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Maurizio Lupo – Raffaella Salvemini e Daniela Luigia Caglioti, Risorse umane e Mezzogiorno. Istruzione, recupero e formazione tra ‘700 e ‘800, a cura di Ilaria Zilli, Introduzione di Vera Zamagni – 1999

Maurizio Lupo
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli

Anno di pubblicazione: 1999

I saggi sono il risultato di un’indagine Isem-Cnr su Istruzione scientifica e sviluppo economico del Mezzogiorno. Tra le interpretazioni storiografiche chiamate in causa, quella impegnata nella rimozione della categoria di arretratezza e nella ricostruzione di una storia “europea” delle regioni meridionali, e quella ancora attenta alle persistenze del modello aristocratico, gli autori, pur valorizzando molto la prima, propendono sostanzialmente per la seconda. Lo sviluppo del sistema di istruzione professionale mostra la vivacità delle politiche pubbliche e private di “offerta”, quindi la sostanziale modernità della classe dirigente, che, almeno sotto il profilo qualitativo, sembrerebbe muoversi sulla base di modelli europei. Risulterebbe deficitaria, invece, la diffusione dei saperi e l’attivazione di un circuito virtuoso dello sviluppo a partire dall’istruzione tecnica. Il saggio di Maurizio Lupo ne attribuisce le ragioni alla resistenza opposta in sede periferica all’applicazione delle norme. Le ragioni sarebbero complesse: l’analfabetismo diffuso non sarebbe stato solo il frutto della povertà, ma anche della scelta di utilizzare le risorse umane sulla base di una redditività ravvicinata nel tempo, come, per contro, la rapida alfabetizzazione dei contadini in procinto di emigrare avrebbe confermato alla fine dell’Ottocento. Luci ed ombre emergono anche dal saggio della Salvemini, che attraverso una documentazione originale relativa al reclusorio di Nola e ai Convitti di S. Giuseppe a Chiaia e Carminiello studia il ciclo addestramento-lavoro-reinserimento sociale dei poveri. Sebbene simili ad altre istituzioni europee, le case-lavoro borboniche sarebbero state costruite secondo un modello caritativo e di mecenatismo piuttosto che “di prosperità produttivo e sociale” (sic). L’inadeguatezza del contesto culturale è fortemente sottolineata dalla Caglioti. In questo caso il giudizio è desunto dalla scelta degli imprenditori svizzeri presenti in Campania di affidare la qualificazione dei tecnici o al paese di origine o a scuole private riservate appositamente istituite. Le ricerche sono rigorose e originali nel procedimento conoscitivo; grava tuttavia su di esse l’incombenza della scelta storiografica sopra accennata. I limiti contestuali sono dati per scontati e le strategie educative sono ricostruite esclusivamente “dall’alto”. Non è dato alcun valore al nesso tra una seppur limitata domanda locale di istruzione tecnica e l’offerta pubblica e privata centrale e locale, un fenomeno destinato ad avere sviluppi ben più proficui nella seconda metà dell’Ottocento.

Leandra D’Antone