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Fabio Lavista – La stagione della programmazione. Grandi imprese e Stato dal dopoguerra agli anni Settanta – 2010

Fabio Lavista
Bologna, il Mulino, 470 pp., € 33,00

Anno di pubblicazione: 2010

La parola «programmazione» è scomparsa dal lessico politico economico e dal discorso pubblico. Il libro di Lavista è uno dei primi sistematici tentativi di affrontarla come oggetto storiografico ma ha anche il merito di stimolare un dibattito su quanto il fallimento della stagione della programmazione abbia condizionato gli sviluppi del nostro modello di organizzazione capitalistica. Una delle tesi principali del volume è, infatti, che la crisi della grande impresa è dipesa in larga misura dalla carenza di programmazione settoriale da parte dello Stato.Con una prefazione di Luciano Cafagna, il volume, pubblicato nella «Collana di studi e ricerche dell’Associazione Archivio storico Olivetti», affronta le fasi della politica della programmazione, dalla genesi nell’immediato dopoguerra, quando pianificare è una urgenza per intercettare i flussi di capitale americano, al tentativo più alto, quello degli anni del centro-sinistra, quando i politici più consapevoli dei limiti della trasformazione economica indotta dal «miracolo economico» si pongono l’obiettivo di superare gli squilibri del paese, fino ad arrivare alla deriva degli anni ’70 quando la pianificazione viene messa in soffitta dalle esigenze di salvare dal naufragio interi pezzi dell’apparato economico sia pubblico che privato, al di fuori di coerenti piani settoriali. Uno dei meriti di Lavista è quello di intrecciare queste vicende a quelle che si sviluppano nell’ambito delle grandi imprese. La pianificazione aziendale, alle prese con l’emergere dei mercati di massa e con la diffusione di nuovi strumenti informatici, si afferma come nuova funzione organizzativa per offrire strumenti al top management, analogamente agli sviluppi affermatisi negli Stati Uniti nei decenni precedenti. Emergono vari uffici studi – Lavista prende in considerazione le esperienze Olivetti e Eni – dove lavorano economisti, sociologi, intellettuali spesso in contatto con gli ambienti Iri e dei ministeri economici, una circolazione di idee e di esperienze che trasferisce nell’ambito pubblico quello che si realizza nella grande impresa privata.È ovviamente anche una storia di uomini, come Pasquale Saraceno, forse la figura più significativa evocata nelle pagine del libro, come Franco Momigliano, pioniere dell’Ufficio studi Olivetti o Giorgio Fuà allora all’Ufficio studi dell’Eni. Come riconosce l’a., però, la programmazione, soprattutto in ambito pubblico, manca di realizzazioni concrete. Le ragioni sono diverse e nel libro vengono esplicitate. Qui ci preme sottolinearne due. La prima è quella dell’inefficacia degli strumenti operativi – su tutti il Cipe -; la seconda riguarda i cambiamenti del quadro macroeconomico successivi ai primi anni ’70, caratterizzati dal passaggio da un paradigma di mercato altamente instabile, ove non ha più senso programmare nel medio-lungo periodo. I ritardi nel costruire strumenti adeguati, da addebitare alle classi dirigenti, si sovrappongono a questi cambiamenti esterni, sino a portare all’abbandono di ogni tentativo di programmazione e di perdere l’occasione di riformare e ammodernare la struttura economica del paese.

Roberto Tolaini