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Comprare per credere. La pubblicità in Italia dalla Belle Époque a oggi

Ferdinando Fasce, Elisabetta Bini, Bianca Gaudenzi
Roma, Carocci, 177 pp., € 17,00

Anno di pubblicazione: 2016

La storia della pubblicità in Italia è stata assai poco frequentata, nonostante il suo
impatto su tanti aspetti della vita culturale e politica. Il lavoro colma dunque una lacuna,
rispetto alle poche opere precedenti di taglio storico (fra cui spicca quella di Adam Arvidsson)
e alle molte opere di sociologi e studiosi di marketing attualmente in circolazione.
Il volume è diviso in quattro grandi capitoli cronologici: Fasce si occupa della fase
pionieristica fino alla Grande guerra, e poi ancora dell’ultimo capitolo, dagli anni ’70 a
oggi; Gaudenzi del periodo fascista; Bini del secondo dopoguerra fino agli anni ’60. Il
libro appare però coeso e ben strutturato.
Dalla sua lettura emergono aspetti d’interesse anche per uno storico generalista, che
mostrano alcune peculiarità del caso italiano, in genere arretrato se posto a confronto con
le evoluzioni degli altri paesi occidentali. Ad esempio, in Italia giocano a lungo un ruolo
di primo piano gli uffici interni delle grandi aziende (Olivetti, Pirelli) rispetto alle agenzie
pubblicitarie vere e proprie, sviluppatesi solo a partire dagli anni del miracolo economico,
se non oltre. Questi uffici avevano rapporti diretti con i concessionari di pubblicità, altro
punto delicato nella crescita del sistema, e restarono per molto tempo attori di primo
piano nello sviluppo delle tecniche di comunicazione.
Un punto centrale è il rapporto stampa-pubblicità, con la seconda che fin dagli esordi
diventa un pilastro economico a sostegno dell’attività di giornali e riviste (Fasce ricorda
come questa consapevolezza fosse ben chiara a Luigi Albertini nel 1906); un rapporto
complicato e inestricabile, appesantito dalla presenza di editori non puri, che espose la
stampa a continui e pesanti condizionamenti, non sempre emersi. Altro aspetto caratteristico
è il lungo confronto fra la tradizione dei pubblicitari «artisti», eredi della grande
tradizione cartellonistica italiana, e quelli «tecnici» che – più vicini all’idea di una divisione
pragmatica del lavoro all’interno delle agenzie, sull’esempio internazionale – avranno
alla fine il sopravvento.
Pure specifico della situazione italiana è il peso che la televisione riuscì ad acquisire
in breve tempo nel sistema dei media, dagli anni della sua liberalizzazione, non esistendo
altro paese occidentale in cui una quota così preminente fosse assorbita da un unico mezzo.
E sulla scia del successo televisivo, negli anni ’90 comparve anche in Italia il marketing
politico, erede diretto degli strumenti di comunicazione e persuasione sviluppati in
ambito commerciale, di cui fu principale artefice il nuovo partito sceso in campo, Forza
Italia.
Nel complesso, il libro appare uno strumento agile e ben scritto, che sintetizza conoscenze
acquisite in vari campi unendole a pezzi di ricerca originale (in particolare tratti da
archivi di agenzie pubblicitarie e d’impresa o giornali di settore come «L’impresa moderna
» e «L’ufficio moderno»). Il tutto corredato da una ricca bibliografia. A riprova di come
si può fare bene una divulgazione di alto livello.

Emanuela Scarpellini