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Egemonia vulnerabile. La Germania e la sindrome Bismarck

Gian Enrico Rusconi
Bologna, il Mulino, 171 pp., € 14,00

Anno di pubblicazione: 2016

In questo volume Rusconi sviluppa un ragionamento sul ruolo internazionale della
Germania di Otto von Bismarck, sull’apparato concettuale di riferimento e sull’opportunità
di una sua attualizzazione in una prospettiva interessata a collegare criticamente
il presente al passato. La tesi centrale del libro è che oggi come al tempo del cancelliere
di ferro la Germania nel suo rapporto con l’Europa si trovi in una condizione definibile
nei termini di una «potenza di centro» che esercita un’«egemonia vulnerabile», laddove
l’aggettivo vulnerabile sta a indicare una condizione di fragilità intrinseca.
Attraverso un’acuta operazione di pulizia concettuale, i termini di «potenza di centro
» e di «egemonia» da concetti empirici vengono elevati a strumenti di analisi funzionali
all’identificazione delle analogie e delle differenze tra la Germania di Bismarck e la Germania
di Angela Merkel. In tal modo, l’a. evita di cadere nella trappola dell’anacronismo.
Sia la condizione dominante sia la vulnerabilità della Germania odierna non risulterebbero
dalle politiche messe in campo dai suoi governi, né tantomeno da una presunta logica
di germanizzazione dell’Europa che la stessa classe politica tedesca dichiara di rifiutare
pregiudizialmente, quanto da una condizione strutturale dell’assetto europeo post-guerra
fredda, che vede la Germania nuovamente al centro del continente e costretta, suo malgrado,
a esercitare un ruolo di paese guida dell’Unione.
Il volume contiene, inoltre, una serie di spunti interessanti per riflettere su temi che
vanno al di là del problema della concettualizzazione del cosiddetto «eccezionalismo»
tedesco. Mi limito a indicarne due. Il primo riguarda l’attualità della tesi di Pierangelo
Schiera formulata già nei primi anni ’70, per cui la Germania rappresenta un osservatorio
privilegiato, forse il laboratorio per eccellenza, per studiare la parabola dello Stato
nazionale sia dal punto di vista tematico sia dal punto di vista metodologico. Dal punto
di vista tematico perché – come spiegava Schiera – era in Prussia che lo Stato moderno
si era manifestato in maniera più evidente e perché – come sottolinea oggi Rusconi – la
Germania europea continua a non aver risolto il problema dei rapporti con i paesi vicini,
essendo troppo grande per non influenzarli e troppo piccola per guidarli. Dal punto di
vista metodologico perché, se negli anni ’70 era la cultura tedesca della storia costituzionale,
oggi è il dibattito storiografico e politologico tedesco che offre forse gli strumenti
più utili per riflettere sulla resilienza dello Stato nella cornice dell’integrazione europea. Il
secondo spunto riguarda invece il tema della leadership, che forse nel volume avrebbe meritato
un maggiore approfondimento in una prospettiva diacronica e comparata: ovvero
la questione se i tre cancellieri ritratti nella copertina – Bismarck, Kohl, Merkel – abbiano
effettivamente dominato con la propria volontà, le proprie idee, i propri obiettivi l’epoca
in cui sono vissuti e hanno agito, o in quale misura, invece, queste figure siano state dei
meri esecutori dello spirito del proprio tempo

Gabriele D’Ottavio