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La realtà e lo sguardo. Storia del fotogiornalismo in Italia

Uliano Lucas, Tatiana Agliani
Torino, Einaudi, 569 pp., 2015, € 42,00

Anno di pubblicazione: 2015

L’importante volume di Lucas e Agliani colma una lacuna nel panorama editoriale
italiano, raccontando e analizzando la storia del nostro fotogiornalismo dalla metà
dell’800 alla fine del ’900. Il libro presenta, in maniera dettagliata e attraverso numerose
fotografie e pubblicazioni d’epoca, le vicende personali e professionali dei fotoreporter,
intrecciandole con la storia delle maggiori testate e agenzie nazionali. Gli aa. si dicono da
subito convinti che il fotogiornalismo italiano abbia conosciuto un pesante ritardo rispetto
a quello di altri paesi di tradizione industriale e democratica a causa dell’isolamento
culturale e della mancanza di libertà del periodo fascista e per la presenza «di una cultura
“alta”, di matrice crociana, che ha sempre considerato con diffidenza e sufficienza un linguaggio
strettamente legato a un mezzo tecnico come la fotografia» (p. XXII).
Nel dopoguerra sembra si pongano le basi per un nuovo giornalismo libero e pluralista,
ma in poco tempo i nessi tra politica e informazione mostrano chiaramente che i
nostri editori «non sono editori puri, ma gruppi industriali che concepiscono i loro giornali
come strumenti di scambio e di influenza politica» (p. 194). Anche i governi centristi
di quegli anni non si adoperano per favorire l’indipendenza della stampa, ma cercano di
esercitare un controllo sull’informazione attraverso sussidi ai giornali e una legislazione
solo parzialmente rivista rispetto a quella fascista.
Nonostante una iniziale subalternità rispetto al cinema metta in luce la difficoltà
della fotografia di affermarsi come linguaggio autonomo, un diverso modo di fare fotogiornalismo
trova spazio nelle esperienze editoriali degli anni ’50. Nuove immagini aspre
e cariche di denuncia sociale, come quelle sulle agghiaccianti condizioni di vita di un piccolo
paese calabro, Africo, si sostituiscono alle foto dell’Istituto Luce, fatte di benessere,
divi del cinema e alle istantanee sobrie e rassicuranti dei militari al fronte raccontati su
«Cronache della guerra».
Estremamente interessante è la parte che racconta le esperienze del gruppo milanese
del bar Jamaica e dei flâneur del gruppo romano, fotografi freelance caratterizzati da una
forte identità antifascista che riescono a trovare spazio per i loro reportage soltanto sui
giornali della borghesia illuminata e liberale italiana come «Il Mondo» di Pannunzio o
«L’Espresso» di De Benedetti.
Il volume si chiude con alcune domande sul futuro del fotogiornalismo in un’epoca
di produzione massiccia di immagini da parte «di cittadini comuni impegnati a documentare
la realtà» (p. 530) e sul ruolo che il nuovo fotografo professionista dovrà ritagliarsi
all’interno degli spazi creati dal web e dai nuovi mezzi di comunicazione.
Probabilmente le riflessioni di Lucas e Agliani saranno il necessario punto di partenza
per coloro i quali volessero intraprendere in futuro nuovi studi sul ruolo della fotografia
nel nostro paese

 Giacomo Acunzo