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David Vincent – Leggere e scrivere nell’Europa contemporanea – 2006

David Vincent
Bologna, il Mulino, 274 pp., euro 21,00 (ed. or. Cambridge, 2000)

Anno di pubblicazione: 2006

Dagli studi degli anni ’60 di Stone e Cipolla, attraverso le ampie ricostruzioni di Harvey Graff e Rabb Houston la storia dell’alfabetizzazione ha compiuto grandi progressi, riuscendo a trarre beneficio, forse meglio di altri campi storiografici, da un crescente uso dell’interdisciplinarietà e della comparazione tra situazioni differenti. Il libro di David Vincent si colloca su questa linea offrendo una sintesi di lungo periodo ? tra XVIII e XX secolo ? dello sviluppo dell’alfabetizzazione di massa in Europa. Vincent, professore di Storia sociale alla Open University in Inghilterra, è storico dell’educazione e autore di precedenti studi sulla alfabetizzazione e sulla cultura popolare inglese. Partendo da osservazioni ai tradizionali sistemi quantitativi in genere utilizzati per determinare lo sviluppo delle capacità di leggere e scrivere, Vincent si sforza di affiancare alle tradizionali statistiche proposte dai governi altri indicatori attendibili. Significative a questo riguardo sono le considerazioni sullo sviluppo delle corrispondenze private (l’Unione postale universale del 1874, con il conseguente trionfo della comunicazione scritta, segna per Vincent «il passaggio all’età adulta dell’alfabetismo»). Si traccia così uno spaccato vivace e denso delle condizioni, dei tempi e delle differenti velocità che nelle varie aree europee hanno determinato la crescita di una delle principali competenze dell’uomo contemporaneo, in cui si intrecciano proficuamente considerazioni che dalle discussioni settecentesche sul tema dell’istruzione si allargano alle variabili di carattere economico, sociale, religioso e culturale. Vincent mette inoltre efficacemente a frutto i migliori risultati della storia del libro e della lettura, soffermandosi anche sugli effetti e gli esiti della diffusione dei prodotti a stampa di vasta diffusione. Ne risulta un quadro assai problematico e spesso sorprendente in cui le intenzioni dei promotori dell’istruzione non sempre hanno conseguito i risultati politici e sociali che si attendevano. Gli europei impararono a leggere essenzialmente più perché iniziarono ad avvertirne il bisogno che in conseguenza delle azioni di governanti e classi dirigenti perché ciò avvenisse. Anche gli investimenti in questa direzione furono inferiori alle necessità. L’insistenza di molti studi attorno all’intervento degli Stati nel settore dell’istruzione è poi mitigato da considerazioni circa l’apporto dei religiosi allo sviluppo dell’istruzione. «In termini di denaro versato e tempo dedicato ? nota Vincent ? c’erano cento ecclesiastici per ogni proprietario di fabbrica attivamente impegnato nella creazione di una popolazione europea alfabetizzata » (p. 147). L’Italia è prevalentemente ricordata per i livelli negativi e per i ritardi complessivi rispetto ai paesi del Centro e Nord Europa. Molto limitato del resto è l’uso di bibliografia italiana, ristretta, oltre al classico Cipolla, ai libri di Daniele Marchesini (Il bisogno di scrivere) e di Marzio Barbagli (Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia).

Mario Infelise