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Giovanni Miccoli – I dilemmi e i silenzi di Pio XII – 2000

Giovanni Miccoli
Rizzoli, Milano

Anno di pubblicazione: 2000

La ricerca si sviluppa su quattro piani: storia della chiesa cattolica, della seconda guerra mondiale, della Germania, e della Shoah. Stante la chiusura dell’Archivio Segreto Vaticano, il libro si basa soprattutto sulla vastissima letteratura esistente su un argomento ancora molto controverso, oltre che su quel tanto di fonti primarie finora edite, a partire dagli Acta Apostolicae Sedis. L’opera ha così il valore di una messa a punto analitica e ragionata dei problemi suscitati e delle ipotesi avanzate per spiegare l’atteggiamento del pontefice di fronte al nazismo e alla guerra.
Miccoli si muove sul “crinale sottile e precario” che consente di rimanere in equilibrio fra la “scientificità” avalutativa e “onesta” e la necessità del giudizio. Sottolinea la “complessa e tortuosa storia delle scelte individuali” (p. 191) e parla di un “impasto che si è cercato di scomporre nei suoi elementi principali” (p. 479).
Una recensione comparsa sulla “Frankfurter Allgemeine Zeitung” a cura di Wolfgang Schieder (ringrazio Lutz Klinkhammer per avermela segnalata) ha per titolo “Tacere e quietare”, formula manzoniana che ben sintetizza l’atteggiamento di papa Pacelli; Miccoli collaziona le prove che mostrano come il Vaticano ne sapesse più che a sufficienza sugli orrori commessi dal regime nazista. Il problema storico diventa perciò il seguente: perché allora il papa tacque e sopì? Merito di Miccoli è di essere entrato nella logica e nella cultura profonda del soggetto agente, senza tuttavia usarla come giustificazione. Gli a fondo retrospettivi investono la lunga polemica contro la civiltà moderna e il plurisecolare antigiudaismo cristiano (non solo cattolico), ben diverso certo dal razzismo pagano, ma suo terreno di cultura fra le grandi masse.
Miccoli si pone il problema della natura dei principi universali ai quali il papa faceva appello nei suoi documenti ufficiali. Se si trattava di un universalismo assoluto, esso, non denunciando fatti e persone specifici, scivolava nel generico fino alla retorica. Se si trattava di un universalismo religioso, esso finiva in una attenzione specifica volta ai cattolici (e per gli ebrei convertiti) e ancor più speciale alla città di Roma. La sensazione prevalente è che il papa si preoccupasse più della chiesa come istituzione che delle coscienze, e non poteva non derivarne il ruolo privilegiato assegnato alla azione diplomatica. Chi soprattutto ne scapitava erano proprio le coscienze cattoliche più sensibili.
Miccoli attribuisce questo atteggiamento anche alla scarsa percezione che il papa ebbe della novità della seconda guerra mondiale rispetto alla prima, quasi un’anacronistica eco di Benedetto XIV e della “inutile strage”. E ricorda anche l’illusione di “battezzare il nazionalsocialismo”, al quale potere così attribuire una funzione nella crociata anticomunista, oltre che nella lotta contro le moderne libertà. È solo nell’aprile 1943 che Pio XII prende qualche distanza dalla parte ormai chiaramente perdente e nelle dichiarazioni della Sante Sede comincia ad apparire quel tono difensivo che alimenterà molte successive polemiche.

Claudio Pavone