 61). Il quarto, poi, dal “genos”, concepito come adattamento in forma valoriale dei rapporti genetici di parentela. E il quinto, infine, dal “topos” o “oikos”, la “domesticità utilizzabile” di Ernesto De Martino (p. 62), ossia da quella dimensione che definisce il rapporto fra l’uomo e il paesaggio.
Scelte queste chiavi di lettura, Tullio-Altan chiama la storia in soccorso dell’antropologia e qui incominciano i problemi, poiché la sua ricostruzione è piena di giudizi strampalati, luoghi comuni ed errori. Ad esempio, raccontando l’ascesa di Hitler al potere, afferma che la società tedesca dell’epoca fu oggetto di un vero e proprio Blitzkrieg, di una “guerra lampo politica” (p. 112) da parte del Führer, che la privò di colpo di quelle istituzioni e di quelle persone che funzionano come anticorpi in difesa delle democrazie. Ma è vero esattamente il contrario. Hitler fu un prodotto di quella società, un figlio della Germania del tempo.
Ugualmente, è certo che Tullio-Altan ripeta uno dei più frusti luoghi comuni quando scrive che mentre in Europa la religione riformata aveva contribuito “alla formazione di una coscienza collettiva aperta ad un futuro di rinnovamento e di libertà nella solidarietà” (p. 165), in Italia la chiesa della Controriforma aveva lavorato alacremente per impedire che ciò avvenisse. E come si spiega allora che un processo del genere avvenga nella cattolicissima Francia?
E ancora, la “conventio ad excludendum” non è stata per niente un patto scellerato per tenere “fuori il Pci dalla porta del governo” (p. 203), ma una fotografia del sistema politico italiano in cui i comunisti, a causa dei loro legami internazionali, non riuscivano a contrarre alleanze politiche che consentissero loro di vincere le elezioni e di candidarsi alla guida del paese.
Infine, come si fa a scrivere che la “ritirata” (p. 73) di Dunkerque completa il curriculum epico-militare britannico se Dunkerque fu una “fuga”? E se è indiscutibile che essa salvò la vita a 194.620 soldati inglesi, è altrettanto sicuro che Churchill commentò l’episodio alla Camera dei Comuni dicendo testualmente: “Le guerre non si vincono con le evacuazioni”.

Loreto Di Nucci