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Giovanni Genovesi (a cura di) – Donne e formazione nell’Italia unita: allieve, maestre e pedagogiste – 2003

Giovanni Genovesi (a cura di)
Milano, Franco Angeli, pp. 142, euro 12,50

Anno di pubblicazione: 2003

Il volume rappresenta il contributo conclusivo di un lavoro di ricerca più vasto, raccolto in una specifica collana, dedicato al rapporto tra ?Educazione e politica nell’Italia dell’Ottocento?. Questa annotazione iniziale non è marginale: la scelta di consacrare l’ultimo volume della serie all’indagine dei modelli formativi femminili e dell’universo culturale delle maestre italiane all’indomani dell’Unità sembra infatti dettata più da un bisogno di esaustività che non da un effettivo interesse per la storia delle donne. O meglio, nell’economia complessiva dell’opera, tutta volta a far emergere la correlazione tra teorie pedagogiche e istanze politiche, la questione della formazione della donna è assunta essenzialmente quale ?esempio vistoso della soggezione dell’educazione alla politica? (p. 12).
Nel volume sono riprodotti integralmente tre brevi scritti di altrettante insegnanti magistrali dell’epoca, ciascuno preceduto da un saggio introduttivo: del curatore ai Ricordi (1879) di Vittoria Wolf Bassi; di Elena Marescotti all’Educazione moderna (1871) di Caterina Pigorini; di Luciana Bellatalla alla Pedagogista tra consapevolezza e ideologia (1895) di Bice Miraglia. Selezionati non per il loro valore scientifico ma, al contrario, perché espressioni di un sapere educativo diffuso, calibrato sul ?senso comune? e solidale con le aspettative delle classi egemoni, i tre contributi danno luogo ad analisi che si compiacciono di metterne in evidenza la ?miseria? culturale (Genovesi, p. 15), ossia la sterile ripetizione di tutti i topoi ottocenteschi sulla donna madre ed educatrice naturale, e, quindi, il ?pernicioso paradosso?, dal punto di vista educativo, di una formazione femminile caldeggiata e al tempo stesso svuotata di ogni autonomia, perché tesa a inibire nelle donne ?qualsivoglia velleità intellettuale da spendere fuori di casa? (Marescotti, p. 48). Più in generale, per Bellatalla testi come quelli qui esaminati permettono di rilevare la mancata diffusione in Italia di un’autentica pedagogia scientifica positivista, esistita solo negli scritti dei teorici a fronte di una pratica formativa quotidiana ?ridotta a buon senso, a morale, a precettistica? (p. 97).
Stupisce, nella lettura dell’intero volume, la sottovalutazione di quella che invece avrebbe dovuto essere la questione nodale di una simile indagine: l’esser quei testi scritti da donne. La specificità del vissuto femminile è infatti annegata in un discorso volutamente condotto in termini universali e neutri, tant’è vero che l’apporto della storiografia di genere è pressoché nullo. Il risultato è quella esaustiva ma forse banale elencazione di figure retoriche sulla femminilità a cui si è fatto cenno e, a tratti, addirittura la derisione delle contraddizioni in cui si dibattevano le maestre e pedagoghe italiane di fine Ottocento. Contraddizioni che avrebbero meritato maggiore attenzione, non essendo tanto o soltanto il prodotto di una povertà culturale, quanto piuttosto il segno di un’inedita e certo faticosa ricerca di una nuova identità femminile resa possibile proprio dall’impegno intellettuale e professionale in campo educativo.

Catia Papa