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Giulio Andreotti e l’Europa

Francesco Lefebvre D’Ovidio, Luigi Micheletta (a cura di)
Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 340 pp., € 38,00

Anno di pubblicazione: 2017

Il volume è frutto di un progetto di ricerca promosso dal Comitato dell’archivio
Giulio Andreotti depositato presso l’Istituto Luigi Sturzo. I ricercatori, ben dodici, si sono
avvalsi in particolare (ma non solo) del fondo Europa che raccoglie i materiali conservati
dallo statista romano come ministro degli Esteri e come presidente del Consiglio dei
ministri. Dossier, appunti e carteggi di Andreotti si sono trasformati così, da «strumento
pratico per il suo lavoro», in elementi utili a «individuare […] le linee di pensiero che
hanno guidato la sua attività di governo» (p. XIII).
Molti i temi trattati: dalla dimensione europea della Dc (D’Angelo), alle relazioni
con diversi paesi e regioni – la Repubblica federale tedesca (Scarano), l’Austria (Monzali),
la Spagna (Micheletta), il Medio Oriente (Riccardi) – fino a saggi specifici sulla libera
circolazione delle persone (Imperato) o l’azione in favore dell’integrazione europea (Villani).
La parte finale si concentra su alcune questioni cruciali, quali l’adesione dell’Italia
allo Sme (Preda) e poi al Trattato di Maastricht (Lefebvre D’Ovidio e Morelli) e l’incerto
cammino verso la creazione di una politica comune di sicurezza europea (Bucarelli e
Gualdesi).
Nonostante la varietà dei temi, emergono alcune linee di fondo: l’europeismo è un
dato cruciale della cultura politica democristiana, e in particolare per gli italiani e lo stesso
Andreotti. Con la nascita della Comunità economica si crea una cornice di riferimento
anche per la soluzione di antiche contese, come quella con l’Austria per l’Alto Adige. Ma
l’europeismo è sempre affiancato dall’atlantismo. Adesione alla Cee e ingresso nella Nato
sino agli anni ’80 viaggiano insieme come mostra il caso spagnolo, e l’Italia, pur non rinunciando
mai a un’autonoma politica verso il mondo arabo, sostiene sì forme integrate
di difesa e di politiche di sicurezza ma sempre nella cornice Nato e non in (potenziale)
autonomia da essa, come vagheggiato a tratti da Francia e Germania.
Altrettanto costante la preoccupazione per un’Europa a due velocità, con l’Italia
nell’area debole. Per questo, passaggi cruciali, come l’adesione allo Sme e poi al Trattato
di Maastricht, nascono da scelte politiche più generali, nonostante la consapevolezza di
alcune fragilità strutturali che spiegano i dubbi iniziali. Mantenere l’Italia dentro il gruppo
resta però la visione di fondo, rafforzata poi dalla necessità di costruire una cornice
istituzionale sovranazionale in cui «ingabbiare» la locomotiva tedesca dopo l’unificazione
post Ottantanove. All’interno di tale quadro la speranza di costruire un’area più uniforme,
anche dal punto di vista economico, appare la scommessa italiana, l’«atto di fiducia
in noi stessi», per citare lo stesso Andreotti in occasione della votazione sullo Sme, che
spinge ad accettare il vincolo esterno dei Trattati come elemento di modernizzazione in
senso liberale e liberista di un’economia italiana considerata troppo poco «privata», difesa
trasversalmente dalle principali forze politiche.

Tommaso Baris