Anno di pubblicazione: 2005
?Questo non è un libro di storia? ma ?un piccolo quaderno di suggerimenti? (p. 5) esordisce Guido Crainz, quasi a schermirsi, da non storico di questioni adriatiche, avviandosi a discutere i drammi della Venezia Giulia, terra su cui abbondano le storie ma non sempre la qualità delle stesse. Le questioni dell’alterità e dell’Europa centrale sono, idealmente, le due direttrici in cui si muove l’autore, che affrontando foibe ed esodo tocca un ambito tematico delicato, in Italia come in qualsiasi altro dei paesi di questa enorme ?terra di mezzo? stretta tra Russia e Germania (e, aggiungerei io, Turchia). L’?evasione’ dalla storia gli permette di attingere solo ad alcuni storici ?contemporanei’ (come Cattaruzza, Pupo, Valdevit e Verginella e i recentemente scomparsi Ara e Ferenc) ma soprattutto di rivolgersi alle molto argute ed efficaci narrazioni letterarie (da Quarantotti Gambini, Tomizza, Bettiza, Magris, fino a Nelida Milani) o storiche effettuate da un medievista e modernista come Ernesto Sestan e da un giornalista politico come Angelo Vivante. Ne risulta un quadro assai convincente. Crainz avrebbe forse potuto puntare lo sguardo anche sull’integrazione culturale, sulle identificazioni fluttuanti e, entro certi limiti, scelte nel Novecento come nella società asburgica. L’Austria che era anche esempio di convivenza, certo conflittuale, ma assai di rado violenta. Indugiare su ?l’alimentarsi a vicenda di due nazionalismi? (p. 27) e sullo scontro nelle città e per le città ai tempi dell’Austria significa forzare quel periodo a un ruolo unicamente preparatorio del tragico futuro. È del resto lo stesso Crainz a citare Sestan quando osserva che ?la vittoria italiana, l’occupazione italiana della regione sconvolgeva tutte le premesse, anche le premesse etniche? (p. 28). Per il periodo tra le due guerre, pur soffermandosi sulla violenza dello squadrismo e sulla negazione dell’identità ?altra’, non evidenzia adeguatamente (ma è lacuna della stessa storiografia) il problema della scomparsa dalle città (e nelle città) delle popolazioni slovena e croata, in particolare delle loro élites. A partire da questa scomparsa (e poi dall’abbandono anche dalle campagne) acquistano maggior senso la deformazione e l’inversione dei sentimenti a Trieste (Silvio Benco, p. 61), il rovesciamento (?di gerarchie sociali? e ?del corso della storia?, Valdevit, p. 60), le città espugnate, la forza del progetto jugoslavo di sovvertimento sociale e nazionale e la sua capacità di trovare proseliti tra i profondamente cattolici sloveni e croati litoranei ai quali era stata impedita una crescita sociale in quanto tali. Crainz chiarisce i termini del progetto di espulsione e di espropriazione della terra (che però in Jugoslavia sembra sia stato formalizzato solo per i tedeschi), discute le uccisioni, l’esodo e soprattutto la difficile ricomposizione del dramma subito a Trieste, nel Goriziano e in Istria. Non è chiaro perché questa breve ma preziosa sintesi sia intitolata solo all’Istria, ma si sa che una delle prime difficoltà di terre come questa sta nell’individuazione e denominazione da parte di storiografie (e geografie) parallele e indipendenti.