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Massimo Negri e Sergio Rebora (a cura di) – La città borghese. Milano 1880-1968 – 2002

Massimo Negri e Sergio Rebora (a cura di)
Milano, Skira, pp. 181, euro 35,00

Anno di pubblicazione: 2002

Il volume, catalogo della mostra promossa dalle Civiche raccolte storiche del comune di Milano, esamina il ruolo della borghesia imprenditoriale nello sviluppo cittadino. Giulio Sapelli fissa le coordinate storiografiche del libro con un intervento sui rapporti tra borghesia imprenditoriale e città. Interpreti di primo piano dello sviluppo economico e sociale che farà di Milano una grande città industriale, dagli anni Venti gli imprenditori restringeranno progressivamente il loro raggio d’azione alla dimensione d’impresa, delegando ad altri (il fascismo prima, il sistema dei partiti poi) il governo della polis. Una fuga dalle proprie responsabilità di classe dirigente che si rinnoverà negli anni Sessanta quando di fronte all’esplodere del conflitto sociale la borghesia imprenditoriale preferirà passare la mano, assistendo passivamente alla crisi del sistema industriale sul quale per oltre un secolo si erano fondate le sue fortune e quelle della città. Diversi per taglio e misura i contributi di Sergio Rebora, Maria Canella e Massino Negri, che della borghesia milanese osservano gusti, codici e comportamenti. Rebora si sofferma sui rapporti tra rapporti tra la committenza e le arti figurative. A parte poche rilevanti eccezioni (Carlo Frua, oltre ai più noti Jucker e Jesi), è abbastanza sorprendente rilevare come in una città che si vuole cosmopolita ed europea per vocazione naturale, prevalga una visione cauta della modernità: nelle case delle famiglie della Milano bene le avanguardie faranno capolino solo quando avranno ormai perso molto della loro carica eversiva. Tra le due guerre a tenere la scena sono ancora i tardi epigoni di una stagione dignitosa ma priva di grandi slanci: Gaudenzi, Spadini, più tardi Annigoni, ai quali viene affidato il compito di fissare sulla tela fattezze e valori degli esponenti più in vista della borghesia milanese. Per contro, più dinamico appare invece il fronte dell’architettura, capace di mettere a frutto le opportunità offerte dalle tecnologie e dai materiali. Fabbriche, uffici, edifici residenziali costituiranno il terreno elettivo per professionisti del calibro di Alpago Novello, De Finetti, Lancia, Muzio, Ponti, Portaluppi ecc. accomunati, pur nella diversità degli stili e delle idealità, dal rispetto per la qualità del proprio lavoro. Ma il loro impegno progettuale, se consegnerà alla città alcuni dei capolavori del Novecento italiano, non riuscirà però a divenire linguaggio comune dell’edilizia civile che, in assenza di un disegno generale, finirà per modularsi sulle logiche della rendita, sancendo anche qui la rinuncia della borghesia industriale al governo della città. Negri, infine, si sofferma sulle forme della socialità, dall’associazionismo allo sport, dalla musica ai riti della mondanità, in un saggio arioso, che sollecita ulteriori e più approfonditi scandagli su un universo che presenta ancora numerosi lati oscuri. Una serie di medaglioni su istituzioni e fondazioni che hanno avuto origine dall’iniziativa di singoli imprenditori (Guido Uccelli e il Museo della Scienza e delle tecnologia, Hoepli e il Planetario) o dal lascito delle famiglie (Fondazione Mondadori, raccolta Mursia) danno conto di quell’impegno verso la collettività che è stato un tratto caratteristico della borghesia milanese e che sembra oggi sparito insieme ad essa.

Giorgio Bigatti