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Giovanni Orsina – L’alternativa liberale. Malagodi e l’opposizione al centrosinistra – 2010

Giovanni Orsina
Venezia, Marsilio, 222 pp., Euro 22,00

Anno di pubblicazione: 2010

Il libro di Giovanni Orsina, che è stato all’origine di qualche polemica giornalistica per la mancata pubblicazione da parte del Mulino – l’editore al quale venne originariamente proposto -, è un’appassionata rivendicazione dell’ipotesi strategica del segretario del Pli, dall’ascesa alla guida del Partito nel 1954 fino all’avvento del centrosinistra.Ad avviso di Orsina, Giovanni Malagodi si pose in continuità con l’eredità dell’Italia liberale, rispetto alla quale la dittatura fascista fu una parentesi, anche se non riguardo un agire politico che avrebbe poi connotato i partiti di massa. Malagodi privilegiò l’alleanza con la Dc aspirando a trasmetterle lo spirito liberale, pregiudiziale per una piena occidentalizzazione della democrazia italiana assediata a destra dagli eredi del neofascismo (di qui la strenua contrarietà all’ipotesi della «grande destra» col Msi) e a sinistra dai partiti marxisti (e ne conseguiva l’inflessibile opposizione al centrosinistra). Il precedente che Orsina individua per il figlio di Olindo Malagodi è Giolitti, ma il leader liberale neppure attese una possibile revisione socialista: era nella sua visione impossibile dati i prerequisiti mentali e culturali del Psi, forza ritenuta nefasta per le prospettive della democrazia italiana.Il centrismo era quindi per Malagodi la sola politica possibile per l’Italia della «grande trasformazione» e anche in questa visione strategica il dirigente di banca prestato alla politica si connetteva a tutta una tradizione che aveva segnato il primo sessantennio unitario. Del resto egli, ridotte fino a spegnersi le potenzialità strategiche e programmatiche del centrismo, contrastò Fanfani e Moro e finì col dovere contare, all’interno del Partito di maggioranza relativa, sui dorotei (Segni) e sulle componenti zigzaganti nella geografia di partito (Andreotti), convergenti coi dorotei nel fine strategico di eternare l’egemonia democristiana.Il libro, che si fregia di una solida ricerca archivistica e di un’aggiornata bibliografia, scorge in Ugo La Malfa, nell’area liberaldemocratica, l’antagonista di Malagodi. Entrambi «figli» di Raffaele Mattioli, i due non si piacquero mai, fin dai primi incontri nel 1934. L’«antipatia» nasceva anche da un profondo contrasto culturale. All’interno di un condiviso paradigma occidentale, si divisero nell’analisi dell’evoluzione delle democrazie pluraliste e nel riferimento a differenti filoni del liberalismo. L’interlocutore di Malagodi, anche sul piano dell’azione pedagogica, fu la Dc come nucleo portante di una politica moderata democratica. La Malfa, invece, guardò sempre alla sinistra, a quella democristiana e a quella di derivazione marxista. Le vie perseguite per l’integrazione democratica erano quindi assai distanti, e ciò spiega la loro sostanziale incomunicabilità. Il convergere alla fine degli anni ’60 intorno al fallimento del centrosinistra sorgeva pertanto da opposte visioni, sicché negli anni successivi il siciliano fautore di una democrazia inclusiva sostenne la revisione di Berlinguer e contrastò Craxi al quale incominciarono a guardare con fiducia Malagodi e i liberali.

Paolo Soddu