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Ernesto Rossi, – Nove anni sono molti?. Lettere dal carcere 1930-1939 – 2001

Ernesto Rossi,
a cura di Mimmo Franzinelli, Torino, Bollati Boringhieri, pp. 1030, euro 46,48

Anno di pubblicazione: 2001

Questa voluminosa raccolta di lettere che Rossi scrisse negli anni di prigionia prosegue su scala molto più ampia il lavoro intrapreso da Manlio Magini nel 1968 con la pubblicazione dell’Elogio della galera. Questo nuovo volume contiene circa il quaranta per cento dell’intero corpo delle lettere dal carcere, accompagnato da uno scritto di Vittorio Foa, in prigione con Rossi dal 1935, da un lungo saggio del curatore, dalle notazioni della polizia scientifica sulle tecniche censorie degli anni trenta e infine dalla descrizione del fondo Rossi ad opera degli addetti agli Archivi Storici delle Comunità Europee, dove tale fondo è conservato. La cura delle note e la bella ?mostra? fotografica contenuta all’interno contribuiscono a rendere interessante la lettura.
Seguendo le indicazioni di Franzinelli, il carteggio di Rossi può essere affrontato come un lungo viaggio nella struttura della lingua carceraria. La forma della corrispondenza familiare (Rossi scrive prevalentemente alla madre e alla moglie) è costantemente forzata dalla presenza di un doppio destinatario: quello, desiderato, delle figure familiari e quello imposto dall’apparato di controllo e di censura del regime. La consapevolezza di essere sorvegliato spiega la vigilanza dello scrittore sulle proprie emozioni, impulsi e, ovviamente, giudizi politici. Allo stesso tempo, però, attraverso allusioni storiche, elusioni di vario genere, codici segreti di comunicazione il potere censorio del fascismo viene sfidato sull’unico terreno possibile per un carcerato, quello linguistico.
Il carteggio di Rossi funziona anche come ?quaderno?, unico luogo concesso per annotare le proprie riflessioni. A questo proposito, due sembrano le direttrici più interessanti: da un lato, il riferimento ideale al mondo culturale dell’Ottocento ed in particolare, ma non soltanto, al Risorgimento italiano; dall’altro, il tema della riforma del capitalismo. Dalle riflessioni di Rossi emerge ancora una volta l’immagine dell’antifascista militante che spende le proprie energie fisiche e intellettuali nella lotta senza quartiere per la democrazia. Sullo sfondo, però, a margine di una lettura più severa, prende corpo l’immagine di un intellettuale in guerra con il proprio tempo. Nel secolo in cui le rivoluzioni diventano dittature, le dittature parlano il linguaggio delle masse e le istituzioni pubbliche e l’economia si compenetrano con vari esiti, Rossi ridisegna pazientemente il profilo delle grandi dicotomie ottocentesche: la distinzione tra sfera pubblica e sfera privata, lo stato liberale opposto alla dittatura, la separazione tra il campo del progresso e il campo della reazione. Una terribile fatica, come quelle di Sisifo, intervallata da alcune sintomatiche imprecazioni del tipo di quella contro Roosevelt: ?il più sconclusionato pasticcione che sia mai stato presidente degli S.U.?

Luca Polese Remaggi